Lamia si sedette sui talloni accanto a lui e toccò lo zaino del poeta. — Ecco cosa ti porti dietro. Le pagine del tuo poema. I Canti.
— Naturale.
— E pensi ancora che la vicinanza dello Shrike ti permetterà di terminarli?
Sileno scrollò le spalle, con la sensazione che il caldo e lo stordimento gli turbinassero intorno. — Quell'affare è un fottuto assassino, un Grendel di lamiera forgiato all'inferno — disse. — Ma è la mia musa.
Lamia sospirò, guardò a occhi socchiusi il sole che cominciava a calare verso le montagne, poi la valle da cui erano giunti. — Torna laggiù — disse piano. — Nella valle. — Esitò un attimo. — Ti accompagno e poi vado al Castello.
Sileno sorrise, con labbra screpolate. — Perché tornare? Per fare una partita a carte con altri tre vecchi, finché la bestia non viene a sfamarsi? No, grazie, preferisco stare qui e lavorare un poco. Vai avanti, donna. Puoi portare più roba di tre poeti. — Si tolse di spalla zaini vuoti e bottiglie, le porse il tutto.
Lamia resse l'intrico di cinghie nel pugno tozzo e duro come la testa di un martello d'acciaio. — Sei sicuro? Possiamo camminare lentamente.
Sileno si alzò a fatica, alimentato per un momento dalla pura rabbia per il tono di compatimento e di condiscendenza. — Vaffanculo tu e il cavallo su cui corri, lusiana. Se l'hai dimenticato, lo scopo del pellegrinaggio era di venire qui a dire «Salve!» allo Shrike. Il tuo amico Hoyt non l'ha scordato. Kassad ha capito il gioco. Forse in questo momento lo Shrike di merda rosicchia quelle stupide ossa di militare. Non sarei sorpreso se a questo punto anche gli altri tre non avessero più bisogno di acqua e cibo. Vai avanti. Smamma. Sono stufo di vederti.
Brawne Lamia rimase acquattata per un momento, guardandolo dal basso, mentre il poeta ondeggiava davanti a lei. Poi si alzò, gli toccò il braccio in un rapido saluto, si mise in spalla zaini e bottiglie, si allontanò con un passo più rapido di quanto lui avrebbe potuto tenere anche da giovane. — Ripasserò da qui fra qualche ora — gridò, senza girarsi a guardarlo. — Fatti trovare in questa zona. Torneremo insieme alle Tombe.
Martin Sileno rimase zitto e la guardò rimpicciolire e poi sparire nel terreno accidentato di sudest. Le montagne tremolavano nell'aria calda. Sileno abbassò gli occhi e vide che lei gli aveva lasciato la bottiglia dell'acqua. Sputò, aggiunse al carico la bottiglia e si avviò verso l'ombra della città morta.
20
Duré quasi crollò, mentre pranzavano con le ultime due razioni da campo; Sol e il Console lo portarono all'ombra, sull'ampia scalinata della Sfinge. Il viso del prete era bianco come i suoi capelli.
Duré tentò di sorridere, mentre Sol gli accostava alle labbra una bottiglia d'acqua. — Tutti voi accettate con grande facilità la mia risurrezione — disse, asciugandosi la bocca.
Il Console si appoggiò alla Sfinge. — Ho visto il crucimorfo di Hoyt. Lo stesso che lei porta ora.
— E io ho creduto alla storia di Hoyt… che è poi la sua — disse Sol. Passò l'acqua al Console.
Duré si toccò la fronte. — Ho ascoltato i dischetti del comlog. Le storie, compresa la mia, sono… incredibili.
— Dubita che siano vere? — domandò il Console.
— No. La sfida è scoprire quale senso hanno. Trovare l'elemento comune… il legame.
Sol si strinse al petto Rachel, la cullò piano, reggendole la testa. — Dev'esserci per forza un legame? Diverso dallo Shrike?
— Oh, sì — rispose Duré. Sulle guance gli era tornato un po' di colore. — Il pellegrinaggio non è stato accidentale. E neppure la scelta di voi sette.
— Elementi diversi hanno contribuito alla scelta dei partecipanti al pellegrinaggio — disse il Console. — La Commissione di Consulenza delle IA, il Senato dell'Egemonia, perfino la Chiesa Shrike.
Duré scosse la testa. — Sì, ma dietro questa scelta c'era una sola intelligenza guida, amici miei.
Sol si sporse. — Dio?
— Può darsi — rispose Duré, sorridendo. — Ma pensavo al Nucleo… le intelligenze artificiali che si sono comportate così misteriosamente per tutta la sequenza degli eventi.
La piccina si mise a piagnucolare piano. Sol le trovò un calmante e sintonizzò sulle pulsazioni cardiache il comlog che portava al polso. La piccina strinse i pugni una volta e si rilassò contro la spalla del padre. — Il racconto di Brawne fa pensare che elementi del Nucleo cerchino di destabilizzare lo status quo… che concedano alla razza umana una possibilità di sopravvivenza pur continuando l'impegno per realizzare l'Intelligenza Finale.
Il Console indicò il cielo sereno. — Tutto ciò che è avvenuto… il nostro pellegrinaggio, perfino la guerra… si deve alla politica interna del Nucleo.
— E cosa sappiamo, del Nucleo? — domandò a bassa voce Duré.
— Niente — rispose il Console. Tirò un ciottolo contro le sculture alla sinistra della scalinata della Sfinge. — Stringi stringi, non ne sappiamo niente.
Ora Duré si era alzato a sedere e con uno straccio inumidito si massaggiava il viso. — Eppure il loro scopo è simile al nostro.
— Ossia? — domandò Sol, continuando a cullare la piccina.
— Conoscere Dio — disse il prete. — O, se non ci si riesce, crearLo. — Socchiuse gli occhi e guardò la valle. Dalle pareti di sudovest le ombre avanzavano, cominciavano a sfiorare e ad avviluppare le Tombe. — Ho collaborato a promuovere un simile concetto, all'interno della Chiesa…
— Ho letto i suoi saggi su San Teilhard — disse Sol. — Ha fatto un lavoro brillante, nel difendere la necessità di evoluzione verso il Punto Omega… la Divinità… senza inciampare nell'eresia sociniana.
— La cosa? — domandò il Console.
Duré sorrise lievemente. — Socino era un eretico italiano del Diciassettesimo secolo dopo Cristo. Era convinto… e per questo fu scomunicato… che Dio sia un essere limitato, capace di imparare e di crescere mentre il mondo, l'universo, diventa più complesso. E io inciampai davvero nell'eresia sociniana, Sol. Fu il primo dei miei peccati.
Lo sguardo di Sol rimase fermo. — E l'ultimo?
— Oltre l'orgoglio? Il mio peccato più grande fu di falsificare i dati ricavati da sette anni di scavi su Armaghast. Cercare di fornire un legame fra gli scomparsi Arcicostruttori di quel pianeta e una forma di protocristianesimo. Non esisteva. Ho falsificato i dati. Ed ecco l'ironia: il mio massimo peccato, almeno agli occhi della Chiesa, è stato la violazione del metodo scientifico. Nei suoi ultimi giorni, la Chiesa può anche accettare l'eresia teologica, ma non tollera la manomissione del protocollo della scienza.
— Armaghast era così? — domandò Sol, con un gesto del braccio che comprendeva la valle, le Tombe e il deserto invadente.
Duré si guardò intorno, con un lampo negli occhi. — La polvere e la pietra e il senso di morte, sì. Ma questo posto è infinitamente più minaccioso. Qui qualcosa non ha ancora ceduto alla morte, mentre avrebbe dovuto.
Il Console rise. — Auguriamoci di rientrare in questa categoria. Ora porto il comlog su quella sella e provo ancora a mettermi in contatto con la nave.
— Vengo anch'io — disse Sol.
— E anch'io — disse padre Duré, alzandosi; barcollò solo un momento e rifiutò l'aiuto di Weintraub.
La nave non rispose alle chiamate. Senza la nave, non poteva esserci collegamento astrotel con gli Ouster, con la Rete o con qualsiasi posto oltre Hyperion. Le normali bande di trasmissione non funzionavano.
— E se la nave fosse stata distrutta? — domandò Sol al Console.
— No. C'è la ricezione del messaggio, manca solo la risposta. Gladstone tiene ancora in quarantena la nave.
Sol guardò le lande deserte e le montagne che tremolavano nella foschia generata dal calore. A qualche chilometro, le rovine frastagliate della Città dei Poeti si alzavano contro il cielo. — Fa lo stesso — disse. — In pratica abbiamo un deus ex machina di troppo.
Allora Paul Duré si mise a ridere, una risata profonda, sincera; si fermò solo quando cominciò a tossire e fu costretto a bere un sorso d'acqua.
— Cosa c'è? — disse il Console.
— Il deus ex machina. Quello di cui parlavamo poco fa. Sospetto che sia proprio questa, la ragione per cui ciascuno di noi si trova qui. Il povero Lenar con il suo deus nella machina del crucimorfo. Brawne, con il suo poeta risuscitato, prigioniero di una interazione Schrön, che cerca la machina per liberare il suo deus personale. Lei, Sol, in attesa che il deus tenebroso risolva il terribile problema di sua figlia. Il Nucleo, generato dalla machina, che cerca di costruirsi il proprio deus.
Il Console si aggiustò gli occhiali da sole. — E lei, padre?
Duré scosse la testa. — Aspetto che la machina più grande di tutte produca il proprio deus… l'universo. Quanta parte della mia esaltazione di San Teilhard è sgorgata dal semplice fatto che nel mondo d'oggi non ho trovato segno di un Creatore vivente? Come le intelligenze del TecnoNucleo, cerco anch'io di fabbricare quel che non trovo da altre parti.
Sol guardò il cielo. — E quale deus cercano gli Ouster?
— La loro ossessione nei confronti di Hyperion è reale — rispose il Console. — Sono convinti che questo sarà il luogo di nascita di una nuova speranza per la razza umana.
— Faremo meglio a ridiscendere — disse Sol, riparando dal sole Rachel. — Brawne e Martin saranno di ritorno prima di cena.
Ma non tornarono prima di cena. E neppure al tramonto. Ogni ora, il Console andava all'imboccatura della valle, saliva sopra un masso e scrutava le dune e le pietraie, cercando una traccia di movimento. Non ne vide. E rimpianse che Kassad non avesse lasciato il binocolo a energia.
Ancora prima che il cielo si scurisse nel crepuscolo, le esplosioni di luce allo zenit annunciarono che nello spazio la battaglia continuava. I tre si sedettero sul gradino più alto della Sfinge e guardarono lo spettacolo: lente eplosioni di luce bianchissima, fiori di rosso opaco, striature improvvise di verde e d'arancione che lasciavano echi retinici.
— Chi pensi che stia vincendo? — disse Sol.
Il Console non alzò gli occhi. — Non ha importanza. Stanotte sarà meglio dormire in un posto diverso? Aspettare in un'altra Tomba?
— Non posso lasciare la Sfinge — disse Sol. — Se volete, andate pure.
Duré toccò la guancia della piccina. Rachel poppava il tranquillante e la guancia si mosse sotto il dito del prete. — Quanti giorni ha, adesso? — domandò Duré.
— Due. Quasi esatti. In questa latitudine sarebbe nata circa quindici minuti dopo il tramonto. Tempo di Hyperion.
— Vado su a guardare un'ultima volta — disse il Console. — Poi faremo una sorta di falò per aiutarli a trovare la strada nel buio.
Il Console era a metà scalinata, quando Sol si alzò e puntò il dito. Non verso l'imboccatura della valle che brillava nel sole basso, ma dalla parte opposta, verso le ombre della valle stessa.
Il Console si fermò e gli altri due lo raggiunsero. Il Console prese di tasca il piccolo storditore neurale avuto da Kassad parecchi giorni prima. Vista l'assenza di Lamia e del colonnello, era l'unica arma in loro possesso.
— La vedi? — bisbigliò Sol.
La figura si muoveva nel buio al di là del debole bagliore della Tomba di Giada. Non sembrava abbastanza grande, né rapida di movimenti, da essere lo Shrike; avanzava in maniera bizzarra… lentamente, a volte arrestandosi per mezzo secondo, ondeggiando.
Padre Duré lanciò un'occhiata all'imboccatura della valle. — È possibile che Martin Sileno sia entrato da quella parte?
— No, a meno che non sia saltato giù dalla parete di roccia — rispose il Console in un bisbiglio. — O che abbia fatto un giro di otto chilometri verso nordest. E poi, è troppo alto per essere Sileno.
La figura si soffermò di nuovo, ondeggiò, cadde. Vista da più di cento metri, pareva un altro dei sassi sparsi nella valle.
— Andiamo — disse il Console.
Non si misero a correre. Il Console li precedette in fondo alla scalinata, storditore pronto e regolato su venti metri, pur sapendo che a quella distanza l'effetto neurale sarebbe stato minimo. Padre Duré venne subito dopo, reggendo la piccina, mentre Sol cercava una pietra.
— Davide e Golia? — domandò Duré, quando Sol raccolse un sasso e lo mise nella fionda che si era fabbricato quel pomeriggio usando un rivestimento in fibrolastica.
Sopra la barba, il viso abbronzato di Sol diventò ancora più scuro. — Più o meno — rispose l'anziano studioso. — Ecco fatto, mi riprendo Rachel.
— Mi piace, portarla. E se ci sarà uno scontro, è meglio che voi due abbiate le mani libere.
Sol annuì e si pose a fianco del Console; a qualche passo, seguiva il prete con in braccio la piccina.
A quindici metri fu chiaro che la figura per terra era un uomo, un uomo molto alto che indossava un rozzo abito talare, disteso bocconi sulla sabbia.
— Restate qui — disse il Console e si mise a correre. Gli altri due lo guardarono rigirare l'uomo, mettersi in tasca lo storditore e sganciare dalla cintura la borraccia.
Sol avanzò al piccolo trotto, sentendo la stanchezza sotto forma di un piacevole senso di vertigine. Duré lo seguì più lentamente.
Quando il prete giunse nel cono di luce emesso dalla torcia del Console, vide che il cappuccio, tirato indietro, rivelava un viso allungato, dai tratti vagamente asiatici, distorto in maniera bizzarra e illuminato anche dal bagliore della Tomba di Giada.
— Un Templare — esclamò, sorpreso di trovare lì un seguace del Muir.
— La Vera Voce dell'Albero — disse il Console. — Il primo dei pellegrini dispersi… Het Masteen.