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Lamia emise un sospiro e lasciò la città, camminando con disinvoltura nonostante la fatica e i giorni senza dormire. Non ottenne risposta alle chiamate per comlog, ma sentì la tensione di déjà vu delle maree del tempo e non ne fu sorpresa. Il vento della sera aveva cancellato qualsiasi traccia avesse lasciato Martin Sileno tornando alla valle.

Le Tombe splendevano di nuovo, notò Lamia, ancora prima di arrivare all'ampia sella all'imboccatura della valle. Non era uno splendore vivido — niente di paragonabile alla muta orgia di luce nel cielo — ma ogni Tomba di superficie sembrava spargere una luce livida, come se rilasciasse energia immagazzinata durante il giorno.

Lamia si fermò all'imboccatura della valle e gridò per avvertire Sol e gli altri che era tornata. Non avrebbe rifiutato un'offerta di aiuto anche solo per gli ultimi cento metri. Aveva la schiena scorticata e la camicia zuppa di sangue, dove le cinghie avevano tagliato la pelle.

Non ci fu risposta alle grida.

Lamia sentì lo sfinimento, mentre saliva i gradini che portavano alla Sfinge, lasciava cadere il carico nell'ampia veranda di pietra e cercava la torcia. L'interno era buio. Sacchi a pelo e zaini erano sparpagliati nella stanza dove avevano dormito. Lamia gridò un richiamo, attese che l'eco svanisse, mosse di nuovo per la stanza il raggio luminoso. Ogni cosa era come prima. No, un momento, c'era una differenza! Lamia chiuse gli occhi e ricordò com'era stata la stanza, al mattino.

Mancava il cubo di Moebius. L'insolita scatola sigillata a energia abbandonata da Het Masteen sul carro a vela non era più al posto di prima, nell'angolo. Lamia scrollò le spalle e uscì.

Lo Shrike aspettava. Proprio appena al di là della porta. Era più alto di quanto Lamia avesse immaginato, torreggiava su di lei.

Lamia varcò la soglia e arretrò subito, soffocando l'impulso a gridare contro la creatura. L'automatica stretta in pugno le parve piccola e inutile. Lasciò cadere la torcia e nemmeno se ne accorse.

La creatura piegò di lato la testa e guardò Lamia. Negli occhi dalle molteplici sfaccettature pulsò una luce rossa. Gli angoli del corpo e delle lame catturarono i riflessi provenienti dall'alto.

— Figlio di puttana — disse Lamia, con voce calma. — Dove sono gli altri? Cosa ne hai fatto di Sol e della piccina? E degli altri?

La creatura piegò dall'altra parte la testa. La faccia era abbastanza aliena perché Lamia non vi scorgesse espressione. Il linguaggio del corpo comunicava solo minaccia. Dita d'acciaio si aprirono con uno schiocco, come bisturi retraibili.

Lamia gli sparò quattro volte al viso: i pesanti proiettili da 16 mm colpirono il bersaglio e sibilarono via nella notte.

— Non sono venuta qui a morire, bastardo di metallo — disse Lamia. Prese la mira e sparò un'altra decina di volte; ogni proiettile andò a segno.

Volarono scintille. Lo Shrike drizzò di scatto la testa, come se tendesse l'orecchio a un rumore lontano.

Sparì.

Lamia ansimò, si acquattò, si girò di scatto. Niente. Il fondo della valle brillò alla luce delle stelle, mentre il cielo si quietava. Le ombre erano nere come l'inchiostro, ma remote. Anche il vento era scomparso.

Brawne Lamia barcollò fino agli zaini e si sedette sul più grosso, cercando di riportare a frequenza normale il battito del cuore. Scoprì con interesse di non avere avuto paura… non realmente… ma non poteva impedire che l'adrenalina le scorresse nelle vene.

Aveva ancora la pistola, cinque o sei colpi nel caricatore e una buona riserva di propellente; prese una bottiglia e bevve un lungo sorso d'acqua.

Lo Shrike le comparve a fianco. L'arrivo era stato istantaneo e silenzioso.

Lamia lasciò cadere la bottiglia, cercò di puntare la pistola e di spostarsi di lato nello stesso tempo.

Fu come se si muovesse al rallentatore. Lo Shrike tese la destra: le dita a lama, lunghe come aghi da rammendo, colsero la luce; una punta scivolò dietro l'orecchio di Brawne, trovò il cranio, penetrò nella testa, senza il minimo attrito, senza il minimo dolore, a parte un senso di gelo.

23

Nel varcare la porta il colonnello Fedmahn Kassad si era aspettato scene straordinarie; invece si ritrovò nella folle coreografia della guerra. Moneta l'aveva preceduto. Lo Shrike l'aveva scortato, le dita a lama conficcate nell'avambraccio. Quando Kassad portò a termine il passo attraverso la cortina d'energia, Moneta lo aspettava e lo Shrike era scomparso.

Kassad capì subito dove si trovavano. Il panorama era quello visibile dalla cima della bassa montagna dove quasi due secoli prima re Billy il Triste aveva fatto scolpire la propria effigie. L'area piatta della vetta era deserta, a parte i resti ancora fumanti di una batteria per la difesa anti-missili. Dalla vetrificazione del granito e dal metallo fuso che ancora ribolliva, Kassad calcolò che la batteria era stata colpita da armi orbitali.

Moneta si portò sull'orlo del dirupo, cinquanta metri sopra l'ampia fronte di re Billy il Triste; Kassad la raggiunse. La vista della vallata del fiume, della città e delle torri dello spazioporto, dieci chilometri a ovest, raccontava la storia.

La capitale di Hyperion bruciava. La parte vecchia della città, Jacktown, era una tempesta di fuoco in miniatura e centinaia di incendi minori punteggiavano i sobborghi e fiancheggiavano l'autostrada per l'aeroporto, simili a fuochi segnaletici ben curati. Perfino il fiume Hoolie bruciava e un fuoco oleoso si diffondeva sotto le antiquate banchine e nei magazzini. La guglia di una chiesa antica emergeva dal mare di fiamme. Kassad cercò Cicero, ma il bar era nascosto dal fumo e dagli incendi a monte del fiume.

Le colline e la valle erano un brulichio di movimento, come un formicaio preso a calci da uno stivale gigantesco. Le autostrade, intasate da un fiume di umanità, si muovevano più lentamente del fiume vero, mentre decine di migliaia di persone fuggivano il combattimento. I lampi dell'artiglieria solida e delle armi a energia arrivavano all'orizzonte e illuminavano le nuvole basse. Ogni pochi minuti, un mezzo aereo, skimmer militare o navetta, si alzava dal fumo intorno allo spazioporto o dalle colline boscose a nord e a sud; subito l'aria si riempiva di lame di luce coerente, dal basso e dall'alto, e il velivolo cadeva lasciando una scia di fumo nero e di fiamme arancione.

Hovercraft svolazzavano da una riva all'altra del fiume, come pulci d'acqua, schivando i relitti in fiamme di barche, di chiatte e di altri hovercraft. L'unico ponte dell'autostrada era crollato e perfino le spallette di cemento e di pietra bruciavano. Laser da combattimento e raggi di frustalaser squarciavano il fumo; missili antiuomo, visibili come puntini bianchi a velocità maggiore di quella che l'occhio poteva seguire, lasciavano scie d'aria increspata e surriscaldata. Sotto lo sguardo di Kassad e di Moneta, un'esplosione sollevò un fungo di fiamma nei pressi dello spazioporto.

"Non nucleare" pensò Kassad.

"No."

La dermotuta che gli copriva gli occhi agiva come un visore della FORCE molto migliorato e Kassad usò lo zoom per esaminare una collina a cinque chilometri a nordovest oltre il fiume. Molti marines della FORCE si muovevano a grandi falcate verso la cima, alcuni si lasciavano cadere e usavano cariche sagomate per scavarsi trincee. Le tute erano attivate, i polimeri mimetici erano perfetti, le tracce termiche erano minime, ma Kassad non aveva difficoltà a scorgerli. Avrebbe distinto la faccia di ognuno, se avesse voluto.

Canali di comando tattici e a raggio compatto gli mormorarono all'orecchio. Kassad riconobbe il vocio eccitato e le imprecazioni che da troppe generazioni erano il marchio del combattimento. Migliaia di soldati si erano dispersi dallo spazioporto e dalle zone d'attestamento e scavavano trincee lungo un cerchio la cui circonferenza era a venti chilometri dalla città e i cui raggi erano ben programmati campi di fuoco e di vettori per distruzione totale.