Sol gli tese l'automatica di Brawne Lamia.
— Non posso…
— Non ci servirà, contro lo Shrike — ribatté Sol. — Ma potrebbe essere la carta vincente per arrivare a Keats.
Il Console annuì e mise l'arma nella sacca. Strinse la mano al prete, poi all'anziano studioso. Le minuscole dita di Rachel gli sfiorarono il braccio.
— Buona fortuna — disse Duré. — Dio l'assista.
Il Console toccò i disegni di volo e il tappeto Hawking si sollevò di cinque metri, dondolò leggermente, scivolò in avanti e in alto, come se corresse su rotaie invisibili.
Il Console virò a destra verso l'imboccatura della valle, passò a dieci metri di quota sopra le dune, poi deviò a sinistra verso le lande desolate. Solo una volta guardò indietro. Le quattro figure sul gradino più alto della Sfinge, due uomini in piedi e due sagome distese per terra, gli parvero piccole davvero. Il Console non riuscì a distinguere la piccina fra le braccia di Sol.
Secondo gli accordi, il Console indirizzò a ovest il tappeto Hawking, per passare sopra la Città dei Poeti, con la speranza di trovare Martin Sileno. L'intuito gli diceva che forse l'irascibile poeta aveva fatto una deviazione da quella parte. Il cielo era relativamente sgombro dai bagliori della battaglia e il Console scrutò ombre non rotte dalla luce delle stelle, mentre volava a venti metri dalle guglie e dalle cupole in rovina della città. Non c'era segno del poeta. Se Brawne e Sileno erano passati da quella parte, perfino le impronte sulla sabbia erano state cancellate dal vento notturno che ora faceva svolazzare i radi capelli del Console e le sue vesti.
A quell'altezza faceva freddo. Il Console sentiva le vibrazioni del tappeto Hawking che trovava la strada lungo le incerte linee di forza. Considerando l'insidioso campo magnetico di Hyperion e l'età dei fili di volo EM, c'era davvero il rischio che il tappeto precipitasse molto prima di arrivare a Keats.
Il Console gridò varie volte il nome di Martin Sileno, ma non ottenne risposta, a parte una fuga di colombe che avevano nidificato fra le macerie della cupola di una galleria. Scosse la testa e virò a sud, verso la Briglia.
Nonno Merin aveva raccontato al Console la storia di quel tappeto Hawking: era stato uno dei primi giocattoli del genere fabbricati da Vladimir Sholokov, studioso di lepidotteri noto in tutta la Rete e ingegnere di sistemi EM; e forse era lo stesso che l'inventore aveva regalato alla nipotina. L'amore di Sholokov per la ragazzina era divenuto leggendario, come il fatto che lei aveva disprezzato il dono del tappeto volante.
Ma altri avevano apprezzato l'idea; e i tappeti Hawking, pur illegali su mondi con un ragionevole controllo del traffico, erano abbastanza comuni sui pianeti coloniali. Quello aveva permesso a nonno Merin di incontrare nonna Siri, su Patto-Maui.
Il Console alzò lo sguardo: la catena di montagne s'avvicinava. Con dieci minuti di volo aveva coperto due ore di viaggio attraverso le lande desolate. Gli altri avevano detto al Console di non fermarsi a Castel Crono per cercare Sileno: la sorte toccata al poeta avrebbe potuto reclamare anche lui, prima che cominciasse il viaggio vero e proprio. Il Console si accontentò di librarsi appena fuori delle finestre, duecento metri sulla parete rocciosa, a distanza di un braccio dalla balconata da dove tre giorni prima avevano guardato la valle, e di chiamare a gran voce il poeta.
Solo l'eco gli rispose dal buio delle sale da pranzo e dei corridoi del Castello. Il Console si resse con forza al bordo del tappeto, sentendosi esposto e troppo vicino alle pareti verticali di roccia. Si rilassò un poco, quando si allontanò dal Castello, prese quota e risalì verso i passi delle montagne, dove la neve brillava sotto le stelle.
Seguì i cavi della funivia che scavalcavano il passo e univano un picco di novemila metri all'altro, lungo tutta la catena montuosa. A quell'altezza il freddo era intenso; il Console fu contento di aver preso il mantello termico di scorta di Kassad e vi si avvolse, badando bene a non esporre mani e guance. Il gel della maschera a osmosi si tese sul viso come un simbionte affamato che ingurgitasse quel poco d'ossigeno disponibile.
Bastava. Il Console trasse respiri lenti, profondi, mentre volava a dieci metri dai cavi incrostati di ghiaccio. Le vetture pressurizzate della funivia non erano in funzione; il senso di completa solitudine, sopra ghiacciai, picchi ripidi, valli ammantate d'ombra, era terribile. Il Console era lieto di tentare quel viaggio per nessun'altra ragione se non quella di ammirare per l'ultima volta la bellezza di Hyperion, non rovinata dalla tremenda minaccia dello Shrike né dall'invasione degli Ouster.
In funivia avevano impiegato dodici ore per valicare le montagne. Nonostante la bassa velocità del tappeto Havvking, venti chilometri all'ora, in sei ore il Console completò la traversata. L'alba lo colse ancora sopra gli alti picchi. Con un sussulto il Console si destò, si rese conto con stupore di avere sognato, mentre il tappeto correva verso un picco che si alzava per altri cinque metri sopra la linea di volo. Cinquanta metri più avanti si vedevano macigni e campi di neve. Un uccello nero con un'apertura alare di tre metri, uno di quelli che i locali chiamavano araldi, lasciò il nido fra i ghiacci e si librò nell'aria rarefatta, fissando l'intruso, con occhietti tondi e neri. Il Console deviò ripidamente verso sinistra, sentì qualcosa cedere, nel meccanismo Havvking, e cadde per trenta metri, prima che i fili di volo facessero presa e stabilizzassero il tappeto.
Con le dita sbiancate, il Console si aggrappò all'orlo. Per fortuna si era legato alla cintola la cinghia della sacca, altrimenti quella sarebbe caduta sul ghiacciaio molto più in basso.
Non c'era segno della funivia. Il Console aveva sonnecchiato quanto bastava perché il tappeto deviasse dalla rotta. Per un secondo si lasciò prendere dal panico, spostò il tappeto qua e là, cercò affannosamente una via fra i picchi che lo circondavano come zanne. Poi vide il sole del mattino indorare il pendio più avanti, le ombre balzare dai ghiacciai e dalla tundra alle sue spalle e a sinistra, e capì di essere ancora sul percorso giusto. Dietro l'ultima dorsale di alti picchi c'erano le colline pedemontane meridionali. E più avanti…
Il tappeto Hawking parve esitare quando il Console toccò i fili di volo e lo spinse più in alto, ma sorvolò con riluttanza l'ultimo picco di novemila metri e gli permise di scorgere le montagne più basse che a poco a poco scendevano a soli tremila metri sopra il livello del mare. Il Console scese con sollievo.
Ritrovò la funivia che brillava al sole otto chilometri a sud del punto dove aveva lasciato la Briglia. Le vetture pendevano silenziose intorno alla stazione terminale ovest. In basso, i radi edifici del villaggio Riposo del Pellegrino sembravano abbandonati proprio come alcuni giorni prima. Non c'era segno del carro a vela, nel posto dove l'avevano lasciato, alla bassa banchina sporgente sulle secche del mare d'Erba.
Il Console atterrò nei pressi della banchina, disattivò il tappeto, si sgranchì le gambe, con un certo dolore, prima di arrotolarlo per metterlo al sicuro; vicino al molo, in un edificio abbandonato, trovò un gabinetto. Quando ne uscì, il sole del mattino strisciava dalle alture pedemontane e cancellava le ultime ombre. Lontano, a perdita d'occhio verso sud e ovest, si estendeva il mare d'Erba, liscio come il piano di un tavolo, la cui natura era tradita da brezze occasionali che increspavano la superficie e per un attimo rivelavano gli steli rosso fulvo e oltremare, con un movimento così simile a quello delle onde che ci si aspettava di vedere creste di spuma e pesci guizzare all'aria.
Non c'erano pesci, nel mare d'Erba, ma c'erano serpenti d'erba lunghi venti metri; e se il tappeto Hawking si fosse guastato, anche dopo un atterraggio morbido il Console non sarebbe rimasto vivo a lungo.
Il Console stese il tappeto, mise dietro di sé la sacca, attivò il motore. Si tenne a venticinque metri dalla superficie, quota bassa, ma non abbastanza perché un serpente d'erba potesse scambiarlo per un bocconcino volante. Il carro a vela aveva impiegato meno di un giorno di Hyperion, per trasportare i pellegrini attraverso il mare d'Erba, ma con frequente vento da nordest che aveva comportato un po' di beccheggio. Il Console era sicuro di sorvolare in meno di quindici ore la parte più stretta del mare d'Erba. Toccò i disegni di comando e il tappeto balzò in avanti a velocità più sostenuta.