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Nel giro di venti minuti le montagne rimasero indietro finché anche le alture pedemontane non si persero nella foschia della distanza. Nel giro di un'ora, i picchi cominciarono a rimpicciolirsi e la curvatura del pianeta ne nascose la base. Dopo due ore, il Console scorgeva solo i picchi più alti come un'ombra indistinta e scanalata che sporgeva dalla foschia.

Poi il mare d'Erba si estese in tutte le direzioni, sempre uguale, a parte le sinuose increspature e gli avvallamenti causati di tanto in tanto dalla brezza. Faceva molto più caldo che nell'alto pianoro a nord della Briglia. Il Console si tolse il mantello termico, poi la giacca, poi il maglione. Il sole batteva con forza sorprendente, per latitudini così alte. Il Console frugò nella sacca, trovò il cappello a tricorno, stropicciato e rovinato, che aveva portato con tanta spigliatezza solo due giorni prima, e se lo cacciò in testa per proteggersi. La fronte e la pelata erano già arrossate dal sole.

Dopo circa quattro ore, consumò il primo pasto del viaggio e mandò giù le strisce insapori di proteine delle l'azioni da campo come se fossero filet mignon. L'acqua fu la parte più deliziosa e il Console represse l'impulso di vuotare tutte le bottiglie per bere a sazietà.

Il mare d'Erba si estendeva sotto di lui, davanti, dietro. Il Console sonnecchiò, risvegliandosi bruscamente ogni volta con la sensazione di cadere e afferrandosi al bordo del tappeto. Capi che si sarebbe dovuto legare, usando l'unico pezzo di corda che aveva nella sacca, ma preferiva non atterrare… l'erba era tagliente e più alta di lui. Non aveva visto nessuna scia a V rivelatrice, ma non poteva essere sicuro che i serpenti d'erba non se ne stessero in riposo e in attesa, più sotto.

Si domandò oziosamente dove fosse finito il carro a vela. Il veicolo era completamente automatizzato e presumibilmente programmato dalla Chiesa dello Shrike, dal momento che era stata quest'ultima a favorire il pellegrinaggio. Chissà quali altri compiti aveva avuto il carro a vela. Il Console scosse la testa, sedette dritto, si pizzicò le guance. Aveva cominciato ad appisolarsi, anche mentre pensava al carro a vela. Quindici ore erano parse un periodo abbastanza breve, quando ne aveva parlato, nella Valle delle Tombe. Diede un'occhiata al comlog: erano trascorse cinque ore.

Il Console portò il tappeto a duecento metri di quota, guardò attentamente se c'erano segni di serpenti, poi scese a cinque metri e si mantenne librato sull'erba. Estrasse la corda, confezionò un cappio, si spostò sul davanti del tappeto e lo avvolse con vari giri di fune, lasciando spazio sufficiente a scivolarvi dentro, prima di stringere il nodo.

In caso di caduta, il legaccio sarebbe stato peggio che inutile; ma le strette spire di corda contro la schiena gli diedero un senso di sicurezza, quando si sporse a toccare di nuovo i fili di volo, stabilizzò il tappeto a quaranta metri di quota e si distese con la guancia contro il tessuto tiepido. La luce del sole gli filtrò tra le dita e il Console si rese conto che il braccio nudo avrebbe subito una brutta scottatura.

Era troppo stanco per mettersi a sedere e srotolarsi le maniche.

Si levò la brezza. Il Console sentì il fruscio e il brusio, in basso: l'erba si muoveva al vento oppure al passaggio di una grossa creatura.

Era troppo stanco per badarvi. Chiuse gli occhi e in meno di trenta secondi si addormentò.

Il Console sognò la propria casa, la casa vera, su Patto-Maui e il sogno fu pieno di colore: l'infinito cielo azzurro, l'ampia distesa del mar Meridionale, blu oltremare che cambiava in verde dove iniziavano le Secche Equatoriali, gli stupefacenti verdi e gialli e rossi orchidea delle isole mobili spinte a nord come greggi dai delfini… ormai estinti, dopo l'invasione dell'Egemonia durante l'infanzia del Console, ma vivi nel sogno, delfini che con grandi balzi frangevano l'acqua e facevano danzare nell'aria pura migliaia di prismi di luce.

Nel sogno, il Console era di nuovo bambino e stava sul livello più alto di un albero-casa, nella loro Isola Prima Famiglia. Nonna Siri era accanto a lui… non la regale grande dame che aveva conosciuto, ma la bella fanciulla di cui suo padre si era innamorato. Le albero-vele sbattevano al vento, mentre i delfini spingevano in precisa formazione la mandria di isole mobili attraverso i canali azzurri fra le Secche. A nord, proprio all'orizzonte, le prime isole dell'Arcipelago Equatoriale si delineavano, verdi e stabili, contro il cielo della sera.

Siri gli toccò la spalla e indicò l'ovest.

Le isole bruciavano, affondavano, con le radici di assimilazione che si torcevano in vana sofferenza. I delfini pastori erano scomparsi. Dal cielo pioveva fuoco. Il Console riconobbe lance da miliardi di volt che bruciavano l'aria e gli lasciavano nella retina post-immagini grigiazzurre. Esplosioni sottomarine illuminavano gli oceani e mandavano migliaia di pesci e di fragili creature marine a ballonzolare in superficie negli spasmi della morte.

«Perché?» chiese nonna Siri; ma la sua voce era il dolce bisbiglio di una ragazzina.

Il Console tentò di risponderle, ma non ci riuscì. Le lacrime lo accecavano. Cercò la mano della nonna ma lei non era più lì, e il senso che fosse morta, che lui non avrebbe mai potuto rimediare ai propri peccati, lo addolorò al punto da rendergli impossibile respirare. Aveva la gola chiusa dall'emozione. Poi si rese conto che era il fumo, a fargli bruciare gli occhi e a riempirgli i polmoni: l'Isola Famiglia era in fiamme.

Il bambino che era il Console barcollò nel buio azzurrastro cercando alla cieca qualcuno che lo tenesse per mano, che lo rassicurasse.

Una mano si chiuse sulla sua. Non era quella di Siri. Era una mano incredibilmente ferma, che lo stringeva. Le dita erano lame.

Il Console si svegliò ansimando.

Era buio. Aveva dormito per sette ore almeno. Lottando contro le corde, si alzò a sedere, fissò il bagliore del display del comlog.

Dodici ore. Aveva dormito dodici ore.

Ogni muscolo del corpo protestò dolorosamente, quando si sporse a guardare in basso. Il tappeto Hawking manteneva la quota costante di quaranta metri, ma il Console non aveva la minima idea di dove fosse. Sotto di lui, basse colline salivano e scendevano. Senza dubbio il tappeto ne aveva mancate alcune di un paio di metri; erba arancione e licheni nani crescevano in ciuffi soffici.

Da qualche parte, in un momento imprecisato delle ultime ore, aveva sorvolato la riva meridionale del mare d'Erba, aveva mancato il piccolo porto di Limito e i moli del fiume Hoolie dove all'andata avevano ormeggiato la chiatta a levitazione, la Benares.

Il Console non aveva bussola — le bussole erano inutili, su Hyperion — né un comlog programmato come monitor inerziale di direzione. Contava di trovare la strada per Keats seguendo l'Hoolie a sud e a ovest, ripercorrendo il cammino laborioso del pellegrinaggio su per il fiume, a parte curve e anse.

Adesso si era smarrito.

Atterrò sulla sommità di una bassa collina, mise piede con un gemito di dolore sul terreno solido e spense il tappeto. Aveva consumato per un terzo, forse più, la carica dei fili di volo. E non sapeva quanta efficienza il tappeto avesse perduto, con il passare degli anni.

Le colline sembravano il territorio accidentato a sudovest del mare d'Erba, ma il fiume non si vedeva. Il comlog gli disse che il buio era sceso solo da un paio d ore, ma il Console non vide traccia di tramonto. Il cielo coperto impediva di vedere sia la luce delle stelle, sia le eventuali esplosioni della battaglia spaziale.