— Sarebbe un dono, per Hoyt, riportarlo allo stato precedente? — disse Sol, a voce bassa.
Per un momento Duré rimase in silenzio. Poi gli strinse il braccio. — Vado a fare due passi — disse.
— Dove? — Sol fissò a occhi socchiusi la densa caligine pomeridiana sul deserto. Anche sotto la bassa coltre di nuvole, la valle era un forno.
— Giù nella valle — rispose il prete, con un gesto vago. — Tornerò presto.
— Faccia attenzione — disse Sol. — E ricordi che il Console, se s'imbatte in uno skimmer di pattuglia lungo l'Hoolie, potrebbe tornare oggi pomeriggio.
Duré annuì, andò a prendere una bottiglia d'acqua e a fare una carezza a Rachel, poi scese la lunga scalinata della Sfinge, attento a dove metteva i piedi, come un uomo molto, molto vecchio.
Sol lo guardò allontanarsi, diventare una figura sempre più piccola, distorta dalle ondate di calore e dalla distanza. Con un sospiro tornò a sedersi accanto alla figlia.
Paul Duré cercò di tenersi all'ombra, ma anche lì il caldo opprimente pesava come un enorme giogo sulle spalle. Il prete oltrepassò la Tomba di Giada e seguì il sentiero verso le pareti nord e l'Obelisco. La sottile ombra di questa tomba disegnava una macchia scura sulla pietra rosea e sulla polvere del fondovalle. Duré proseguì in discesa, attraversò con prudenza i detriti intorno al Monolito di Cristallo e lanciò un'occhiata in alto: un vento pigro muoveva i vetri in frantumi e sibilava tra le fessure nella parte superiore della facciata della tomba. Duré vide il proprio riflesso nella parte inferiore e ricordò quando aveva udito il suono d'organo del vento della sera che s'alzava dalla Fenditura, nell'altopiano Punta d'Ala, dove aveva trovato i Bikura. Gli parve che fosse accaduto intere vite prima. Ed era vero, alla lettera!
Duré sentì i danni che la ricostruzione del crucimorfo aveva provocato alla mente e alla memoria. Dava la nausea… l'equivalente di un collasso cardiaco senza speranza di guarigione. Ragionamenti che un tempo sarebbero stati per lui gioco da ragazzi ora richiedevano estrema concentrazione oppure trascendevano semplicemente le sue capacità. Le parole gli sfuggivano. Le emozioni lo strattonavano con la stessa improvvisa violenza delle maree del tempo. Varie volte era stato costretto a lasciare gli altri pellegrini e mettersi in un canto a piangere in solitudine, per ragioni che non riusciva a capire.
Gli altri pellegrini. Ora rimanevano soltanto Sol e la piccina. Padre Duré avrebbe dato volentieri la propria vita, in cambio della loro. Era peccato, si domandò, pensare a patti con l'Anticristo?
Si era inoltrato di parecchio nella valle, quasi fino alla curva verso est, nell'ampio cul-de-sac dove il Palazzo dello Shrike gettava sulla roccia il suo labirinto d'ombre. Il sentiero deviava verso la parete di nordovest e passava davanti alle Grotte. Dalla prima usciva aria fresca e Duré fu tentato di entrare anche solo per riprendersi dal caldo, chiudere gli occhi e schiacciare un pisolino.
Continuò a camminare.
L'ingresso della seconda tomba aveva un numero maggiore di sculture barocche; a Duré ricordò l'antica basilica scoperta nella Fenditura… l'enorme croce e l'altare dove i Bikura avevano "adorato". Adoravano l'oscena immortalità del crucimorfo, non la possibilità della vera Risurrezione promessa dalla Croce. Ma qual era, la differenza? Duré scosse la testa, cercò di eliminare la nebbia e il cinismo che gli rannuvolavano ogni pensiero. Il sentiero deviò più in alto, al di là della terza Grotta, la più bassa e insignificante delle tre.
C'era una luce, dentro la terza Grotta.
Duré si fermò, trasse un respiro, lanciò un'occhiata nella valle. La Sfinge era visibilissima, quasi un chilometro più indietro, ma Duré non riuscì a distinguere Sol, nelle ombre. Per un momento si domandò se era stata proprio la terza tomba, quella in cui si erano rifugiati il giorno prima… e se uno di loro vi avesse lasciato una lanterna.
Non era stata la terza Tomba. Tranne che per cercare Kassad, nessuno era entrato lì, negli ultimi tre giorni.
Padre Duré capì che avrebbe dovuto ignorare la luce, tornare da Sol, continuare la vigilia con lui e la figlia.
"Ma lo Shrike è venuto a ciascuno degli altri, separatamente. Perché dovrei rifiutare la convocazione?"
Duré sentì l'umido sulla guancia e si rese conto di piangere in silenzio, senza accorgersene. Bruscamente, col dorso della mano, si asciugò le lacrime e rimase lì, a pugni serrati.
"L'intelligenza era la mia vanità maggiore. Ero il gesuita intellettuale, saldo nella tradizione di Teilhard e di Prassard. Anche la teologia spacciata alla Chiesa, ai seminaristi, ai pochi fedeli che ancora ascoltavano, ha accentuato la mente, quel meraviglioso Punto Omega della consapevolezza. Dio è un algoritmo intelligente.
"Be', ci sono cose al di là dell'intelligenza, Paul."
Duré entrò nella terza Grotta.
Sol si svegliò di soprassalto, convinto che qualcuno strisciasse verso di lui.
Balzò in piedi e si guardò intorno. Rachel piagnucolò, svegliandosi dal sonno nello stesso momento del padre. Brawne Lamia giaceva, immobile, dove l'avevano lasciata, con le spie mediche che brillavano sempre di luce verde, mentre il segnalatore di attività cerebrale era rosso intenso.
Sol aveva dormito almeno un'ora; le ombre erano strisciate sul fondo della valle e solo la sommità della Sfinge era ancora illuminata dal sole che filtrava tra gli squarci delle nuvole. Gli ultimi raggi entravano obliquamente dall'imboccatura della valle e illuminavano le scarpate opposte. Il vento cominciava ad alzarsi.
Ma niente si muoveva, nella valle.
Sol prese in braccio Rachel, la cullò, scese di corsa i gradini, guardò dietro la Sfinge e verso le altre Tombe.
— Paul! — Il richiamo rimbalzò contro le rocce. Il vento sollevò polvere al di là della Tomba di Giada, ma nient'altro si mosse. Sol aveva ancora l'impressione che qualcosa gli si avvicinasse di nascosto: si sentiva osservato.
Rachel strillò e si agitò, con la voce acuta di una bimba appena nata. Sol diede un'occhiata al comlog. Un'ora dopo Rachel avrebbe avuto un giorno esatto. Sol esaminò il cielo, cercandovi la nave del Console; imprecò sottovoce contro se stesso e tornò all'entrata della Sfinge per cambiare il pannolino alla piccina, controllare Brawne, prendere dallo zaino un nutripac e un mantello. La temperatura si abbassava in fretta, calato il sole.
Nella mezz'ora di crepuscolo che restava, Sol percorse velocemente la valle, gridando il nome di Duré e scrutando dentro le Tombe, senza entrare. Oltrepassò la Tomba di Giada, dove Hoyt era stato assassinato, le cui pareti già cominciavano a splendere di verde latteo. Oltrepassò lo scuro Obelisco, la cui ombra arrivava in alto nella parete di roccia di sudest. Oltrepassò il Monolito di Cristallo, la cui parte superiore rifletteva le ultime luci dei giorno e divenne opaca quando il sole calò al di là della Città dei Poeti. Nel fresco improvviso e nel silenzio della sera oltrepassò le Grotte e gridò all'ingresso di ciascuna; sul viso l'aria umida gli parve il freddo alito di una bocca spalancata.
Nessuna risposta.
Sul finire del crepuscolo, Sol oltrepassò la curva della valle che portava al guazzabuglio di lame e di bastioni del Palazzo dello Shrike, tenebroso e sinistro nel buio sempre più fitto. Si fermò all'ingresso, cercando di ricavare un senso dalle ombre color inchiostro, dalle guglie, falsi puntoni, pilastri; gridò nell'interno buio. Solo l'eco rispose. Rachel ricominciò a piangere.
Preso dai brividi, con un senso di gelo alla base della nuca, girandosi di continuo per sorprendere l'invisibile osservatore e scorgendo solo ombre sempre più fitte e le prime stelle della sera Ira gli squarci delle nuvole, Sol si affrettò a ripercorrere la valle in direzione della Sfinge, dapprima a passo veloce e poi quasi di corsa al di là della Tomba di Giada, mentre il vento della sera sibilava come un bimbo che strillasse.