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— Maledizione! — ansimò Sol, quando arrivò al gradino superiore della Sfinge. Brawne Lamia era scomparsa. Non c'era segno del corpo, né del cordone ombelicale metallico.

Imprecando, reggendo forte Rachel, Sol frugò nello zaino alla ricerca della torcia elettrica.

Nel corridoio centrale, dopo dieci metri, trovò la coperta in cui aveva avvolto Brawne. A parte questo, niente. I corridoi si ramificarono e si curvarono, ora allargandosi, ora restringendosi, mentre il soffitto si abbassò al punto che Sol fu costretto a strisciare, sorreggendo col braccio destro la piccina in modo da averne la guancia contro la propria. Non gli piaceva affatto trovarsi in quella tomba. Il cuore gli batteva con tanta forza che a tratti Sol si aspettava quasi di avere un infarto.

L'ultimo corridoio si restrinse nel nulla. Dove prima il cavo metallico serpeggiava nella pietra, adesso c'era solo pietra.

Sol resse fra i denti la torcia elettrica e diede una manata alla roccia, spinse pietre grosse come case, come se dovesse aprire un passaggio segreto, portare alla luce tunnel nascosti.

Niente.

Tenne stretta Rachel e incominciò la strada del ritorno; sbagliò alcune svolte, e sentì il cuore battere all'impazzata quando credette di essersi smarrito. Poi si trovò in un corridoio che riconobbe, da lì passò nel corridoio principale, infine fu all'esterno.

Scese la scalinata e portò la piccina lontano dalla Sfinge. Si fermò all'imboccatura della valle, si sedette sopra una pietra e riprese fiato a grandi boccate. Rachel gli appoggiava ancora al collo la guancia, ma era silenziosa, non si muoveva, a parte il lieve arricciare di dita contro la barba.

Alle spalle di Sol il vento soffiava dalle lande deserte. In alto le nuvole si aprirono e poi si richiusero: nascosero le stelle, per cui l'unica luce proveniva dai riflessi malati delle Tombe del Tempo. Sol temette che il folle battito del proprio cuore spaventasse la piccina, ma Rachel continuò a starsene rannicchiata beatamente contro di lui e il tepore del corpicino era una sensazione rassicurante.

— Maledizione — mormorò Sol. Aveva provato simpatia per Brawne. Aveva provato simpatia per tutti i pellegrini. E adesso erano scomparsi. I decenni di insegnamento avevano condizionato Sol a cercare negli eventi uno schema, un granello morale nella pietra formatasi per concrezione d'esperienza; ma non c'erano schemi, negli eventi su Hyperion… solo confusione e morte.

Sol cullò la piccina e guardò le lande desolate, meditando se gli conveniva abbandonare immediatamente la valle, camminare fino alla città morta o a Castel Crono… camminare a nordovest verso il Litorale o a sudest dove la Briglia incrociava il mare. Si portò al viso la mano tremante e si strofinò la guancia; non ci sarebbe stata salvezza, nelle terre desolate. Abbandonare la valle non aveva salvato Martin Sileno. La presenza dello Shrike era stata segnalata molto a sud della Briglia, addirittura a Endymion e nelle altre città meridionali; anche se il mostro li avesse risparmiati, la fame e la sete non avrebbero avuto pietà. Sol poteva sopravvivere nutrendosi di piante, di piccoli roditori, di neve disciolta… ma la scorta di latte per Rachel era limitata, anche considerando le provviste che Brawne aveva portato dal Castello. Ma, a quel punto, la scorta di latte non importava…

"Fra meno di un giorno, sarò da solo." Sol soffocò un gemito, colpito da quel pensiero. La determinazione a salvare la figlia l'aveva spinto per venticinque anni e tre volte tanti anni-luce. La decisione di restituire a Rachel la vita e la salute era stata una forza quasi palpabile, una feroce energia condivisa con Sarai e tenuta viva nello stesso modo in cui un sacerdote protegge la sacra fiamma del tempio. No, perdio, c'era un disegno, nelle cose, un puntello morale per quella piattaforma di eventi all'apparenza accidentali; e Sol Weintraub avrebbe scommesso, su questa convinzione, la propria vita e quella della figlia.

Si alzò, percorse lentamente il sentiero fino alla Sfinge, salì la scalinata, trovò mantello termico e coperte, preparò sul gradino più alto un nido per sé e per la piccina, mentre i venti di Hyperion ululavano e le Tombe del Tempo brillavano con intensità maggiore.

Rachel giacque bocconi, la guancia contro la spalla del padre, le manine che si aprivano e si chiudevano, mentre lasciava il mondo per la terra del sonno dei bambini. Sol udì il debole respiro, mentre la piccina passava a un sonno più profondo, udì i lievi gemiti, mentre formava bollicine di saliva. Dopo un poco, anche lui allentò la stretta sul mondo e si unì a lei nel sonno.

30

Sol sognò il sogno che lo tormentava dal giorno in cui Rachel aveva contratto il morbo di Merlino. Camminava in un vasto edificio dove colonne grandi come sequoie si inalzavano nella penombra e una luce color carminio cadeva in solidi raggi da un imprecisato punto in alto. Ci fu il rumore di una gigantesca esplosione, di interi mondi in fiamme. Di fronte a lui si accesero due ovali del rosso più intenso.

Sol riconobbe il luogo. Sapeva che più avanti avrebbe trovato un altare su cui era distesa Rachel, Rachel adulta, priva di sensi. Poi sarebbe giunta la Voce, a ordinare.

Sol si fermò sulla balconata e fissò in basso la scena ben nota. Sua figlia, la donna che lui e Sarai avevano salutato alla partenza della missione di ricerca sul remoto Hyperion, giaceva nuda sopra un largo blocco di pietra. In alto fluttuavano due ovali di un rosso intensissimo, gli occhi dello Shrike. Sull'altare c'era un lungo coltello ricurvo, d'osso affilato. Allora giunse la Voce:

"Sol! Prendi tua figlia, la tua unica figlia Rachel da te amata; vai sul mondo chiamato Hyperion e offrila come olocausto, in uno dei luoghi che ti dirò."

Sol si sentì tremare le braccia, per la furia e per il dolore. Si strappò i capelli e gridò nel buio, ripetendo le parole che aveva già detto a quella voce:

"Non ci saranno più offerte, né di figli né di genitori. Non ci saranno più sacrifici. Il tempo dell'ubbidienza e della redenzione è finito. O ci aiuti da amico, oppure vattene via."

Nei sogni precedenti, seguiva il rumore del vento, un senso di solitudine, orribili passi che s'allontanavano nel buio. Ma questa volta il sogno continuò, l'altare scintillò e a un tratto fu vuoto, a parte il coltello d'osso. In alto, gli ovali rossi fluttuavano ancora, rubini di fuoco grossi come pianeti.

"Sol, ascolta" riprese la Voce, ora modulata in modo da non echeggiare dall'alto, ma che quasi gli bisbigliava all'orecchio. "Il futuro dell'umanità dipende dalla tua scelta. Non puoi offrire Rachel per amore, se non per ubbidienza?"

Sol udì nella mente la risposta nello stesso momento in cui brancolava cercando le parole. Non ci sarebbero state altre offerte. Non oggi. Né mai. L'umanità aveva patito abbastanza, per amore di dèi, per la lunga ricerca di Dio. Sol pensò ai molti secoli in cui il suo popolo, gli ebrei, avevano patteggiato con Dio, lamentandosi, litigando, denunciando l'ingiustizia delle cose, ma sempre — sempre — tornando all'ubbidienza a ogni costo. Generazioni morenti nei forni dell'odio. Future generazioni segnate dai fuochi freddi delle radiazioni e dell'odio rinnovato.

Non stavolta. Mai più.

— Rispondi di sì, papà.

Sol sobbalzò al tocco di una mano. Sua figlia, Rachel, gli era accanto, né neonata né adulta, ma la bambina di otto anni che aveva conosciuto due volte, mentre cresceva e mentre ringiovaniva per il morbo di Merlino: Rachel con i capelli castano chiaro legati sulla nuca in una semplice treccina, figuretta piccola nella tuta da gioco di denim scolorito e scarpe da ginnastica.