Sol si fermò in cima all'ultimo gradino e prese fiato. La luce del sole era una cosa palpabile, riempiva il cielo e accendeva le ali e la parte superiore della Sfinge. La Tomba stessa sembrava rilasciare la luce immagazzinata, come le pietre del deserto di Hebron, dove Sol aveva vagato anni prima, cercando illuminazione e trovando solo dolore. L'aria brillava di luce, il vento diventava più forte, soffiava sabbia sul fondo della valle, poi si calmava.
Sull'ultimo gradino Sol piegò il ginocchio, tolse a Rachel la coperta, lasciò la piccina con la semplice veste di cotone da neonata. Una veste fatta di fasce.
Rachel si agitò fra le sue braccia. Il viso era paonazzo e lustro, le manine erano rosse per lo sforzo di stringersi e aprirsi. Sol la ricordava proprio così, quando il medico gliel'aveva data in braccio e lui aveva fissato la figlia appena nata proprio come la fissava adesso, prima di deporla sul ventre di Sarai in modo che anche lei la vedesse.
— Ah, Dio — mormorò. Piegò anche l'altro ginocchio. Adesso era davvero inginocchiato.
L'intera valle vibrò come per il tremito di un terremoto. Sol udiva vagamente le esplosioni che continuavano lontano verso sud. Ma era più colpito dal terribile bagliore della Sfinge. L'ombra di Sol balzò cinquanta metri dietro di lui giù per la scalinata e sul fondovalle, mentre la tomba pulsava e vibrava di luce. Con la coda dell'occhio Sol vide che le altre Tombe brillavano con uguale intensità: enormi, barocchi reattori negli ultimi istanti prima della fusione.
L'ingresso della Sfinge pulsò di blu, poi di viola, poi di un bianco terrificante. Dietro la Sfinge, sulla parete dell'altopiano sopra la Valle delle Tombe, un albero impossibile brillò dal nulla, un tronco gigantesco e affilati rami d'acciaio che si alzavano fra le nuvole rilucenti e ancora più in alto. Con una rapida occhiata, Sol vide spine lunghe tre metri e gli orribili frutti che portavano; poi tornò a guardare l'ingresso della Sfinge.
Da qualche parte il vento ululò e il tuono rombò. Da qualche parte la polvere vermiglia si alzò come una cortina di sangue secco nella terribile luce delle Tombe. Da qualche parte una voce mandò un grido e un coro urlò.
Sol non vi badò. Aveva occhi solo per il visetto della figlia e, dietro di lei, per le ombre che ora riempivano l'ingresso lucente della tomba.
Lo Shrike uscì. Con i suoi tre metri di mole e di lame d'acciaio, fu costretto a chinarsi per passare sotto l'architrave. Uscì sulla terrazza della Sfinge e venne avanti, parte creatura, parte statua, camminando con l'orribile determinazione di un incubo.
Dall'alto la luce morente guizzò sul carapace della creatura, ruscellò lungo la piastra pettorale ricurva e le spine d'acciaio che ne sporgevano, tremolò sulle dita a lama e sui bisturi che spuntavano da ogni giuntura. Sol strinse al petto Rachel, fissò le fornaci rosse e sfaccettate che passavano per gli occhi dello Shrike. Il tramonto svanì nel bagliore rosso sangue del sogno ricorrente di Sol.
Lo Shrike girò leggermente la testa, ruotandola senza attrito, di novanta gradi a destra, di novanta a sinistra, come se sorvegliasse il proprio dominio.
Avanzò di tre passi, si fermò a meno di due metri da Sol. Le quattro braccia si sollevarono, snudarono le lame simili a dita.
Sol abbracciò più strettamente Rachel. La piccina aveva la pelle madida, il viso graffiato e macchiato dallo sforzo di nascere. Restava solo qualche secondo. Gli occhi si mossero separatamente, parvero mettersi a fuoco su Sol.
"Rispondi di sì, papà." Sol ricordò il sogno.
Lo Shrike abbassò la testa, finché gli occhi di rubino non fissarono altro che Sol e sua figlia. Le fauci argento vivo si socchiusero, mostrarono strati di denti d'acciaio. Quattro mani si protesero, palmo metallico in alto, e si fermarono a mezzo metro dal viso di Sol.
"Rispondi di sì, papà." Sol ricordò il sogno, ricordò l'abbraccio della figlia e capì che alla fine — quando tutto il resto è polvere — la lealtà nei confronti di chi amiamo è tutto quel che possiamo portare con noi nella fossa. La fede, la vera fede, era la fiducia in questo amore.
Sol sollevò la figlia, appena nata e in punto di morte, qualche secondo appena, che ora strillava con il primo e ultimo fiato, e la tese allo Shrike.
L'assenza di quel piccolo peso colpì Sol con un'orribile vertigine.
Lo Shrike sollevò Rachel, indietreggiò di un passo, fu avviluppato di luce.
Dietro la Sfinge, l'albero di spine smise di tremolare, entrò in fase con l'adesso, fu orribilmente a fuoco.
Sol venne avanti, implorando a braccia tese, mentre lo Shrike arretrava nella luce e svaniva. Esplosioni incresparono le nuvole e sbatterono Sol in ginocchio, con la pressione delle onde d'urto.
Dietro Sol, intorno a Sol, le Tombe del Tempo si aprivano.
PARTE TERZA
31
Mi svegliai e non fui contento che mi avessero svegliato.
Mi girai, socchiusi gli occhi e imprecai all'improvvisa invasione di luce; Leigh Hunt, seduto sull'orlo del letto, reggeva ancora in mano un iniettore aerosol.
— Ha preso pillole di sonnifero sufficienti a tenerla a letto tutto il giorno — disse. — Si alzi e scenda.
Mi tirai a sedere, mi strofinai la barba di un giorno, guardai nella direzione di Hunt. — Chi diavolo le ha dato il diritto di entrare nella mia stanza? — Per lo sforzo di parlare, cominciai a tossire e non mi fermai finché Hunt non tornò dal bagno portando un bicchiere d'acqua.
— Tenga.
Bevvi, cercando inutilmente di mostrarmi furibondo e offeso, fra uno spasmo di tosse e l'altro. Brandelli di sogno svanirono come nebbia mattutina. Un terribile senso di perdita scese su di me.
— Si vesta — disse Hunt, restando in piedi. — Il PFE vuole vederla fra venti minuti. Mentre dormiva, sono accadute diverse cose.
— Quali? — Mi strofinai gli occhi e mi passai le dita fra i capelli arruffati.
Hunt sorrise di storto. — Si colleghi alla sfera dati. Poi scenda al più presto possibile nell'ufficio di Gladstone. Venti minuti, Severn. — Uscì dalla camera.
Mi collegai alla sfera dati. Un modo di visualizzare il punto d'entrata nella sfera dati è quello di immaginare una zona a turbolenza variabile dell'oceano della Vecchia Terra. I giorni normali tendevano a mostrare un mare placido con interessanti disegni di increspature. Le crisi mostravano mare mosso e creste di onde. Oggi era in corso un uragano. L'entrata era ritardata su ogni via d'accesso, la confusione regnava nei frangenti degli impulsi di aggiornamento, la matrice piano dati era impazzita con cambiamenti di deposito e trasferimenti di credito; e la Totalità, di solito un ronzio multistrato di notizie e di dibattiti politici, era un vento furioso di confusione, referendum abbandonati e obsoleti stampi di posizione soffiati via come brandelli di nuvole.
— Sant'Iddio — mormorai, interrompendo il contatto ma sentendo la pressione dell'ondata di notizie premermi ancora sui circuiti impiantati e sul cervello. Guerra. Attacco di sorpresa. Imminente distruzione della Rete. Proposte di incriminare Gladstone. Sommosse su decine di mondi. Ribellione del Culto Shrike, su Lusus. La flotta della FORCE in ritirata dal sistema di Hyperion con una disperata azione di retroguardia, ma troppo tardi, troppo tardi. Hyperion già sotto attacco. Timore di incursioni via teleporter.
Mi alzai, corsi a farmi la doccia e il bagno di ultrasuoni, a tempo record. Hunt o qualcun altro mi aveva preparato un abito formale grigio con mantello; mi vestii in fretta, mi pettinai all'indietro i capelli bagnati e dei riccioli umidi mi ricaddero sul colletto.
Non andava bene far attendere il Primo Funzionario Esecutivo dell'Egemonia dell'Uomo. Oh, no, non andava bene affatto.
— Era ora che arrivasse — disse Meina Gladstone, quando entrai nelle sue stanze private.