— Billy! — grida di nuovo Sileno; poi, per il dolore, perde vista e pensiero. Si concentra sulla struttura del dolore, ne segue il disegno come se seguisse il contorno del tronco, dei rami, dei ramoscelli, delle spine dell'albero stesso. — Maestà!
Al di sopra delle grida, ode una voce e con stupore scopre che grida e voce sono sue:
Riconosce i versi, non suoi, di John Keats, e sente che le parole accrescono la struttura dell'apparente caos di dolore che lo circonda. Capisce che il dolore è stato con lui fin dalla nascita… il dono dell'universo a un poeta. È un riflesso fisico del dolore, quello che ha sentito e cercato inutilmente di mettere in versi, d'appuntare in prosa, per tutti gli inutili anni di vita. È peggio del dolore; è infelicità perché l'universo offre dolore a tutti.
Sileno declama a voce alta, ma non grida. Il ruggito di dolore che proviene dall'albero, più psichico che fisico, diminuisce per una minima frazione di secondo. C'è un'isola di turbamento, in quell'oceano di determinazione.
— Martin!
Sileno s'inarca, solleva la testa, cerca di mettere a fuoco la vista tra la foschia di dolore. Re Billy il Triste gracchia una parola che dopo un istante infinito Sileno riconosce: "Ancora!"
Sileno urla di sofferenza atroce, si contorce in uno spasmo di sciocca risposta fisica; ma quando si ferma, penzolando esausto, con il dolore non attenuato ma spinto via dalle zone motrici del cervello dalle tossine della fatica, permette alla voce che ha in sé di gridare e bisbigliare la propria canzone:
Il piccolo cerchio di silenzio si allarga a includere diversi rami vicini, una manciata di spine con i loro grappoli di esseri umani in extremis.
Sileno fissa re Billy il Triste, vede il suo signore tradito aprire gli occhi afflitti. Per la prima volta in più di due secoli, mecenate e poeta si guardano. Sileno consegna il messaggio che l'ha portato qui, che l'ha appeso lì. — Maestà, sono spiacente.
Prima che Billy possa rispondere, prima che il coro di grida soffochi qualsiasi risposta, l'aria muta, l'impressione di tempo congelato si agita, l'albero si scuote come se tutto intero fosse caduto di un metro. Sileno urla con gli altri, mentre il ramo si scuote e la spina gli lacera le interiora, gli strazia di nuovo la carne.
Sileno apre gli occhi e vede che il cielo è reale, il deserto è reale, le Tombe risplendono, il vento soffia, il tempo è ricominciato. Non c'è diminuzione del tormento, ma la chiarezza è tornata.
Martin Sileno ride fra le lacrime. — Ehi, mamma! — grida, ridacchiando scioccamente, anche se la lancia d'acciaio gli trapassa ancora il petto. — Da quassù vedo tutta la città!
— Signor Severn? Si sente bene?
Ansimando, a quattro zampe, mi girai verso la voce. Aprire gli occhi fu doloroso, ma nessun dolore era paragonabile a quello che avevo appena provato.
— Sta bene, signore?
Accanto a me, nel giardino, non c'era nessuno. La voce proveniva dalla microguardia che ronzava a mezzo metro dal mio viso, controllata da un agente della sicurezza chissà dove nella Casa del Governo.
— Sì — riuscii a dire, tirandomi in piedi e spazzolandomi pietruzze dalle ginocchia. — Sto bene. Un… un dolore improvviso.
— Il pronto soccorso può essere qui in due minuti, signore. Il suo biomonitor non segnala disfunzioni organiche, ma possiamo…
— No, no — dissi. — Sto benissimo. Lasciate stare. E lasciatemi in pace!
La microguardia sfarfallò come un colibrì nervoso. — Sì, signore. Ma chiami, se le occorre qualcosa. Il monitor del giardino risponderà.
— Se ne vada — dissi.
Lasciai il giardino, percorsi il corridoio principale della Casa del Governo, ora pieno di posti di controllo e di guardie della sicurezza, e uscii nel panoramico Parco dei Cervi.
La zona del molo adesso era silenziosa; non avevo mai visto il fiume Teti così immobile. — Cosa succede? — domandai a uno degli agenti della sicurezza fermi sulla banchina.
L'agente si collegò al mio comlog, ottenne conferma del mio livello di priorità e dell'autorizzazione PFE, ma rispose senza fretta. — I portali sono stati deviati da TC2 — disse, con cadenza strascicata. — Aggirati.
— Aggirati? Vuol dire che il fiume non scorre più attraverso Tau Ceti Centro?
— Esatto. — Si calò il visore all'avvicinarsi di una piccola imbarcazione e tornò a sollevarlo, quando identificò a bordo due agenti della sicurezza.
— Posso uscire da quella parte? — Indicai a monte del fiume, dove gli alti portali mostravano un'opaca cortina di grigio.
L'agente scrollò le spalle. — Già. Ma da lì non le sarà permesso rientrare.
— Va bene lo stesso. Posso prendere quella piccola barca?
L'agente bisbigliò nel microfono a goccia e annuì. — Vada pure.
Salii cautamente sulla barca, mi sedetti sulla panca posteriore e mi ressi alle falchette finché il dondolio non smise; toccai il diskey di potenza e dissi: — Parti.
I jet elettrici ronzarono, la piccola lancia tolse gli ormeggi e puntò il muso nel fiume; indicai di risalirlo.
Non sapevo che una parte del fiume Teti fosse isolata, ma ora vedevo chiaramente che la cortina del teleporter era una membrana semipermeabile unidirezionale. La barca l'attraversò ronzando; mi scrollai di dosso la sensazione di formicolio e mi guardai intorno.
Mi trovavo in una delle grandi città lagunari — Ardmen, o forse Pamolo — di Vettore Rinascimento. Lì il Teti era la via principale, dalla quale si dipartivano parecchi affluenti. Normalmente, il traffico fluviale era composto solo di gondole di turisti nelle corsie esterne e di yacht e di spazioanfibi dei ricchissimi nelle corsie centrali. Quel giorno era un manicomio.
Imbarcazioni di ogni forma e grandezza intasavano nei due sensi i canali centrali. Sulle case galleggianti c'erano pile di masserizie, le imbarcazioni più piccole erano così cariche da far pensare che una piccolissima ondata o una scia le avrebbe capovolte. Centinaia di giunche ornamentali di Tsingtao-Hsishuang Panna e di condom-chiatte fluviali di Fuji rivaleggiavano per una fetta di fiume; immaginai che ben poche di quelle imbarcazioni residenziali avessero lasciato gli ormeggi in precedenza. Fra la confusione di legno, di plastacciaio e di perspex, gli spazioanfibi si muovevano come uova d'argento, con il campo di contenimento regolato sulla massima riflessione.
Interrogai la sfera dati: Vettore Rinascimento era un mondo della seconda ondata, centosette ore dall'invasione. Mi parve strano che profughi di Fuji affollassero qui le vie d'acqua, dal momento che quel mondo aveva più di duecento ore di tempo, prima che la scure calasse; ma poi capii che, a parte la rimozione di TC2 dal fiume, il Teti scorreva ancora lungo la solita serie di mondi. Profughi di Fuji avevano preso il fiume da Tsingtao, trenta ore dagli Ouster, attraverso Deneb Drei a 147 ore, attraverso Vettore Rinascimento, verso Parsimony oppure Grass, tutti e due non minacciati, al momento. Scossi la testa, trovai un corso d'acqua tributario relativamente tranquilla da dove guardare la folla, e mi chiesi quando le autorità avrebbero cambiato il corso del fiume in modo che tutti i mondi minacciati scorressero verso la salvezza.