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Faceva freddo; buttò la testa all’indietro per bersi tutta l’aria della notte.

«Ah, sei qui!»

Si mosse e stava per girarsi per tornare all’interno quando, all’improvviso, Tracey gli apparve di fronte e lo abbracciò stretto.

«Ho detto a mia madre di andare all’inferno», disse, ridendo e piangendo nello stesso momento. «Mi aveva detto di non uscire e io l’ho mandata all’inferno. Dio, mi ammazzerà di sicuro quando tornerò a casa.»

Con cautela, Don rispose all’abbraccio e, pieno di gratitudine, abbassò il viso per riposarsi sui capelli della ragazza. Non gli importava niente che lo stessero osservando, anzi, avrebbe ammazzato la persona che avesse osato allontanarli.

Un altro abbraccio e poi lei disse: «Forza, voglio parlarti». Lo prese per un braccio e lo trascinò oltre l’arco circolare che sovrastava l’ingresso dell’ospedale per accompagnarlo sui prati di fronte. Sulla destra c’era il parcheggio per i visitatori, vuoto e malamente illuminato da tre lampioni sull’angolo; lo attraversarono senza parlare. Don alzò lo sguardo soltanto una volta per vedere se riusciva a localizzare la stanza di sua madre.

Più in là, nel punto più buio, trovarono una panchina di cemento sotto un gruppetto di ciliegi ormai scheletrici e si sedettero, fissando i pilastri di mattoni dell’ingresso dell’ospedale che stavano dall’altra parte di quella distesa di asfalto. Più oltre, si vedevano delle case, buie come gli alberi senza foglie che segnavano il margine della strada. Non c’erano macchine in giro. Nessun rumore di claxon. Era la zona ospedaliera e non si potevano fare schiamazzi.

«Come sta tua madre?» gli domandò lei, coprendogli una mano.

A scatti, fermandosi ogni tanto per schiarirsi la gola, le raccontò quello che aveva detto la polizia e quello che suo padre gli aveva riferito a proposito del signor Hedley. Poi le disse quello che sapeva, e che sua madre non sarebbe mai stata creduta nel caso avesse ripreso a parlare.

«Ma non sono stato io!» aggiunse con calore, insistendo quasi volesse chiedere perdono. «Trace, tu mi conosci, non avrei mai voluto che mia madre…» E si ricordò all’improvviso, come se avesse appena ricevuto una gomitata nello stomaco, si ricordò.

«Don?»

«Mio padre mi ha chiesto se è stato uno dei miei amici.»

«Cosa? Non posso crederci.»

«Non ti sto mentendo, Trace. Mi ha chiesto se avevo detto o fatto qualcosa al buon vecchio Brian, perché reagisse così.»

«Non poteva dire sul serio, dai, è preoccupato, tutto qui, Don. Non riesce a pensare come si deve.»

Non ne era sicuro, ma non era nemmeno sicuro che gli importasse qualcosa. «Era con il sindaco, ci puoi credere? Stava facendo un brindisi con il sindaco, mentre mia madre era sul punto di morire!»

«È stato il signor Falcone!» gli ricordò lei dolcemente.

«Lo so.» Si voltò di scatto verso di lei. «E lo sai perché lei non è morta?»

Tracey scosse il capo, poi cambiò idea e annuì. «Il parco.»

Si appoggiò all’indietro e fissò il cielo, domandandosi che cos’era successo alla pioggia, che cos’era successo ai lampi. Si era immaginato tutto e ormai era cambiato tutto. Nemmeno nel suo mondo personale le Regole rimanevano sempre le stesse.

«Invece sì», rispose lei, sorprendendolo perché non si era reso conto di aver parlato ad alta voce. «Quella… quella cosa, Don. È tua.»

«Ma non le ho detto io di ammazzare…»

«Lo so, lo so», rispose. «Lo so, ma è più grave di quanto tu creda.»

Don chiuse gli occhi lentamente; era stanco. Si vergognava di tutta quella stanchezza improvvisa, ma aveva soltanto voglia di raggomitolarsi e di appoggiare la testa sul suo grembo per dormire.

«Comunque faccio fatica a credere a tutta questa storia», continuò, come se stesse parlando a se stessa. «Non è possibile. Lo so quello che ho visto e so quello che hai detto, eppure continua a essere impossibile.»

«È così», rispose lui, guardando i puntini colorati che si formavano sotto le sue palpebre. «Cristo, è così.»

«Ci ho pensato da quando sono tornata a casa fino a quando sono venuta qui. Ho pensato che avevi il potere di farmi vedere cose che in effetti non sono. Ho pensato che fosse tutta una storia inventata da te. E ho pensato che la mia voglia disperata di aiutarti mi avrebbe fatto vedere anche King Kong se me lo avessi domandato.»

Respirava a scatti; Don non riaprì gli occhi.

«Ci ho pensato, Don, l’ho visto. E allora … allora ho creduto che fosse reale e quello che dici tu — non è vero, Don. Non è vero.»

Girò la testa lentamente. «Vuole aiutarmi, non lo capisci questo? È venuto da me perché ho bisogno di aiuto e mi sta aiutando. Ma giuro su Dio che non ho detto niente a proposito di…»

«No, Don», lo interruppe lei, girando a sua volta il capo. «No, ti sta proteggendo, e non è la stessa cosa.»

Norman non pensava di poter sopportare un’altra brutta sorpresa. Si lasciò cadere all’indietro sul divano e si mise a fissare il soffitto, dando a vedere che stava ascoltando quanto gli raccontava il detective solo attraverso un cenno del capo o della mano.

Ma non riusciva a capire perché mai dovesse ascoltare. Verona, per quanto lavorasse duramente e con puntiglio, non era andato neanche vicino alla risposta di tutto quel pasticcio.

«D’accordo», disse, rimettendosi a sedere dritto. «D’accordo, Tom, ne ho sentite abbastanza. È pazzesco e lo sai anche tu.» E pensò: è pazzesco anche tutto il mondo che ci circonda.

«Non mi stai dicendo niente che io già non sappia.» Verona si grattò una macchia scura sotto l’occhio. «Ma che cosa dovrei pensare? Lo so che è difficile, specialmente adesso, ma che cosa dovrei pensare?» Alzò una mano e incominciò a contare. «I test di laboratorio hanno dimostrato che non è stato Don a colpire quell’uomo, come invece lui ha detto di aver fatto. Niente indica che Boston sia stato investito da una macchina. Adam Hedley era ridotto nelle stesse condizioni e figurati se posso credere che una macchina abbia fatto irruzione nella tua scuola, scendendo quella navata, saltando sul palco, solo per investirlo. E poi c’è Falcone…»

«Oh, Cristo, Tom, ma stai ragionando?» Norman afferrò una rivista come se volesse gettarla chissà dove. «Per prima cosa non riesci più a trovare i test. Secondo, lo ammetti tu stesso, non c’è niente che dimostri che Boston non è stato investito da un’auto. E mi rifiuto di credere che mio figlio, grazie a qualche potere misterioso, sia riuscito ad assoggettare due uomini e un ragazzo per picchiarli a morte, uno addirittura in mezzo al viale del parco.»

Si lasciò cadere all’indietro pesantemente. «Inoltre, si trovava in casa quando è stato ammazzato Hedley e si trovava con Tracey Quintero quando Falcone…» Si mise a tossire. Si rifiutava di ripeterlo per l’ennesima volta.

Verona alzò le mani, più in segno di frustrazione che di sconfitta e Norman si dispiacque per lui. In effetti, lui sapeva che era stato suo figlio. Quell’uomo si stava aggrappando a ogni piccolezza che riusciva a trovare, ma solo lo scontro di Don con lo Squartatore e i vaghi test di laboratorio potevano offrire un collegamento.

«Joyce», disse Verona, «ha fatto spesso il suo nome.»

«Be’, Cristo, è suo figlio!»

Joyce era finalmente riuscita a piombare in un sonno profondo e Naugle li aveva fatti entrare tutti e due in camera quando aveva iniziato a mormorare qualcosa in sogno.

«Ha anche nominato un cavallo, se ti ricordi bene.» Fece un breve sorriso triste. «Ti dirò una cosa: io crederò alla macchina nella mia scuola, se tu crederai al cavallo in casa mia.»