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«Forse è stata drogata!»

«Per l’amor del cielo, sii serio!»

Era stanco. Voleva tornare a casa. L’unica notizia decente della serata era stata che John Delfield si era fatto aiutare da qualche vicino a costruire un pannello in compensato per coprire provvisoriamente la finestra distrutta. Annotò mentalmente di passare da lui per dargli una mancia, anzi, forse persino un assegno per rifondergli la spesa del materiale.

Si aprì una porta ed entrò Naugle. Norman si alzò di scatto.

«Le ho fatto un’iniezione», annunciò il dottore. «Non ho avuto scelta.»

«Un’iniezione? E perché?»

«Non dormiva abbastanza profondamente», rispose Naugle. «Sta avendo qualche brutto incubo e non voglio che si indebolisca più di quanto non sia già.»

«Benone», disse Norman, tornando a sedersi. «Davvero splendido.»

«Dovresti andare a casa anche tu.»

Norman era sul punto di annuire, ma poi cambiò idea. Voleva restare. Se fosse andato via, gli sarebbe venuta voglia di vedere se Chris era ancora a casa, nel suo letto, se … Scosse la testa e rabbrividì e Naugle gli diede una pacca sulle spalle.

Un’automobile entrò nel parcheggio, abbagliandoli con i fari. Don si riparò con una mano e imprecò sommessamente, ma Tracey si limitò a battergli una spalla e si alzò in piedi.

«Credo che sia Jeff», disse, mentre osservava la macchina che svoltava per andare a parcheggiare.

«Jeff?»

Stava già camminando verso di lui. «Sì, gli ho chiesto di darmi un passaggio. È chiaro che non potevo domandarlo a mio padre.»

«Be’, ti avrei accompagnato io, lo sai», protestò Don, seguendola verso l’auto, «Dio, Tracey…»

Lei si voltò e gli mise una mano sul petto. «Non adesso, Don, okay?»

«Ma che cos’hai intenzione di fare? A proposito del…»

Tracey incavò le guance mordendosele dall’interno. «Non lo so. Davvero … non lo so.»

Si aprì la portiera e Jeff, con gli occhiali bianchi per il riflesso della luce, sorrise mestamente quando Don si abbassò verso di lui.

«Ehi, amico, mi dispiace.»

«Già. È … sì, grazie.»

Tracey si infilò tra di loro e gli prese una mano, se lo tirò vicino e lo baciò. «Ecco», disse con un sorrisetto di soddisfazione. «Ecco fatto.»

«Ma io ho bisogno di te», la pregò Don, ignorando lo sguardo sorpreso di Jeff. «Che cosa devo fare adesso? Ho bisogno di te, Tracey.»

«Lo so. E ci vedremo domani, okay? Se non me ne vado adesso, non potrò più uscire di casa se non per il mio funerale.» Lo baciò di nuovo, velocemente. «Ti prego, Don, resta qui, va bene? Io starò bene se tu resti qui. Tornerò domani, per prima cosa.»

«Prometti», le disse lui con decisione.

«Prometto.»

Non gli andava, ma non poteva farci niente. Aveva ragione e lui lo sapeva, ma non gli andava lo stesso. Come non gli piacque dover fare un breve rapporto sullo stato di sua madre a Jeff, che continuava ad appoggiarsi a Tracey per fargli domande; infine, la ragazza gli batté su una spalla costringendolo a mettersi al volante.

La macchina fece manovra e sparì, lasciando Don ad assaporare il suo bacio, il tocco della sua mano, mentre un senso di frustrazione gli cresceva nel petto.

Avrebbe dovuto rimanere!

Se lo amava davvero…

Distolse lo sguardo e lo rivolse al viale d’ingresso.

Lo amava?

Ma come diavolo poteva amarlo e ferirlo tanto nello stesso momento, lasciandolo solo nel momento in cui lui aveva bisogno di lei per evitare di impazzire, lasciandolo solo quando lui aveva bisogno di lei per trovare una via di fuga?

Si cacciò le mani nella tasca del giaccone e si mise a osservare il suo respiro che si trasformava in nebbiolina.

Forse aveva ragione, pensò allora. Doveva essere così.

Il vento scosse i ciliegi, facendo scricchiolare i rami come se fossero sul punto di spezzarsi.

Ma doveva essere con lui, pensò; non avrebbe dovuto lasciarmi solo nel momento del bisogno. Non avrebbe dovuto farlo! Alzò un pugno e si costrinse a fatica a portarselo alla bocca, invece di scuoterlo in direzione della macchina di Jeff.

Dannazione, Jeff! Maledizione a te, e pensare che dovresti essere amico mio!

Il vento era tagliente sopra l’ospedale. Si vide luccicare una goccia d’acqua nel raggio di luce, poi un’altra sul viale d’ingresso, poi ne sentì una cadergli sulla mano.

Sentì il rumore di uno zoccolo, leggero sull’erba.

Abbassò lo sguardo sul manto verde e si accorse di uno strato di nebbiolina che gli abbracciava le gambe.

Si voltò lentamente, osservò i ciliegi che oscillavano, stringendo gli occhi per proteggersi dalla polvere sollevata dal vento.

Poi notò le due macchie verdi nell’aria, vide un paio di fiammate che si levavano da terra e si accorse dello stallone che gli stava di fronte immobile.

Sentì le gambe molli, lo stallone mosse la testa e Don si avvicinò, ignorando la tensione che gli pesava sullo stomaco, ignorando i pungiglioni che sentiva negli occhi. Si mosse sull’erba e allungò una mano.

Aveva il collo tiepido, liscio e il naso, che gli annusava il palmo della mano, sembrava fatto di velluto.

«Dio», sussurrò, senza aggiungere altro.

Il cavallo nitrì sommessamente, mentre Don piegava il capo e vedeva fiammate color smeraldo che illuminavano la nebbia.

«Me l’ha portata via», disse. «Me l’ha portata via e lei dovrebbe amarmi.» Fece scivolare le mani sulla criniera immobile, nonostante il vento, e continuò ad accarezzargli il collo. Sobbalzò alla vista del fuoco. «La sai una cosa?» gli disse dolcemente. «Papà pensa che sia stato io — la casa, il signor Falcone.» Appoggiò la guancia contro la criniera nera e tiepida. «Quello stronzo.» Un altro sobbalzo e sentì che i polmoni si stavano scaldando. «Quel bastardo. E la sai un’altra cosa? La sai un’altra cosa? Il poliziotto è tornato e continua a controllarmi come se fossi un delinquente da quattro soldi.» Faceva fatica a respirare e, nell’oscurità, riusciva a vedere anche delle macchie rosse. «Era la mia medaglia, era il mio momento, e Brian ha rovinato tutto. Donny Paperino, maledetto!» Si allontanò e i sussulti al petto continuarono senza tregua. «Non posso nemmeno ricevere una stupida medaglia senza che ci sia qualcuno che me la vuole portare via! Che cosa diavolo devo fare, eh? Che cosa diavolo devo fare?»

Si voltò, come se volesse andarsene, poi cambiò idea e indicò la strada con un braccio rigido che cominciò a tremare.

«E lei se ne va via con lui, proprio quando ho bisogno di lei! Che razza di amore è mai questo, eh? Che razza di amore può mai essere quando hai…»

La nebbia e poi rosso. E l’ombra scura tra gli alberi.

«Che cosa devo fare?» domandò. «Che cosa devo fare?»

Uno zoccolo strisciò sull’erba (fuoco verde), gli occhi si rimpicciolirono e poi alzò la testa.

Il cavallo si allontanò. Lo osservò e improvvisamente si rese conto di quanto aveva detto, proprio nel momento in cui il rosso svaniva insieme con le fiamme.

«No, aspetta un minuto», disse e allungò una mano. «Dio, no, non intendevo dire…»

Era sparito.

Don aprì la bocca, ma non emise alcun suono.

Era sparito, la nebbia si attorcigliava in un vortice di nero e fuoco, e ormai non c’erano più domande da fare su quello che intendeva dire Tracey.

Non lo stava aiutando di certo. Lo stava proteggendo contro il dolore e non faceva differenza che lui lo volesse o meno. Quando lui ci restava male, la causa veniva eliminata, qualunque essa fosse. Che lui la conoscesse o meno.

Tracey? Oh, Gesù, ti prego, Tracey, no!

L’ansia lo sfigurò, la paura lo fece vacillare, e, per quanto urlasse, si perdeva tutto nel vento, nella pioggia fredda che colava sul suo viso.