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«Ehi, straniero!»

Si fermò e si voltò, oscillando sulle gambe quando vide Chris correre verso di lui, con i capelli sciolti e la camicia fuori dai pantaloni.

«Ciao», la salutò.

«Dio, sei diventato un fantasma, lo sai?» disse. «Dove ti sei nascosto?»

Fece un gesto in direzione di casa, verso gli operai che erano sulla scala per sistemare la finestra. «Pulisco, vado a trovare mia madre … capisci.»

«Già. Ehi, mi dispiace per quello che è successo.»

Gli si avvicinò e Don poté sentire il suo profumo.

«È vero», chiese, «che tuo padre se ne sta andando?»

«Sì. Se ne va davvero. Con tutti quei problemi, e mia madre e tutto il resto, credo che abbia bisogno di un po’ di tempo, capisci?»

«Ma certo che capisco», rispose lei. «Ha veramente intenzione di farsi eleggere sindaco?»

Don si strinse nelle spalle. «Non lo so. Ci sta pensando, ma ho la sensazione che tutto sia cambiato.» Poi la guardò negli occhi e si accorse che mancava qualche cosa. La sua espressione era amichevole, il suo tono di voce era gentile, ma mancava qualche cosa e non riusciva a capire che cosa.

«Ehi, ehm, senti», disse lui infine. «Il fine settimana sarà Halloween e, be’, ci siamo un po’ persi di vista la settimana scorsa per via di quello che è successo. Mi stavo chiedendo, cioè, io…»

Sobbalzò quando passò una macchina a trombe spiegate. Chris scoppiò a ridere, gli sfiorò il braccio e si incamminò verso la macchina di Brian.

«Ehi, Paperino, come se la cava tua madre?» domandò Brian, mentre Chris apriva la portiera per salire.

«Sta bene», rispose lui blandamente.

«Bene. Portale i miei saluti.» Gli puntò un dito facendo il gesto di una pistola e mise in moto, abbracciando Chris mentre partiva a tutto gas. Ma Don fece in tempo a sentirlo dire: «Qua». E Chris gli fece eco con: «Qua, qua», e si misero a ridere.

«Che cosa?» disse. «Di che cosa stai parlando?»

«Be’, senti», rispose Norman. «Non ho tempo per stare a discutere con te. Ho fatto i conti e, tra le spese mediche e la casa, non ci sono abbastanza soldi. Mi dispiace, ma non posso andare a rubare e non si possono spendere i soldi se non si hanno in tasca. Dovrai darti da fare per cercare qualcosa di più vicino a casa, nei college statali, che costano meno. E poi, vista la media dei tuoi voti, potrai considerarti fortunato se riuscirai a diplomarti.»

Tracey era seduta sul divano del salotto, mentre sua madre sorvegliava educatamente. Quando le raccontò ciò che gli aveva detto suo padre, lei lo compianse e gli consigliò di darsi da fare per una borsa di studio.

Don non ci aveva pensato. La ringraziò. Avrebbe voluto baciarla, ma sua madre non si allontanò neanche per un istante.

Nel bar, Jeff si lamentò e rischiò di rovesciare tutto il vassoio addosso a Don. «Ma che cosa stai combinando con Chris, eh? Pensavo che tu e Tracey foste … sai.»

«Lo siamo, credo», ribatté lui. «Non lo so.»

«Ma non hai voglia di sentirti legato, eh?» Don alzò lo sguardo per l’amarezza che aveva percepito nella voce di Jeff. «No, non è per questo.»

«Già, proprio così», rispose Jeff e gli puntò una forchetta sul petto. «Be’, ascolta, amico. Tracey Quintero è una grande signora e cerca di non farla star male. Mi hai sentito, amico? Sarà meglio che tu stia molto attento a non ferirla, perché altrimenti dovrai vedertela con me.»

Don si sforzò di sorridere. «Ehi, è una minaccia?»

Jeff non rispose al sorriso. «Prendila come vuoi.»

Gli mancò il respiro quando si rese conto che anche Jeff era innamorato di Tracey.

Venerdì andò a trovare sua madre con suo padre. La guardarono respirare, controllarono la flebo, osservarono tutti gli strumenti che registravano le sue condizioni.

Alle dieci meno cinque si svegliò, vide suo figlio e si mise a urlare.

La stanza era buia.

Seduto sulla sedia della scrivania, dando le spalle al muro, poteva vederli sugli scaffali e sui poster — gli elefanti, i falchi, le linci rosse, la pantera nella giungla che si lecca la zampa.

Era una notte fredda.

Da basso, sentì suo padre che andava a rispondere alla porta e offriva pacchettini di caramelle avvolti in tessuti colorati ai ragazzini che scorrazzavano in giro per il quartiere vestiti con i costumi fatti dai genitori.

Il giorno prima sua madre si era svegliata.

Oggi era rimasto a casa, seduto alla scrivania, nel tentativo di prendere una decisione e, durante un giro attorno alla casa per sgranchirsi la schiena, gli era capitato di guardare fuori dalla finestra laterale dopo il tramonto e aveva visto suo padre intento a parlare con Chris. Sembrava che stessero discutendo, e lui aveva avuto l’istinto di correre fuori per dirle di non far arrabbiare suo padre, non in un momento come quello, per l’amor del cielo, altrimenti l’avrebbe rimpianto per tutta la vita.

Poi Chris aveva spostato una ciocca di capelli sulla spalla sinistra e si era diretta verso il suo giardino. Norman, dopo una breve esitazione, l’aveva seguita, lei si era voltata, gli aveva fatto una smorfia e aveva spinto in fuori il petto.

Norman non era tornato che un’ora dopo.

Harry Falcone e Chris Snowden, e il maledetto Sam era morto.

Non era cambiato niente.

Rosso.

Erano morte delle persone, erano morti dei ragazzi, ma non era cambiato niente.

Rosso annebbiato, come se stesse guardando attraverso una tenda color cremisi.

Andò a parlare al telefono con Tracey e trovò il coraggio di dirle che l’amava, ed era talmente imbarazzato che non le chiese il motivo per cui lei aveva risposto che anche lui le piaceva, ma che ancora non era abbastanza sicura di amarlo. Allora, cambiò argomento: parlarono di scuola, di Jeff, del loro stato di salute, del tempo e delle vacanze che si avvicinavano. E quando riappesero, si voltò verso le scale senza vedere niente.

Dopo qualche minuto sospirò e si strofinò gli occhi.

Aveva torto nel pensare che stesse bene, ormai; aveva torto nel dire che non era sicuro di amarlo. Ma certo. L’aveva notato nella voce di Jeff, e poco prima anche nella sua — aveva paura di lui, ormai, ma non aveva paura di Jeff.

Per cui, come poteva star bene, se non era cambiato niente, nonostante quello che aveva fatto?

Si fermò in cucina a bere una lattina di soda, andò nell’ingresso e si mise a fissare il telefono per cinque minuti prima di decidersi a comporre il numero di Tracey. Lei fu sorpresa di risentire la sua voce e si dispiacque di non poter uscire con lui durante il fine settimana perché aveva già promesso a Jeff di dargli una dimostrazione degli interrogatori intensivi di suo padre. Si mise a ridere. Anche lui si mise a ridere. Tracey gli suggerì di chiamare Jeff e di dargli qualche informazione in merito. Don continuò a ridere e rispose che ci avrebbe pensato.

Poi riappese.

Se ne andò in camera sua, dove li maledì in silenzio. In che cosa aveva sbagliato? Che errore poteva aver commesso?

Doveva cambiare. Doveva cambiare se la voleva portare via a Jeff; doveva cambiare se voleva che il mondo tornasse a girare come voleva lui.

«No», disse allora.

La verità, pensò mentre sentiva i passi di suo padre che arrancavano su per le scale, era che non doveva cambiare lui, non doveva ammettere di avere i problemi che avevano tutti quanti. Lo sapeva bene. Non era uno stupido, lo sapeva bene.

Ma, al contrario di chiunque altro, sapeva di poter far qualcosa per risolvere la sua situazione.

Norman bussò alla sua porta e la aprì, emise un verso e picchiò sull’interruttore della parete che accese la lampada della scrivania.

«Gesù, sei diventato una talpa?»