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«Stavo pensando.»

«Oh, bene. È quasi ora. Sto per andare a trovare tua madre. Tu stai attento alla porta e va’ a offrire le caramelle. Se credi che sia il caso, metti pure del veleno nelle mele.»

Don sorrise per dovere e suo padre lo salutò, poi diede un’occhiata alla stanza e scosse il capo.

«Forse un giorno capirò tutto questo», disse facendo un altro passo nella stanza ed esaminando con attenzione tutti gli scaffali. «Forse mi sono sbagliato, figliolo. Forse … be’, forse mi sono sbagliato.» Alzò le spalle e si grattò la testa. «Quando tua madre si sentirà meglio, forse noi due dovremo parlare un po’. Credo che sia meglio tardi che mai, eh? Che cosa ne dici?»

Don annuì e accettò di stringere la mano che gli era stata tesa, e non si lamentò quando Norman gli mise una mano dietro la testa e se la tirò verso di sé, avvicinandosi a quello che doveva essere un abbraccio.

E dopo che se ne fu andato, Donald rimase a fissare la scrivania finché la luna non riempì la stanza, rimase a fissare la scrivania finché il rosso non svanì del tutto.

Poi sorrise e si alzò in piedi.

No, papà, pensò; meglio tardi che mai, non è meglio. Non è affatto meglio. E si sporse sul letto per prendere il poster della giungla deserta dalla parete.

E quando scrutò dalla finestra, sussurrò dove sei? alle ombre furtive che stavano in giardino, più scure di qualsiasi ombra, in attesa del suo richiamo.

FINE