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Fece un largo sorriso.

Don Superman! Capace di scavalcare i grattacieli con un solo balzo. In grado di trasportare Tar Boston sopra il parco, per poi farlo cadere a testa in giù in mezzo allo stagno.

Così forte da salvare Chris Snowden dalle grinfie di Brian, per poi aspettare la ricompensa che questa avrebbe voluto dargli. Capace di usare i suoi occhi a raggi X per vedere attraverso i maglioni rigonfi di Tracey Quintero e controllare che tutto fosse al suo posto.

Don Superman.

«Don il Tonto», disse.

A pensarci bene, era divertente il fatto che gli unici con i quali riusciva a parlare fossero i bambini. Per qualche strano motivo, la maggior parte di loro pensava che le sue storie fossero carine, a eccezione di quel piccolo mostricciattolo di quella sera. Soffocò una risata nel cuscino. Meno male che i genitori di quella piccola peste erano ritornati in tempo, altrimenti avrebbe fatto vedere loro quel corvo gigante sull’albero.

E, dannazione, quello sì che sarebbe stato divertente!

Don Superman e il suo amico gigante, Corvo!

Giusto prima di addormentarsi, pregò di svegliarsi e di scoprire che era diventato il ragazzo più carino dell’intera città, anzi, dell’intero stato, e forse anche del mondo.

Qualsiasi cosa, pur di non vedere la piatta faccia del vecchio Don riflessa nello specchio del bagno.

3

La settimana successiva segnò l’inizio di ottobre, caratterizzato da una partita di football persa, nella quale Brian fallì tre touchdowns e Tar e Fleet persero la palla una volta ciascuno; da un articolo apparso su un settimanale nel quale si diceva che il preside della Ashford Sud stava ritardando la conclusione di importanti negoziati rifiutando di appoggiare gli insegnanti della scuola per ragioni politiche; e da una serie di macabri resoconti trasmessi dal telegiornale della sera di New York relativi allo Squartatore. Dal momento che la sua ultima vittima era morta circa due settimane prima, la polizia ipotizzava che si fosse suicidato oppure che avesse lasciato lo stato: tale notizia riempì Don e Jeff di brividi di macabra delizia.

Martedì mattina, Chris Snowden si trovava solo a pochi metri davanti a lui, in direzione della scuola, e lui non riusciva a decidere se mettersi a correre per raggiungerla e sperare in una chiacchierata — forse gli si sarebbe gettata fra le braccia — oppure rimanere indietro e limitarsi a osservarla. Al bar lui e Jeff arricciarono il naso di fronte a un piatto di maccheroni al forno bruciacchiati e giunsero alla conclusione che Chris se la stava facendo con uomini più vecchi in quel periodo — ragazzi dell’università o forse addirittura con i loro padri.

Poi Don osservò Tracey Quintero che raccoglieva il suo vassoio e lo portava fino al punto in cui un inserviente lo afferrava per ripulirlo e passarlo a un altro cliente.

«Ehi, Jeff, credi sia possibile che qualcuno si innamori di due donne contemporaneamente?»

«Certo. È possibile.»

«Deve essere possibile per forza. Voglio dire, ogni donna ha qualcosa di diverso da offrire a un ragazzo, no? E un ragazzo non può trovare tutto quello che cerca in una sola donna, giusto? Quindi è necessario che lo cerchi in donne diverse, non ti pare?»

Jeff lo guardò di traverso. «Cosa?»

«È logico, non ti sembra?»

«Certo, se sei pazzo è logico.»

«Be’, io non sono pazzo, però mi sembra logico e penso di essere innamorato.»

«Hai voglia», lo corresse Jeff. «Hai solo voglia.»

«Bell’amico.»

«Be’, dannazione, Don, è una vera stronzata, sai?»

«Pensavo che fossi d’accordo.»

«Lo ero prima di sentirtelo dire.»

Diede una forchettata ai maccheroni, rompendo la crosticina di formaggio, e tirò un profondo sospiro aprendo il cartone del latte. Mentre stava bevendo, Chris fece il suo ingresso, da sola, lo vide, gli sorrise e uscì di nuovo.

«Mio Dio», mormorò.

«Forse gli piaci.»

Non osava crederlo: e poi non la conosceva neppure.

«Oppure», gli disse Jeff, mentre si alzava, «conosce il tuo vecchio e vuole darsi un certo tono, non so se mi spiego.»

Don lo guardò sconsolato e Jeff si rese conto di avere commesso un errore: non potendo rimediare, corse fuori. Don lo guardò uscire, poi si alzò e lo seguì lentamente. Lichter gli aveva fatto venire in mente una ragazza con la quale era uscito quand’era più giovane. Era convinto di aver trovato un biglietto di sola andata per il paradiso, a giudicare dal modo in cui lei lo trattava, gli correva dietro, lo faceva divertire e gli insegnava i preliminari dell’amore. Poi, un giorno, dallo spogliatoio, l’aveva sentita parlare con Brian: ridacchiava e giurava sulla tomba di sua madre che usciva con lui solo ed esclusivamente per via di suo padre.

«Non ho intenzione di sbattermi troppo per uscire di qui», aveva detto. «E tu credi che un fottuto professore abbia il coraggio di bocciarmi considerando che perdo tempo dietro al figlio del preside?»

Ma lo avrebbe fatto, dopo la rottura di quel venerdì sera. Le aveva chiesto se era tutto vero, ma lei aveva negato tutto, allora aveva perso la pazienza, dimenticando uno degli insegnamenti fondamentali dei suoi genitori: mai urlare o minacciare perché serve solo a screditarti e a metterti sulla difensiva. Una minaccia deve essere portata avanti, altrimenti è perfettamente inutile: se devi minacciare qualcuno assicurati di avere i mezzi per farlo.

Lei gli aveva riso in faccia.

E sebbene se ne fosse andata prima della fine dell’anno, non ne aveva gioito troppo. Il fatto che se ne fosse andata dimostrava che la storia era vera, e i rapporti con gli altri non furono più gli stessi.

Mercoledì rivide Chris, che lo ignorò.

Questo avrebbe dovuto farlo sentire meglio; invece, si sentì ancora più spregevole, soprattutto quando il responsabile dell’orientamento gli spiegò quanto gli sarebbe costato portare a termine gli studi di veterinaria. A suo padre sarebbe venuto un colpo e sua madre si sarebbe commossa e gli avrebbe permesso di cercarsi un lavoro per coprire parte delle spese.

Si era quasi dimenticato del compito di biologia di venerdì.

«La riunione è finita», disse Joyce.

Harry batté con forza i cuscini dietro di sé e si mise a osservarla con un sorriso sbilenco sul viso mentre si rivestiva. «Digli che è durata più del previsto.»

«Durano sempre più del previsto. Sai bene che lui non ci crede.»

Falcone scrollò le spalle: non gliene importava.

Quando lei ebbe finito, si girò per osservarlo: il lenzuolo gli copriva appena l’inguine, i riccioli scuri ricadevano arruffati sul viso. Un vero patrizio, pensò: mettetegli addosso una toga e avrà l’aria di un senatore romano sul punto di accoltellare un imperatore.

Il sorriso rivelava bianchi denti incapsulati. «Facciamo il bis?»

Le sarebbe piaciuto. Odiava se stessa per questo, ma le sarebbe piaciuto. Voleva che la toccasse con violenza, non con dolcezza, voleva sentire il peso del suo corpo che la schiacciava sul materasso, voleva provare l’oblio che le procurava quel corpo — e voleva tagliargli la gola per quello che la stava costringendo a fare alla sua famiglia.

«No.»

«Peccato», disse lui. «Quando inizierà lo sciopero sarà difficile riuscire a vederti.»

Raccogliendo i capelli in modo da poterli legare con il nastro, Joyce uscì dalla stanza e prese il soprabito. Un attimo di esitazione — forse aveva dimenticato qualcosa che Norman potesse notare? — poi aprì la porta dell’appartamento.

«Ehi.»

Lei aspettò un attimo.

«È stato bello, piccina.»

Bastardo, pensò lei sbattendo la porta dietro le spalle e iniziando a tremare mentre si avvicinava verso l’uscita di emergenza, scendendo lentamente le scale.