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Riattraversarono il vestibolo e, sotto lo scalone sospeso, imbucarono un altro corridoio sulla destra. Percorsi alcuni metri, trovarono una porta a vento di noce sulla sinistra. Barrett spinse un battente e sbirciò dentro. «Un teatro» disse.

Entrarono. C’era un forte odore di muffa. Il teatro poteva contenere un centinaio di spettatori, le pareti erano tappezzate in broccato rosso antico, e un soffice tappeto rosso attutiva i passi. La platea inclinata era divisa in tre settori. Il palcoscenico era incorniciato da due colonne dorate rinascimentali. Il proscenio era occupato da uno schermo cinematografico. Alle pareti c’erano lampadari a forma di candelabri. Le poltroncine erano di velluto rosso vinaccia.

«Ma quant’era ricco quel Belasco?» domandò Edith.

«Credo che abbia lasciato ai suoi eredi più di sette milioni di dollari, alla sua morte» rispose Barrett.

«Morte?» disse Fischer. Teneva un battente aperto.

«Se c’è qualcosa su cui lei voglia ragguagliarci…» disse Barrett, uscendo nel corridoio.

«Cosa vuole che le dica? Questa casa ha tentato di uccidermi. E c’è quasi riuscita.»

Barrett parve sul punto di ribattere qualcosa. Poi ci ripensò. Guardò in fondo al corridoio. «Credo che quelle scale portino giù alla piscina e al bagno turco» disse. «Non serve scendere giù di sotto finché non sarà tornata la corrente elettrica.» Zoppicando si diresse verso una pesante porta di legno, e l’aperse.

«Che c’è, lì?» domandò Edith.

«Sembra una cappella.»

«Una cappella?» Florence parve sgomentarsi e, avvicinandosi alla porta, emetteva strani suoni in gola, di spavento. Edith si sentì a disagio per lei.

«Miss Tanner» la chiamò Barrett.

Ella non rispose. Giunta quasi sulla porta, si arrestò.

«Meglio no» disse Fischer.

Florence scosse il capo. «Devo. Devo.» Fece per entrare.

Ma con un grido a stento trattenuto, indietreggiò. Edith diede un balzo. «Che cosa c’è?» Florence non riusciva a rispondere. Inghiottì saliva e scosse il capo, ripetutamente. Barrett posò una mano sul braccio di Edith. Ella lo guardò e vide le sue labbra formare le parole: «Non è niente».

«Non ce la faccio a entrare» disse Florence, come chiedendo scusa. «Non adesso, perlomeno.» Inghiottì. «Non riuscirei a sopportarne l’atmosfera.»

«Allora ci aspetti qui» disse Barrett.

Florence annuì, volgendosi dall’altra parte.

Edith si fece coraggio ed entrò; si aspettava di ricevere una scossa o qualcosa del genere. Non avvertì nulla invece. Si rivolse a Lionel, per dirgli qualcosa, ma preferì attendere che Fischer si fosse un po’ allontanante da loro. «Perché non è riuscita a entrare qui?» bisbigliò.

«Il suo sistema nervoso è molto sensibile all’energia psichica» le spiegò Barrett. «Evidentemente qui ce n’è un bel po’.»

«Perché proprio qui?»

«Per contrasto, suppongo: una chiesa all’inferno, roba del genere.»

Edith, annuì, volgendosi a guardare Fischer. «E perché a lui non dà fastidio?» domandò.

«Forse lui sa difendersi meglio di lei.»

Edith annuì di nuovo. Entrambi si fermarono al centro della cappella dal basso soffitto. Si guardarono intorno. C’erano inginocchiatoi per una cinquantina di persone. Sul fondo c’era un altare; sopra di esso, scintillante al riverbero delle candele, c’era un crocefisso di grandezza naturale, color carne.

«Sembra proprio una cappella…» cominciò a dire Edith ma s’interruppe, dando un sobbalzo, quando vide che il Cristo in croce non solo era nudo ma aveva un fallo enorme ed eretto. Con un’espressione di disgusto, osservò quell’osceno crocefisso. D’un tratto l’aria le divenne irrespirabile, le si coagulava in gola.

Notò allora che le pareti erano affrescate con dipinti pornografici. La sua attenzione fu attratta da uno di essi, in cui si vedevano preti e monache mezzi nudi partecipare a un’orgia. Avevano faccie demenziali: sguardi carichi di libidine, bocche bavose, fisionomie contorte da ghigni di satanico piacere.

«Profanazione del sacro» disse Barrett. «Il gusto del morboso.»

«Altroché se era morboso» bisbigliò Edith.

«Lo era, sì.» Barrett la prese sottobraccio. Edith vide che Fischer era già uscito dalla cappella.

Lo trovarono nel corridoio.

«Miss Tanner se n’è andata» disse.

Edith lo guardò. «Ma come?…» S’interruppe. Si guardò intorno.

«Non è nulla, ne sono certo» disse Barrett.

«Ma davvero?» Fischer sembrava arrabbiato.

«Sono certo che non le è successo nulla» disse Barrett, deciso. «Miss Tanner!» chiamò a gran voce. «Vieni, mia cara» disse alla moglie, avviandosi pel corridoio. Chiamò ancora: «Miss Tanner!». Fischer lo seguiva senza fiatare.

«Ma, Lionel, perché avrebbe?…»

«Non bisogna trarre conclusioni affrettate» disse Barrett. E di nuovo chiamò: «Miss Tanner! Mi sente?».

Quando furono nel vestibolo, Edith indicò un riverbero che proveniva dal salone.

«Miss Tanner!» chiamò Barrett.

«Sì!»

Barrett sorrise a Edith, poi guardò Fischer. L’espressione di questi non si era rilassata.

Florence si trovava all’altra estremità del salone. Essi l’attraversarono per avvicinarsi a lei, e i loro passi risuonarono con ritmo irregolare.

«Non doveva comportarsi così, Miss Tanner» le disse Barrett. «Ci ha fatto stare in ansia senza motivo.»

«Mi spiace,» disse la donna, ma soltanto pro forma. «È che ho udito una voce proveniente da qui.»

Edith rabbrividì.

Florence indicò il mobiletto presso il quale si trovava: una specie di piccolo tramò di mogano in cui era inserito un fonografo. Florence mostrò loro un disco: «La voce proveniva da questo».

Edth non capiva. «Ma come ha potuto funzionare senza corrente?»

«Dimentichi che una volta i grammofoni andavano a manovella» disse Barrett e, posato il suo candeliere, prese in mano il disco che Florence aveva sfilato dall’apparecchio. «Fatto in casa» disse.

«Belasco» disse Florence.

Barrett la guardò, perplesso. «La sua voce?» Ella annui. Lui si accinse a rimettere il disco sul fonografo. Florence guardò Fischer, che si teneva a qualche passo di distanza e fissava il grammofono.

Barrett girò la manovella fino in fondo, assaggiò col dito la puntina, la posò sull’orlo del disco. Si udì un fruscio, poi una voce uscì dall’altoparlante.

«Benvenuti in casa mia» disse Emeric Belasco. «Sono lieto che siate potuti venire.»

Edith mise le braccia conserte e rabbrividì.

«Sono certo che troverete il vostro soggiorno qui tanto utile quanto dilettevole.» La voce di Belasco era pacata e dolce, tuttavia agghiacciante: la voce di un pazzo che si controlla perfettamente. «Purtroppo non posso essere con voi, perché sono dovuto partire prima del vostro arrivo.»

Bastardo, pensò Fischer.

La voce seguitò: «Ma non voglio che la mia assenza materiale vi arrechi alcun disturbo. Fate conto che io sia l’ospite invisibile e siate certi che, durante la vostra permanenza qui, io sarò con voi in ispirito».

Edith strinse i denti. Quella voce!

«È stato provveduto a tutto ciò di cui potete aver bisogno» seguitava la voce di Belasco. «Nulla è stato trascurato. Voi potete andare dove vi pare e fare quello che più vi aggrada: questi sono i precetti cardinali della mia casa. Consideratevi liberi di agire a piacer vostro. Non vi sono obblighi di sorta, responsabilità né norme. “Ciascuno a suo modo” questo è il motto della casa. E possiate trovare la risposta che cercate. Essa è qui, ve l’assicuro io.» Seguì una pausa. «Allora… auf wiedersehen.»