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— Una stanza magnifica — commentò F’lar gettando con disinvoltura i guanti e la tunica sul tavolo. — Andrò a sistemare i miei uomini e i miei animali. I draghi hanno mangiato poco fa — continuò evidenziando la mancata domanda di Fax. — Ti chiedo il permesso di andare nei quartieri degli artigiani.

Fax rispose acidamente che era un privilegio dei dragonieri.

— Non voglio disturbarti oltre, nobile Fax, perché sarai senz’altro molto indaffarato con sette fortezze da guidare. — Fece un leggero inchino al padrone di casa e si voltò, come per congedarlo. Ascoltando il passo che si allontanava non faticò a immaginare la faccia infuriata di Fax. Si assicurò che l’altro fosse uscito dal corridoio e tornò nella Grande Sala.

I servi che stavano montando le tavole a cavalletto si interruppero per curiosare il dragoniere. Fece loro un gentile cenno del capo cercando di vedere se qualcuna delle donne facesse al caso suo ma così distrutte dalle fatiche e dalle malattie non erano altro che sguattere.

F’nor e gli altri erano stati alloggiati in un dormitorio allestito all’ultimo minuto, mentre i draghi se ne stavano appollaiati sui costoni rocciosi sovrastanti la fortezza, disposti in modo tale da tenere sotto osservazione tutta la valle. Si erano abbondantemente saziati prima di lasciare il Weyr ed erano tenuti dai cavalieri in uno stato di leggera tensione: non doveva esserci nessun intoppo nella Cerca.

All’arrivo di F’lar i dragonieri si alzarono in piedi.

— Non ci sono trucchi né problemi, per ora, ma state all’erta — li informò laconico. — Siate di ritorno per il tramonto con i nomi di tutte le possibili aspiranti. — Vide il sogghigno di F’nor e gli sovvenne che Fax aveva bisbigliato alcuni nomi per renderli incomprensibili. — Devono essere descritte in base all’iscrizione alle varie arti.

Gli uomini fecero un cenno d’assenso, con gli occhi scintillanti. Erano certi della buona riuscita della Cerca, al contrario di F’lar i cui dubbi stavano aumentando da quando aveva visto le donne di Fax. A rigor di logica, nella fortezza del Signore delle Terre Alte si sarebbe dovuto trovare il fior fiore dei suoi possedimenti, invece non era così. Rimanevano comunque ancora da vedere numerosi insediamenti artigianali e le altre sei fortezze. Comunque…

Con un tacito accordo i due fratelli uscirono dall’alloggio. Dietro di loro se ne sarebbero andati anche gli uomini, a coppie o da soli per non dare nell’occhio, diretti agli insediamenti degli artigiani e alle fattorie vicine. Il loro desiderio di gironzolare era evidente, al contrario di quello di F’lar. Una volta i dragonieri erano ospiti desiderati delle fortezze di Pern, da Nerat a Sud all’alta Tillek. Adesso quella consuetudine si era spenta insieme a tutte le altre, segno tangibile della scarsa considerazione in cui era tenuto il Weyr. Ma le cose sarebbero cambiate, si ripropose F’lar.

Si obbligò a rienumerare tutti quei fastidiosi mutamenti. Come dicevano le Cronache redatte dalle dame del Weyr, il declino era avvenuto gradualmente negli ultimi duecento Giri. Il fatto di saperlo, però, non rendeva certo più rosea la situazione, e in più F’lar era uno dei pochi che dava ancora importanza alle Cronache e alle ballate. A dar retta agli antichi racconti presto la situazione sarebbe cambiata radicalmente.

Secondo F’lar ogni legge del Weyr, dal Primo Schema di Apprendimento alle Pietre Focaie, dalle montagne prive di vegetazione alle acque che scorrevano sulle rocce, era giustificabile. Anche elementi secondari quali il controllo dell’appetito dei draghi o del numero degli abitanti dovevano avere una loro ragione. Eppure F’lar non sapeva spiegarsi il motivo per cui gli altri cinque Weyr fossero stati abbandonati. Si domandò se in quei luoghi deserti continuassero a vivere le Cronache polverose e sul punto di frantumarsi. Doveva andare a verificarlo di persona, la prossima volta che il suo squadrone fosse stato di pattuglia, ma era sicuro che nel Weyr di Benden non avrebbe trovato spiegazioni plausibili.

— L’attività è tanta, ma manca l’entusiasmo. — F’nor riportò il fratello al presente.

Erano scesi dalle scale corrose che portavano alla zona degli artigiani e stavano percorrendo un’ampia strada fiancheggiata da graziose dimore, diretti ai massicci opifici di pietra. F’lar notò i canali dei tetti incrostati di muschio e i rampicanti che ricoprivano i muri, ma non disse niente. Gli costava fatica accertare quella macroscopica trascuratezza delle più elementari precauzioni: le piante non dovevano crescere dove vivevano gli uomini.

— Le notizie volano — ridacchiò F’nor indicando un frettoloso fornaio, completamente coperto dal camice, che gli aveva rivolto un frettoloso saluto. — Non si vede nemmeno una donna.

Era vero. A quell’ora ce ne sarebbero dovute essere tante in giro di donne, intente a portare le vettovaglie ai magazzini o dirette al fiume per il bucato, data la luminosità e la calura della giornata, o ancora in cammino verso le fattorie per la semina. E invece non c’era in giro neppure una gonna lunga.

— Un tempo erano loro a cercarci — commentò causticamente F’nor.

— Prima di tutto andremo all’opificio dei tessitori. Se non ricordo male…

— …siamo alle solite — concluse ironico F’nor. Non approfittava mai del legame di sangue che li univa, ma il cavaliere di bronzo era la persona che preferiva. F’lar era molto riservato per quella società così unita e basata sull’uguaglianza. Il suo squadrone era noto per la rigorosità del comandante, ma tutti facevano a gara per entrarvi, e primeggiava sempre nelle Gare. Nessuno dei suoi uomini capitava mai erroneamente nel mezzo scomparendo per sempre, e nessuno dei suoi draghi si ammalava o moriva lasciando in un eterno esilio la sua guida.

— L’tol si era sistemato da queste parti — continuò F’lar.

— L’tol?

— Sì, era uno dei cavalieri verdi di S’lel, non ricordi?

Una brusca sterzata durante le Gare di primavera aveva portato L’tol e il suo animale in un soffio fosforico di Tuenth, il drago di bronzo di S’lel. L’uomo era stato gettato lontano dal collo della sua bestia che cercava di resistere allo sbuffo. Un compagno di squadra aveva cercato di afferrarlo al volo, ma il drago verde, completamente ustionato, era morto per lo shock e per l’avvelenamento.

— L’tol può aiutarci nella Cerca — commentò F’nor mentre si dirigevano verso le porte di bronzo dell’opificio dei tessitori. Si fermarono un istante sulla porta per abituare gli occhi alla penombra. Le luci riempivano le nicchie delle pareti e pendevano dai telai con i quali gli artigiani intessevano gli arazzi più belli e i tessuti più fini. L’atmosfera era silenziosa e alacre.

Prima ancora che i loro occhi si fossero abituati all’oscurità furono raggiunti da un uomo che li invitò gentilmente a seguirlo.

Furono condotti in un piccolo ufficio, a destra della porta d’ingresso, diviso dal resto del locale da una tenda. L’uomo si girò verso di loro, mettendo il viso alla luce dei lumi appesa alle pareti. C’era in lui qualcosa di imprecisabile che lo faceva appartenere ai dragonieri, ma il suo volto era marcato da profonde rughe e una guancia mostrava delle cicatrici da ustione. Sbatteva in continuazione le palpebre.

— Il mio nome adesso è Lytol — disse rauco.

F’lar fece un cenno d’assenso.

— Immagino che tu sia F’lar. E tu F’nor. Assomigliate tutti e due a vostro padre.

F’lar annuì nuovamente.

Lytol inghiottì convulsamente la saliva. Fremeva, come se la loro presenza gli ricordasse il suo esilio. Riuscì a sorridere.

— Draghi del cielo! La notizia si è sparsa più in fretta dei Fili!

— Nemorth ha deposto un uovo di regina.

— Jora è morta? — domandò preoccupato Lytol, mentre il tremito del suo volto smetteva un istante. — Math ha seguito Nemorth nel volo di nozze?