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Provò quasi un senso di sollievo quando sentì la collera crescerle dentro, segno che stava cessando l’effetto dei sedativi, e capì che prima della fine della giornata sarebbe riuscita a piangere.

— Comandante — disse — l’ho visto morire e non è stato il primo. Anzi, ho assistito a scene ben più atroci. Su Kraken non si nasconde mai niente. Lei mi ha tolto il diritto di dare l’estremo saluto a mio marito, ma non potrà impedirmi di fare giustizia, perciò pretendo che mi dica come sono andate veramente le cose.

Jonafer strinse i pugni sul tavolo.

— Non ho il coraggio di dirglielo.

— E invece lo avrà, comandante.

— Va bene, va bene! — esclamò. Quindi iniziò a parlare di getto. — Abbiamo assistito al delitto attraverso il trasmettitore. La guida ha denudato Donli e lo ha fatto penzolare da una pianta a testa in giù, raccogliendo il suo sangue nella bisaccia; poi gli ha tagliato i genitali riponendoli con il sangue, infine lo ha squartato prendendogli cuore, polmoni, fegato, reni, e poi, infilando anche questi nella bisaccia, se n’è andato. Si stupisce ancora del fatto che non le sia stato concesso di dare l’estremo saluto a suo marito?

— Gli abitanti di Lokon ci avevano detto di stare attenti con le genti della foresta — commentò Fiell, impassibile. — Avremmo dovuto dar loro retta, ma quegli gnomi ci facevano così pena! E poi mi avevano anche aiutato a uscire dal fiume. Alle domande di Donli sulla presenza degli uccelli in queste zone, Moru aveva risposto che ce n’erano solo alcuni, ma che erano molto paurosi; se però qualcuno fosse andato con lui, gli avrebbe fatto vedere un nido.

“In realtà la guida aveva parlato di ‘casa’, ma Donli aveva dedotto che si riferisse proprio a un nido, o almeno così ci ha detto dal momento che la conversazione si era svolta a una certa distanza da noi: erano in vista, questo sì, ma non capivamo le loro parole. Probabilmente già questo fatto avrebbe dovuto metterci in allarme e spingerci a chiedere chiarimenti ad altri uomini della tribù, ma non ci sembrava il caso… cioè, Donli era sicuramente superiore fisicamente, e in più era armato di un disintegratore. Chi avrebbe potuto aggredirlo? Inoltre si erano fatti vedere addirittura servili dopo l’iniziale terrore e ci era parso che tenessero moltissimo a instaurare un buon rapporto, come i lokonesi e…” le parole si esaurirono.

— Ha rubato qualcosa? — domandò Evalyth.

— Niente — le rispose Jonafer. — Tutto quanto apparteneva a suo marito è qui con me; glielo darò.

— Secondo me non è stato spinto dall’odio — commentò Fiell. — Credo piuttosto che c’entri la superstizione.

Il comandante si disse d’accordo.

— Non dovremmo giudicare la faccenda dal nostro punto di vista.

— E da quale, allora? — lo rimbeccò Evalyth che nonostante le droghe non riusciva a capacitarsi di quel tono imparziale. — Io sono di Kraken e non ho nessuna intenzione di lasciar nascere il figlio di Donli senza che sia fatta giustizia sull’assassino di suo padre.

— Ma non può pretendere di fare giustizia con un’intera popolazione! — sottolineò Jonafer.

— Certo che no. Ma, come lei sa, comandante, ciascuno di noi viene da un pianeta diverso, con la sua particolare civiltà, e secondo quanto stabilito all’inizio, le tradizioni di ognuno devono essere rispettate. Perciò chiedo di essere esonerata dal mio incarico finché non avrò catturato l’assassino di Donli e non avrò ottenuto giustizia.

Jonafer abbassò la testa.

— Sono costretto a lasciarla fare — ammise sottovoce.

Evalyth si alzò.

— La ringrazio — si congedò. — Vogliate scusarmi, ma desidero iniziare le indagini il più presto possibile.

…Mentre si sentiva ancora un automa, mentre era sotto l’effetto dei farmaci.

Sugli altipiani, grazie al clima più mite e secco, la coltivazione dei campi era andata avanti anche quando la civiltà si era degradata; i prodotti agricoli, ottenuti a fatica con attrezzature primitive, mantenevano la popolazione dei villaggi sparsi un po’ ovunque e della capitale Lokon.

La popolazione degli altipiani aveva molto in comune con i selvaggi della giungla; infatti solo un numero assai esiguo dei primi coloni era vissuto tanto da avere una progenie. Però si distingueva per l’altezza e la forza, dovute alla migliore alimentazione; inoltre portava tuniche e calzari dai colori vivaci e i più ricchi si permettevano anche monili d’oro e d’argento. Tenevano i capelli intrecciati e il viso perfettamente rasato; procedevano sicuri, senza il timore di essere aggrediti, ed erano molto loquaci.

Logicamente il tutto valeva solo per gli uomini liberi. Gli studiosi della Nuova Aurora avevano appena iniziato a comprendere la società di Lokon, ma avevano subito capito quanto fosse esteso il fenomeno della schiavitù.

In alcuni casi si trattava di abili domestici, ma la maggior parte delle volte si erano trovati di fronte a uomini nudi e sottomessi, costretti al lavoro nei campi, nelle cave e nelle miniere, controllati da soldati che erano armati di spade e di lance fatte con l’antico metallo dell’Impero.

In realtà nessuno degli studiosi ne era rimasto meravigliato: in altri luoghi avevano assistito a cose peggiori e le memorie della Vecchia Terra citavano grandi potenze del passato quali Atene, l’India e l’America.

Evalyth procedeva sicura lungo le strade strette e piene di polvere, passando in mezzo a case colorate dalla forma cubica e senza finestre. I passanti la salutavano educatamente. Ormai non sospettavano più degli stranieri, ma quella donna che vedevano passare superava in altezza anche il loro connazionale più alto, aveva i capelli di un colore metallico e occhi azzurri come il cielo; portava con sé la folgore, e chissà quali poteri soprannaturali.

Al suo apparire si inginocchiavano anche i soldati e i nobili; gli schiavi, invece, si gettavano a terra. Quando arrivava Evalyth spariva ogni rumore: al mercato cessavano le contrattazioni e i bambini scappavano tralasciando i loro giochi, cosicché intorno a lei si creava sempre un silenzio che eguagliava quello della sua anima. Nell’aria e sotto la cima bianca del Monte Burus era tangibile il terrore, in quanto tutti ormai sapevano che un selvaggio delle pianure aveva ucciso uno straniero e si chiedevano cosa sarebbe successo.

Anche Rogar doveva esserne al corrente, perché era in attesa nella sua abitazione in riva al Lago Zelo, di fianco al Luogo Sacro. Rogar non era il re, né il capo del consiglio e neppure un sommo sacerdote, ma era come se fosse tutte queste cose insieme ed era lui a tenere i rapporti con i nuovi venuti.

La sua casa era simile a tutte le altre, anche se più estesa, con le opprimenti mura perimetrali che circondavano un complesso di costruzioni vietate agli stranieri, Le porte d’accesso erano custodite da guardie con divise scarlatte ed elmi di legno scolpiti in modo alquanto bizzarro. Per quella occasione un numero ancora maggiore di sentinelle era stato collocato ai fianchi della porta d’ingresso di Rogar. Dietro, il lago riluceva come uno specchio e lungo le sue rive le piante apparivano irrigidite.

Quando Evalyth arrivò, il pingue e anziano maggiordomo di Rogar l’accolse all’entrata con un inchino.

— Se la Venuta dal cielo accetta di seguire un essere indegno come me, il Klev Rogar l’aspetta. — Le sentinelle piegarono le lance in segno di saluto con il terrore negli occhi.

Anche la casa di Rogar, come tutte le altre, dava su un cortile interno. Il padrone era seduto su una predella in una camera che si apriva sul giardino; il riverbero esterno la faceva sembrare ancora più fresca.

Evalyth osservò solo con la coda dell’occhio le decorazioni dei muri e del tappeto, che le parvero comunque molto primitive; il suo interesse era tutto rivolto a Rogar. L’uomo, però, seguendo le usanze locali non si mosse, limitandosi ad abbassare il capo brizzolato.