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«Gli hanno sparato?»

«Quattro fori di proiettile, in pieno petto.»

«Caspita.» Il mare gettava a riva parecchi cadaveri come quello. «Mi piacerebbe sapere per cosa combattono con tanto accanimento, là fuori.»

Mando si strinse nelle spalle. Nel campo di patate al di là della strada, Rebel Simpson, rossa in viso, dava la caccia a un cane con una zappetta in bocca e gli inveiva contro.

«Papà dice che al largo c’è una guardia costiera apposta per tenere lontano la gente» riprese Mando.

«Lo so. Ma mi chiedo se non siano proprio loro.»

Grosse navi comparivano come fantasmi lungo la costa, di solito all’orizzonte, qualche volta più vicino; e di tanto in tanto il mare gettava a riva cadaveri crivellati di proiettili. Ma, a parer mio, questo era il massimo che si potesse dire con certezza del mondo esterno. Quando ci pensavo, a volte diventavo così curioso da rasentare la rabbia. Mando, invece, era sicuro che suo padre (il quale si limitava a ripetere le parole del vecchio) avesse sempre la risposta giusta. Mi accompagnò fino alla scogliera. Al largo c’era una nube bianca all’orizzonte: il banco di nebbia, che più tardi sarebbe tornato a riva, spinto dal vento. In basso, sulla spianata lungo il fiume, caricavano le reti.

«Devo salire a bordo» dissi a Mando. «Ci vediamo dopo.»

Prima che terminassi di scendere la scogliera, già mettevano in acqua le barche. Raggiunsi Steve, fermo accanto alla barca più piccola, ancora sulla sabbia. John Nicolin, il padre di Steve, si avvicinò e mi guardò storto.

«Oggi voi due prendete le canne» disse. «Non sareste buoni per nient’altro.»

Lo guardai senza battere ciglio. Lui si allontanò a brontolare un ordine alla barca che scivolava in acqua.

«Sa che siamo stati fuori?»

«Già.» Steve arricciò le labbra. «Ho inciampato in una rastrelliera di pesce secco, mentre rientravo di nascosto.»

«Ha fatto storie?»

Lui girò la testa per mostrarmi un livido accanto all’orecchio. «Tu che dici?» Non era dell’umore adatto a fare conversazione. Andai ad aiutare gli uomini che trascinavano sulla spianata la barca seguente. L’acqua fredda mi lambì i piedi e mi risvegliò del tutto. In mare, il sommesso crrr, crrrrr dei frangenti indicava un leggero moto ondoso. Venne il turno della barca più piccola; Steve e io balzammo a bordo mentre la spingevano nel canale. Remammo senza molto impegno, affidandoci alla corrente; oltrepassammo con facilità i frangenti alla foce del fiume.

Quando tutte le barche furono intorno al gavitello che segna il principale banco di scogli a fior d’acqua, si trattò del lavoro di tutti i giorni. Le tre barche più grosse iniziarono la manovra circolare, calando le reti a sacco. Steve e io remammo verso sud, mentre altre barche per la pesca a canna si dirigevano a nord. All’estremità meridionale della valle c’è una piccola insenatura, quasi ostruita da blocchi di calcestruzzo a pelo d’acqua: la chiamiamo Concrete Bay. Fra gli scogli di cemento e quelli naturali più al largo c’è un canale, usato dai pesci più svelti per sfuggire alle reti; di solito, mentre le reti sono all’opera, la pesca con la canna dà buoni risultati. Steve e io gettammo l’ancora sopra il banco di scogli principale e lasciammo che il moto ondoso ci spingesse nel canale, fin quasi ai segmenti curvi degli scogli di cemento. Poi tirammo fuori le canne. Annodai alla lenza la scintillante barretta metallica che avrebbe fatto da esca. «Maniglia di bara» dissi a Steve, tenendola sollevata prima di lanciarla fuori bordo. Lui non rise. Lasciai che l’esca andasse a fondo e cominciai a recuperare piano piano la lenza.

Pescammo: lanciavamo l’esca sul fondale, riavvolgevamo la lenza a poco a poco, lanciavamo di nuovo l’esca. Di tanto in tanto le canne si curvavano e qualche minuto di lotta terminava con un colpo di raffio. Poi si ricominciava. A nord i pescatori tiravano a bordo reti argentee di pesce che si dibatteva per cercare la libertà perduta; le barche s’inclinavano sotto il peso, a volte sembrava che dovessero mostrare la chiglia e capovolgersi. Verso terra, pareva che le montagne salissero e scendessero, salissero e scendessero. Sotto il sole velato di nuvole, la foresta era di un bel verde vivo, in contrasto con il grigio smorto della scogliera e delle cime brulle.

Cinque anni prima, quando ne avevo dodici e Pa’ mi aveva mandato a lavorare da John Nicolin, la pesca mi pareva un’avventura. Ero entusiasta di tutto: la pesca in sé, gli umori dell’oceano, il lavoro di squadra degli uomini, il fascino della terra vista dal mare. Ma da allora era passato un mucchio di giorni sull’acqua, e un mucchio di pesce era stato tirato a bordo: pesci piccoli e grossi, niente pesci oppure tanto di quel pesce da esaurire la forza delle braccia e da far venire le vesciche alle mani; sopra marosi alti e lenti, o maretta spinta dal vento, o acqua piatta come specchio; e sotto cieli caldi e sereni, o nella pioggia che rendeva le montagne un miraggio grigio, oppure, in caso di tempesta, sotto nuvole che correvano in alto come cavalli… ma per lo più erano giornate come quella: mare abbastanza calmo, sole in lite con nubi alte, bottino discreto. E l’entusiasmo era scomparso da un pezzo. Ormai per me era solo lavoro.

Fra un pesce e l’altro sonnecchiai, cullato dal moto ondoso. Stare disteso con la testa appoggiata alla falchetta per un poco andò benissimo, e anche stare rannicchiato sul banco, pur con il rischio di farmi schiaffeggiare dalla coda di un pesce. Il resto del tempo lo passavo curvo sulla canna e mi svegliavo quando mi sbatteva contro la pancia. Allora riavvolgevo la lenza, tiravo il pesce, lo arpionavo, lo issavo a bordo, gli davo un colpo di mazzuolo in testa, staccavo l’esca, la gettavo di nuovo in mare e riprendevo a dormire. Provai a stendermi di schiena sul banco (per tutti i suoi novanta centimetri), a gambe incrociate, piedi in equilibrio precario contro la falchetta, per dormire dieci minuti di più.

«Henry!»

«Sì!» risposi, mettendomi a sedere e controllando la canna per forza d’abitudine.

«Abbiamo già un po’ di pesce.»

Lanciai un’occhiata ai tonni striati e ai persici. «Una decina.»

«Buona pesca. Forse nel pomeriggio riuscirò ad allontanarmi.» Steve era pensieroso.

Dubitavo che ci riuscisse, ma non dissi niente. Il sole era velato, l’acqua grigia. Cominciava a fare freddo. Il banco di nebbia iniziava l’avanzata. «Mi sa che il pomeriggio lo passeremo a riva» dissi.

«Già. Dobbiamo andare su da Barnard. Gli voglio far prendere uno spaghetto, a quel vecchio bugiardo.»

«Certo.»

In quel momento ne abboccarono due grossi e ci toccò darci da fare per non aggrovigliare le lenze. Eravamo ancora impegnati a tirarli a bordo, quando giunse il segnale di tromba di Rafael. I pescatori avevano ritirato le reti, la nebbia avanzava rapidamente. Per quel giorno la pesca era finita. Con un grido di gioia tirammo i pesci a bordo senza perdere tempo, agganciammo i remi agli scalmi e ci accostammo alla barca di Rafael. Ci rifilarono un po’ di pesce, perché alcune barche rischiavano di affondare, tanto erano piene. E remammo nella foce del fiume.

Con l’aiuto della famiglia di Nicolin e degli altri sulla riva, tirammo la barca a secco e portammo il pesce ai banchi di pulitura. I gabbiani si tuffarono più volte contro di noi, con strida acute e un frullare d’ali. Quando la barca fu vuota e tirata alla base della scogliera, Steve si avvicinò a suo padre, che controllava le reti e scuoteva il dito contro Rafael rimproverandolo per qualche fune attorcigliata.

«Posso andare adesso, Pa’?» chiese Steve. «Hanker e io dobbiamo prendere lezioni da Tom.» Ed era vero.

«No» rispose il vecchio Nicolin, ancora chino a ispezionare la rete. «Ci aiuterai a sistemare questa rete. E poi andrai a dare una mano a tua madre e alle tue sorelle per pulire il pesce.»

All’inizio John aveva mandato Steve a imparare a leggere dal vecchio, perché riteneva che per la famiglia fosse un segno di prosperità e distinzione. Poi, quando Steve ci aveva preso gusto (ma ce n’era voluto!), John aveva iniziato a tenerlo lontano dall’istruzione: un’altra arma nella battaglia sempre in corso fra loro due. John si raddrizzò, fissò Steve; era poco più basso del figlio, ma molto più robusto. Tutt’e due avevano la stessa mascella volitiva, lo stesso ciuffo di capelli castani, occhi celesti, naso dritto e marcato… Si scambiarono un’occhiata astiosa: John sfidava Steve a rimbeccarlo davanti a tutti gli uomini affaccendati lì attorno. Per un istante pensai che sarebbe successo, che Steve l’avrebbe sfidato, iniziando così chissà quale sanguinoso litigio. Ma Steve gli girò le spalle e a passo deciso si diresse ai banchi di pulitura. Aspettai un attimo che si calmasse un poco, poi gli andai dietro.