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Con aria mogia, gettò alcuni rametti sulle braci del fuoco sistemato in modo che bruciasse lentamente. Ci sedemmo davanti alla finestra, in due poltrone a braccioli, aspettando che l’acqua si scaldasse. Il mare era una stoffa a chiazze colorate, grigio chiaro e grigio scuro, con bottoni d’argento disseminati in una fila storta fra noi e il sole. Sembrava che venisse la pioggia, anziché la nebbia. Il vecchio Nicolin si sarebbe arrabbiato, perché non si può pescare sotto la pioggia. Tom si tirò la pelle del viso, disegnando uno schema nuovo nelle diecimila rughe che lo coprivano. «Che cosa mai è accaduto all’estate?» canticchiò. «Sì, quando la vita era fa-ci-leee.»

Gettai sul fuoco altri ramoscelli, senza far caso al motivetto udito già tante volte. Tom aveva raccontato un mucchio di storie sui vecchi tempi e aveva insistito che allora la nostra costa era un deserto spoglio e arido. Però, guardando dalla finestra le foreste e le nuvole gonfie, sentendo il fuoco scaldare l’aria gelida della stanza, ricordando l’avventura della notte precedente, non ero sicuro di potergli credere. Metà delle sue storie non trovavano conferma nei molti libri che possedeva… e poi, forse mi aveva insegnato a leggere male, in modo che le mie letture avallassero le sue parole.

Ma sarebbe stato difficile inventare un sistema coerente, mi dissi, mentre lui gettava nel bricco una bustina di tè, fatto con le erbe che raccoglieva all’interno. E ricordai la volta che, a un raduno di scambio, era venuto di corsa da me, Steve e Kathryn, ebbro d’eccitazione, balbettando: «Guardate cosa ho comprato, guardate cosa ho avuto!» e ci aveva tirati sotto una torcia per mostrarci una vecchia mezza enciclopedia malandata, aperta alla pagina che mostrava la fotografia di un cielo nero sopra un terreno bianco sul quale c’erano due figure tutte bianche e una bandiera americana. «Questa è la Luna, capite? Vi avevo detto che c’eravamo andati, ma voi non ci credevate.»

«E non ci credo ancora adesso» aveva risposto Steve. A momenti si era messo a ridere, allo scoppio di collera del vecchio.

«Per questa fotografia ho dato quattro barattoli di miele, solo per dimostrarlo a voi scettici. E tu ancora non ci credi?»

«No!»

Kathryn e io morivamo dal ridere, davanti a loro due… anche noi eravamo abbastanza brilli. Ma lui aveva conservato la foto (anche se aveva buttato l’enciclopedia) e in seguito vidi la palla azzurra della Terra nel cielo nero, piccola com’è la Luna nel nostro. Avrò fissato la foto per un’ora. Quindi, una delle cose che lui sosteneva, fra le meno attendibili, era vera. Ed ero incline a credere anche al resto, di solito.

«Bene» disse Tom, porgendomi una tazza piena di tè aromatico. «Sentiamo la lezione.»

Mi schiarii la mente per evocare la pagina del libro che Tom mi aveva dato da imparare. Le righe regolari rendevano facile ricordare la poesia; la recitai come se la leggessi:

«È questo il paese, è questo il suolo, il clima» disse l’Arcangelo perduto «è questa la sede che dobbiamo scambiare con il Paradiso? … queste lugubri tenebre, con quella luce celestiale?»

Continuai con facilità, divertendomi a recitare la sfida di Satana. Alcuni versi si prestavano particolarmente a essere declamati con voce roboante:

«Addio, campi felici, dove la gioia dimora in eterno! Salve, orrori! Salve, mondo diabolico! E tu, Inferno profondissimo, accogli il tuo nuovo possessore… uno che porta una mente che né luogo né tempo cambieranno. La mente è il luogo stesso, dentro di sé può rendere Paradiso l’Inferno, Inferno il Paradiso. Che importa dove, se sarò sempre lo stesso e quel che dovrei essere, quasi meno di colui che il tuono ha reso più grande? Qui almeno saremo liberi…»

«Basta così, questa l’hai imparata» disse Tom, con aria soddisfatta, guardando il mare. «I versi migliori che abbia mai scritto, per metà rubati a Virgilio. E l’altro brano?»

«L’altro lo recito anche meglio» dissi, fiducioso. «Senti:»

«Credo d’essere un profeta appena ispirato, e così spirando prevedo di lui: la sua impetuosa e violenta fiammata di rivolta non può durare, perché i fuochi violenti si esauriscono presto. L’acquerugiola dura a lungo, ma le tempeste improvvise sono brevi; spesso si stanca chi spesso sprona troppo forte; chi si ciba con avidità è dal cibo soffocato…»

«Proprio il nostro ritratto» m’interruppe Tom. «Qui parla dell’America. Volevamo divorare il mondo e ne siamo rimasti soffocati. Scusa, continua pure.»

Mi sforzai di ricordare il punto esatto, poi ripresi:

«Questo regale trono di sovrani, quest’isola munita di scettro, questa terra di maestà, questa sede di Marte, quest’altro Eden, semi-paradiso, questa fortezza eretta per sé dalla Natura contro l’infezione e la mano della guerra, questa felice stirpe d’uomini, questo piccolo mondo, questa preziosa pietra in un mare d’argento che le serve da muraglia, o da fossato a difesa d’una casa, contro l’invidia di terre meno fortunate, quest’area benedetta, questo regno, quest’Inghilterra…»

«Basta!» esclamò Tom, ridacchiando e scuotendo la testa. «O troppo. Non so cosa pensare. Ma senza dubbio ti faccio imparare a memoria della roba buona.»

«Già» dissi. «Si capisce perché Shakespeare riteneva l’Inghilterra il migliore dei tredici stati.»

«Sì… Era un grande americano. Forse il più grande di tutti.»

«Ma cosa significa fossato?»

«Fossato? Ah, un canale d’acqua che circonda un luogo per rendere difficile l’accesso. Non l’hai capito, dal contesto?»

«Se l’avessi capito, perché lo chiederei?»

Tom rise. «Ho udito questa parola in uno dei piccoli raduni di scambio nell’entroterra, solo l’anno scorso. Un contadino diceva: «Scaveremo un fossato attorno al granaio». Sono rimasto un poco sorpreso. Ma si sentono sempre parole insolite come questa. Un tale, ai raduni, diceva che avrebbero gabbato qualcuno; e un altro mi ha detto che la mia abilità di venditore era degna di un filibustiere. Insaziato, simulatore… è sorprendente come le parole entrino nella lingua parlata. Brutte notizie per lo stomaco sono buone notizie per la lingua, capisci cosa intendo?»

«No.»

«Be’, sono sorpreso di te.» Si alzò, rigido e lento; riempì di nuovo la teiera, la sistemò sul fuoco. Poi s’accostò a uno scaffale di libri. L’interno della casa sembrava un poco il cortile: cianfrusaglie da tutte le parti, solo meno voluminose; altri orologi, una collezione di lampade e lanterne, una macchina per suonare la musica (dì tanto in tanto vi metteva sopra un disco e lo faceva girare, con il dito ossuto, ordinandoci di accostare l’orecchio per udire il mormorio alto e basso della musica stridula, e intanto diceva: «Questa è l’Eroica! Ascoltatela!» finché non gli intimavamo di chiudere il becco e lasciarci ascoltare); ma due pareti erano occupate quasi per intero da scaffali sovraccarichi di libri malandati. Molti non me li aveva lasciati leggere; ma ora ne prese uno e me lo gettò in grembo. «Passiamo alla lettura a vista. Comincia dal segno, lì.»

Aprii lo smilzo e ammuffito libretto, cominciai a leggere… un compito che mi risultava ancora assai difficile, assai piacevole. «“La giustizia è di per sé impotente: ciò che per natura governa è la forza. Tirare quest’ultima a fianco della giustizia, in modo che con la forza la giustizia governi… è il problema dell’abilità politica, certo assai grave; si capisce fino a che punto, se si considera quale sconfinato egoismo riposi in quasi ogni cuore umano; e che parecchi milioni di individui sono siffatti da dover essere mantenuti nei confini della pace, dell’ordine e della legalità. Stando così le cose, è una meraviglia che il mondo nel suo insieme sia pacifico e rispettoso delle leggi così come facciamo in modo sia”» a questo punto il vecchio scoppiò a ridere e continuò a lungo «“situazione che, tuttavia, determina solo il meccanismo dello stato. Infatti l’unica cosa che può produrre un effetto immediato è la forza fisica, dal momento che è l’unica cosa che gli uomini in generale capiscono e rispettano…”»