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Chiusi a chiave la porta. Tornai a casa per il pranzo e trovai mio padre che spaccava la legna in giardino.

«Buongiorno» disse asciugandosi la fronte. Era umido, anche se non faceva particolarmente caldo, e lui era in canottiera.

«Ciao» dissi io.

«Tutto bene ieri?»

«Sì.»

«Sono tornato tardi.»

«Dormivo.»

«Me l’immaginavo. Vorrai pranzare, ora.»

«Oggi preparo io, se vuoi.»

«No, non preoccuparti. Puoi spaccare la legna, se ti va. Del pranzo me ne occupo io.» Mise giù l’accetta e si asciugò le mani sui calzoni, lanciandomi un’occhiata. «Tutto tranquillo ieri?»

«Oh, sì» annuii, restando là dov’ero.

«Non è successo niente?»

«Niente di particolare» gli assicurai, e intanto posai i miei arnesi e mi tolsi la giacca. Tirai su l’accetta. «Una giornata molto tranquilla, davvero.»

«Bene» disse lui, apparentemente convinto, ed entrò in casa. Cominciai ad abbattere l’accetta sulla catasta di legno.

Dopo pranzo andai in città, portandomi dietro la mia bici Gravel e un po’ di soldi. Dissi a mio padre che tornavo per l’ora di cena. Ero a metà strada da Portneil quando iniziò a piovere, perciò mi fermai per mettermi il k-way. La strada era dura, ma me la cavai senza intoppi. Il paese appariva grigio e vuoto alla luce uggiosa del pomeriggio. Sulla strada che va a nord le macchine sfrecciavano con sibili acuti; alcune di esse avevano i fari accesi, cosa che faceva sembrare tutto il resto ancora più ovattato. Prima di tutto andai al negozio di caccia e pesca a trovare il vecchio Mackenzie e prendergli un’altra delle sue fionde da caccia americane e un po’ di proiettili per il fucile ad aria compressa.

«Come va oggi, giovanotto?»

«Benissimo, e lei?»

«Oh, non troppo male» rispose scuotendo lentamente la testa grigia. Gli occhi e i capelli ingialliti avevano un che di ripugnante sotto la luce elettrica del negozio. Ci diciamo sempre le stesse cose. Spesso mi capita di stare nel negozio più del previsto solo perché c’è un buon odore.

«E come se la passa tuo zio? È un pezzo che non lo vedo.»

«Sta bene.»

«Oh, mi fa piacere» disse Mackenzie, strizzando gli occhi con una leggera aria di sofferenza e scuotendo lentamente il capo. Annuii anch’io, e guardai l’orologio.

«Be’, ora devo andare» dissi, e cominciai a indietreggiare, mettendo la nuova fionda nello zaino e le pallottole avvolte in carta scura nelle tasche della giacca da combattimento.

«Se devi andare, vai» disse Mackenzie, facendo cenni col capo verso il bancone di vetro, come a voler ispezionare le esche artificiali, i mulinelli e i richiami per le anatre che stavano là dentro. Prese uno straccio accanto al registratore di cassa e cominciò a strofinarlo lentamente, alzando lo sguardo solo nell’istante in cui stavo uscendo dal negozio, e disse: «Allora, arrivederci».

«Sì, arrivederci.»

Nel bar Belvedere del Fiordo — un luogo dove doveva essersi verificato qualche tremendo cedimento del terreno quando il posto già si chiamava così, visto che per riuscire a vedere il mare bisognerebbe stare almeno un piano più in alto — presi un caffè e feci una partita a Space Invaders.

Avevano messo un nuovo videogioco, ma dopo una sterlina o giù di lì era già in mio totale dominio, tanto che vinsi addirittura un’astronave supplementare. Mi stufai subito, e tornai a sedermi davanti al caffè.

Diedi un’occhiata ai manifesti sui muri per vedere se ci fosse qualcosa di interessante in zona, ma a parte il Film Club non c’era molto. Il primo film in programma era Il tamburo di latta, ma era tratto da un libro che mio padre mi aveva comprato diversi anni prima, uno dei pochi veri regali che mi abbia mai fatto, e per questo ho sempre evitato accuratamente di leggerlo, così come avevo fatto con Myra Breckinridge, un altro dei suoi rari regali. Il più delle volte mio padre mi dà i soldi che gli chiedo e io mi compro quello che voglio. Non credo che la cosa lo coinvolga più di tanto; ma, d’altra parte, non sarebbe capace di rifiutarmi niente. Per quanto mi risulta, è come se tra noi due ci fosse un tacito accordo, io tengo il becco chiuso sulla mia ufficiale non-esistenza, e in cambio posso fare praticamente il comodo mio sull’isola e comprarmi più o meno tutto ciò che mi pare giù in paese. L’unica cosa su cui ultimamente abbiamo avuto discussioni è stata la motocicletta. Lui mi ha detto che me la comprava quando diventavo un po’ più grande. Io ho detto che sarebbe stata una buona idea comprarla quell’estate stessa, così avrei potuto fare pratica prima che arrivasse il brutto tempo, quando si scivola, ma lui era dell’idea che in piena estate ci sarebbe stato troppo traffico, coi turisti che andavano in giro per il paese e per tutte le strade intorno. Io credo che lui voglia solo continuare a rimandare quest’acquisto. Forse teme che io diventi troppo indipendente, o forse ha solo paura che possa ammazzarmi come capita a molti ragazzi che si fanno la moto. Non so, non riesco mai a capire bene quello che prova per me. E a pensarci bene, neanche io so se effettivamente a lui ci tengo.

Speravo di incontrare qualcuno che conoscevo, intanto che ero in paese, ma le uniche persone che vidi erano il vecchio Mackenzie del negozio di caccia e pesca e la signora Stuart al bar, grassa e sonnacchiosa, che leggeva un romanzetto rosa dietro al bancone di formica. Non che conosca poi tanta gente, comunque. Jamie è il mio unico vero amico, e grazie a lui ho incontrato un po’ di persone della mia età che posso considerare conoscenti. Non ho mai frequentato la scuola e sull’isola ho sempre agito come se in realtà non esistessi, è questo il motivo per cui non ho mai avuto a che fare con gente della mia età (tranne Eric, naturalmente, ma lui è stato via per un sacco di tempo), e quando alla fine ho preso la decisione di avventurarmi oltre e di cercare di conoscere qualcuno, proprio allora Eric è impazzito, e per un po’ le cose al paese si sono messe male.

Le mamme dicevano ai figli di comportarsi bene, altrimenti Eric Cauldhame li avrebbe presi e avrebbe fatto loro cose orribili con vermi e larve. Inevitabilmente la storia a poco a poco diventò che Eric li avrebbe bruciati vivi, non limitandosi alle bestiole e ai canile così, altra inevitabile conseguenza, un sacco di bambini cominciarono a credere che io fossi Eric, o che anch’io mi mettessi a fare gli stessi scherzi. O forse i genitori avevano intuito qualcosa a proposito di Blyth, Paul e Esmeralda. In ogni caso, i bambini mi stavano alla larga e mi gridavano insulti tenendosi a distanza, e quindi dovetti farmi da parte e limitare al minimo le mie visite in paese. Ancora adesso subisco strane occhiate da parte di bambini, ragazzi e adulti, e lo so che certe madri dicono ai figli che se non si comportano bene finiranno nelle mani di Frank, ma non mi interessa. Non ci faccio caso, a certe cose.

Presi la bici e tornai a casa in modo piuttosto incauto, sfrecciando per il sentiero tra le pozzanghere e lanciandomi a quaranta chilometri all’ora giù per il Salto — una parte del sentiero con una lunga discesa seguita da una leggera salita dove è facile staccarsi da terra — fino a toccare di nuovo il terreno con un tonfo attutito dal fango, e per poco non andai a finire nei cespugli spinosi di ginestre. Il tonfo mi provocò un dolore al culo che mi fece spalancare la bocca. Ma riuscii ad arrivare senza riportare grossi danni. Dissi a mio padre che andava tutto bene e che tornavo per mangiare nel giro di un’ora o giù di lì, poi mi diressi verso la rimessa per dare una pulita a Gravel. Dopodiché mi misi a confezionare delle altre bombe per rimpiazzare quelle che avevo usato il giorno prima, e ne feci anche qualcuna in più. Nel rifugio accesi la vecchia stufa elettrica, non tanto per scaldarmi, quanto per impedire che la miscela altamente igroscopica assorbisse i vapori umidi dell’aria.