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— E non c’era nulla che lo indicasse, che lo potesse dimostrare?

— No. Nulla. Lei non era mai stata con noi. Nessuno ricordava la sua presenza, salvo me. E io mi sbagliavo. Ecco tutto.

Haber accennò gravemente di sì, e si carezzò la barba. Quello che all’inizio era apparso un semplice caso di assuefazione ai farmaci, ora si rivelava per una grave aberrazione; ma egli non si era mai visto presentare in modo così diretto un sistema illusorio di realtà. Forse Orr poteva essere uno schizofrenico intelligente che gli passava una storia bell’e fatta, cercando di ingannarlo con l’inventiva e la disonestà tipica dei temperamenti schizoidi; ma d’altro canto il giovanotto non mostrava la caratteristica arroganza interiore di questi malati mentali: un’arroganza alla quale Haber era estremamente sensibile.

— Perché dice che sua madre non si è accorta che la realtà era cambiata dalla sera prima?

— Be’, lei non l’aveva sognata. Voglio dire che il sogno cambiò davvero la realtà. Costruì una realtà diversa, retrodatata, di cui mia madre aveva sempre fatto parte. E lei, dato che vi era dentro, non aveva ricordi di altre realtà. Io ne avevo, invece, e le ricordavo entrambe, perché io… ero lì al momento del cambio. È l’unico modo in cui posso spiegarmelo, anche se so che è privo di senso. Ma una spiegazione devo pur darmela, oppure rassegnarmi alla conclusione di essere pazzo.

No, decisamente questo tale non era affatto burro e marmellata.

— Il mio ramo, signor Orr, non è quello di dare giudizi. Io cerco i fatti. E gli eventi della psiche, mi creda, per me sono dei fatti. Quando lei vede i sogni di un altro, nello stesso momento in cui li sogna, registrati nero su bianco nell’encefalogramma, come li ho visti io migliaia di volte, lei non parla più dei sogni come di eventi «irreali». I sogni esistono, sono dei fatti, lasciano un segno dietro di sé. Allora, credo di capire che lei ha fatto altri sogni che parevano avere lo stesso tipo di effetto, vero?

— Qualcuno. Però, a una certa distanza di tempo. E sempre in momenti di tensione. Ma mi pareva che… aumentassero di frequenza. Cominciai ad averne paura.

Haber si sporse verso di lui. — Perché?

Orr parve sorpreso.

— Perché averne paura?

— Perché non desidero affatto cambiare le cose! — esclamò Orr, col tono di chi dice una cosa lapalissiana. - Che diritto ho, io, di cambiare la natura delle cose? E poi, è la mia mente inconscia a cambiare le cose, senza controllo da parte della mia intelligenza. Ho provato con l’autoipnosi, ma non ho ottenuto nulla. I sogni sono incoerenti, egoistici, irrazionali… immorali, come ha detto lei un minuto fa. Ci arrivano dalla parte asociale di noi stessi, non è vero, almeno per una certa percentuale? Io non volevo uccidere la povera Zia Ethel. Io desideravo soltanto che si togliesse dai piedi. Be’, nel sogno queste cose finiscono col diventare un po’ drastiche. I sogni tagliano corto: l’ho uccisa. In un incidente avvenuto un mese e mezzo prima, a migliaia di chilometri di distanza. Ma sono responsabile della sua morte.

Haber tornò a carezzarsi la barba. — E quindi — fece, lentamente, — i farmaci che sopprimono i sogni. Per evitare ulteriori responsabilità.

— Esattamente. I farmaci impedivano ai sogni di diventare troppo vividi. Soltanto certi sogni… sogni molto vivaci, intensi, risultano… — s’interruppe, cercando la parola meglio adatta: — «Efficaci».

— Capisco. Benissimo. Vediamo un po’. Lei non è sposato, e di professione fa il disegnatore per la Compagnia Idraulica Bonneville-Umatilla. Che ne pensa del suo impiego.

— Buono.

— E la sua vita sessuale?

— Finora ho contratto soltanto un matrimonio temporaneo. Ci siamo lasciati l’estate scorsa, dopo un paio d’anni.

— Chi è stato a voler troncare, lei o sua moglie?

— Tutt’e due. Lei non voleva figli. La nostra unione non era roba da matrimonio definitivo.

— E da allora a oggi?

— Be’, ci sono alcune ragazze del mio ufficio, ma non… Sa, confesso di non essere un grande scopatore, a dire il vero.

— E per quanto riguarda i rapporti interpersonali in generale? Pensa che le sue relazioni con le altre persone siano soddisfacenti, ritiene di avere un suo posto nell’ecologia emozionale dei suoi conoscenti?

— Mah, penso di sì.

— Quindi si potrebbe affermare che nella sua vita non c’è nulla di fondamentalmente storto, vero? Benissimo. E ora mi dica una cosa: lei desidera, lei desidera veramente, uscire fuori da questa dipendenza dai farmaci?

— Certo.

— Benissimo. Ora, lei prendeva le medicine perché voleva evitare di sognare. Ma non tutti i sogni sono pericolosi; soltanto certi sogni molto vividi. Lei ha sognato sua zia Ethel sotto forma di una gatta bianca, ma, la mattina dopo, sua zia non era affatto una gatta bianca, vero? Alcuni sogni non fanno niente di male, sono sicuri, eh?

Attese il cenno d’assenso di Orr.

— Bene, allora le propongo una cosa. Che ne direbbe di fare una prova di tutta la faccenda: una prova che forse potrà insegnarle come riuscire a sognare con tutta sicurezza, senza timori? Mi spiego. Per lei, l’argomento del sognare è molto «carico» emotivamente. Lei ha letteralmente paura di sognare, perché ritiene che alcuni sogni abbiano la capacità di modificare il mondo reale, cambiandolo in modi che lei non può controllare. Ora, questa potrebbe essere una metafora molto complessa e molto significativa, di cui si serve la sua psiche inconscia per cercare di comunicare alla sua psiche cosciente certi aspetti della realtà… della sua realtà, della sua vita… che lei, razionalmente, non è ancora pronto ad accettare. In questo momento, il suo problema è il seguente: lei ha paura di sognare, eppure il suo organismo ne ha bisogno. Lei ha cercato di sopprimere i sogni mediante i farmaci, ma questo non ha funzionato. Benissimo, dico io: allora proviamo a fare il contrario. Proviamo a farla sognare, intenzionalmente. Facciamola sognare, intensamente, vivacemente, qui stesso. Sotto la mia supervisione, in condizioni scientificamente controllate. In modo che lei possa riavere il controllo di ciò che, secondo lei, le è sfuggito di mano.

— Ma non posso sognare a comando! — esclamò Orr, in tono di massimo sconforto.

— Niente affatto! Lei può farlo benissimo, nel Palazzo dei Sogni del Dottor Haber! Mai stato ipnotizzato?

— Dal dentista.

— Eccellente. Benissimo. Ecco il sistema: io la metterò in trance ipnotica, e le dirò che sta per addormentarsi, che farà un sogno, e che cosa sognerà. Lei porterà una cuffia trasmettitrice, per avere la sicurezza che si tratti di sonno vero e proprio, e non soltanto di una banale trance ipnotica. E io, mentre lei sognerà, la terrò sotto osservazione, direttamente e sull’EEG… sull’elettroencefalogramma, per tutto il tempo. Poi la sveglierò, e allora noi potremo parlare del sogno da lei fatto. E se tutto si svolgerà senza traumi, forse lei si sentirà più tranquillo quando si avvicinerà il momento del sogno successivo.

— Ma non riuscirò a fare un sogno «efficace», qui da lei! È una cosa che succede una volta ogni dieci, ogni cento sogni. — Le razionalizzazioni difensive di Orr erano molto coerenti.

— Qui da me, lei può fare qualsiasi tipo di sogni. Il contenuto dei sogni e il loro valore emotivo possono venire controllati quasi totalmente, se il paziente desidera sinceramente collaborare e l’ipnotista conosce il fatto suo. Ho dieci anni d’esperienza in questo campo. E lei collaborerà con me, perché porterà la cuffia. Mai portata una?