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La scatola di controllo di Dern ebbe un sussulto. Ce l'aveva fatta!

I tre si precipitarono giù nella sala dei registri, Jasmel e Dern davanti all'apertura, Adikor dietro, pronto ad aiutare il compagno in caso di bisogno, e…

Restò a bocca aperta.

Vide la testa di Ponter spuntare dal nulla. Ne vide il collo come tranciato di netto da una lama immensa. Dern e Jasmel lo stavano aiutando a tirarsi su, ma lui, impietrito, guardava il corpo dell'amato emergere progressivamente dal buio che ne fasciava i contorni, come una scura lama che tranciava di netto le spalle, il torace all'altezza del cuore e dei polmoni, la pancia, le gambe, finché…

Eccolo! Era lì, tutto intero, riemerso dal nulla assoluto!

Lo abbracciarono forte, gli girarono intorno, piansero e risero. Alla fine fu Adikor a parlare: «Bentornato! Bentornato a casa!»

«Grazie» rispose Ponter con un sorriso smagliante.

Adikor notò che Dern si era educatamente tenuto in disparte. «Scusaci» gli disse. «Ponter Boddit, ti presento Dern Kord, l'ingegnere che ci ha aiutato a riportarti qui.»

«Piacere» disse Ponter avvicinandoglisi, e…

«No!» urlò Dern.

Troppo tardi. Ponter aveva urtato il cavo teso, spezzandolo; una parte scivolò giù nel buco, verso il mondo dei Gliksin, e il varco scomparve in un bagliore blu elettrico.

Ancora una volta, i due mondi si erano separati.

46

Dern si sentiva come un cubo volante senza passeggeri. Lasciò educatamente la famiglia appena riunita alle sue effusioni, e tornò in superficie. I tre si erano invece accomodati nel cucinino del laboratorio.

«Non avrei mai pensato di rivedervi» disse Poníer lanciando sguardi sfavillanti ai suoi cari.

«Nemmeno noi» rispose Adikor.

«State bene? State tutti bene?»

«Sì, va tutto bene» lo rassicurò l'amico.

«E Megameg? Come sta il mio piccolo tesoro?»

«Sta bene» rispose Jasmel. «Credo che non si sia accorta di niente.»

«Devo andare subito da lei» disse Ponter. «Non mi importa se mancano ancora diciassette giorni al periodo in cui Due diventano Uno. Domani stesso andrò al Centro a salutarla.»

«Sarà felice di vederti» disse Jasmel sorridendo.

«E Pabo?»

Adikor fece un grosso sorriso. «Le manchi da morire. Scatta al minimo rumore, sperando che sia tu.»

«Quel dolce sacco d'ossa» sussurrò Ponter meditabondo.

«Dì un po', papà. Cosa ti ha dato quella femmina?»

«Oh. Non ho ancora visto. Vediamo un po'…» disse riscuotendosi.

Allungò la mano nella tasca di quei bizzarri pantaloni alieni. e tirò fuori un pacchetto bianco, che aprì con grande accortezza.

Dentro c'era una catenina d'oro da cui pendevano due semplici stecchette di lunghezza diversa, che si incrociavano all'altezza di circa un terzo di quella più lunga.

«È bellissima!» disse Jasmel. «Che cosa è?»

Ponter inarcò il grosso sopracciglio. «È il simbolo di un culto in cui alcuni di loro credono.»

«E lei chi era?» volle sapere Adikor.

«Una cara amica» rispose piano. «Si chiama… be', riesco a pronunciare solo la prima sillaba del nome: Mare.»

Adikor rise: nella loro lingua 'mare' significava 'persona amata." «Be', ti ho sempre detto che era ora che ti trovassi una nuova donna — lo canzonò — ma non pensavo che saresti andato a cercarla così lontano.»

Ponter accennò un sorriso. « È stata molto carina con me.»

Conoscendolo bene, Adikor sapeva che a tempo debito gli avrebbe raccontato tutto. Eppure…

«A proposito di donne. Eh, mentre eri via me la sono dovuta sbrigare con la compagna di Klast.»

«Daklar! E come sta?»

«A dire il vero.» rispose guardando Jasmel «durante la tua assenza è assurta a una certa notorietà.»

«Davvero? E per cosa?»

«Per aver intentato un'accusa di omicidio.»

«Omicidio!» esclamò Ponter. «E chi è stato ucciso?»

«Tu» rispose Adikor in tono impersonale.

Ponter rimase a bocca aperta.

«Be', vedi, eri scomparso, e Bolbay ha pensato che…»

«Ha pensato che tu mi avessi ucciso?» concluse Ponter incredulo.

«Sai, eri svanito nel nulla, e qui sotto l'archivio degli alibi non riesce a captare le trasmissioni dei Companion. Bolbay ha ritenuto che fosse lo scenario per un crimine perfetto.»

«Incredibile» commentò Ponter scuotendo la testa. «E chi ti ha difeso?»

«lo» rispose Jasmel.

«Che cara ragazza!» disse Ponter abbracciandola, e guardando il suo compagno: «Adikor, mi dispiace che tu abbia passato tutto questo.»

«Anche a me, ma ad ogni modo…» scrollò le spalle. «Ne sentirai parlare molto presto. Bolbay crede che io ti odii perché so di essere una nullità in confronto a te.»

«Che idiozia» disse Ponter staccandosi dalla figlia. «Senza di te non avrei raggiunto i risultati che ho ottenuto.»

Adikor inclinò leggermente il capo. «È molto generoso da parte tua, ma…» Si fermò, allargò le braccia, i palmi delle mani rivolti verso l'alto. «Forse non ha tutti i torti.»

Ponter gli mise un braccio attorno alle spalle. «Forse è vero per la parte teorica del nostro lavoro, ma sei stato tu a progettare e costruire il computer quantistico, grazie al quale siamo entrati in contatto con un nuovo mondo. Il tuo contributo è ben maggiore del mio.»

«Grazie» disse Adikor sorridendogli.

«E allora, come è andata a finire? Dal tono della voce desumo che non sia riuscita a dimostrare le sue accuse.»

«A dire il vero» intervenne Jasmel «il caso è finito in tribunale. Domani c'è la prima udienza.»

Ponter scosse la testa, meravigliato. «Be', ovviamente faremo annullare il capo di imputazione.»

Adikor sorrise. «Se sarai così gentile…»

Il giudice Sard sedeva tra un maschio raggrinzito e una femmina, se possibile, ancor più avvizzita. L'aula del Consiglio dei Grigi traboccava di spettatori, tra i quali una decina di Esibizionisti vestiti d'argento. Daklar Bolbay indossava sempre l'abito arancione, il colore dell'accusa. All'entrata di Adikor, che in luogo del blu indossava una camicia dai colori vivaci, con immagini floreali, e un pantalone verdolino, un mormorio si sparse tra la folla. Attraversò la sala e prese posto sulla panca che suo malgrado aveva avuto modo di conoscere bene.

«Scienziato Huld,» lo apostrofò il giudice Sard «qui abbiamo delle tradizioni da rispettare, e io mi aspetto che anche lei lo faccia. Non sopporto le perdite di tempo, quindi per oggi non la rimando a casa a cambiarsi, ma domani si vestirà in blu.»

«Naturalmente, signor giudice» rispose Adikor. «Mi perdoni.»

Sard annuì. «Si apre il dibattimento del processo intentato contro Adikor Huld di Saldak, accusato dell'omicidio di Ponter Boddit, anch'egli di Saldak. La giuria del tribunale è composta da Farba Dond» il vecchio annuì «da Kab Jodler e da me, Komel Sard. L'accusa è sostenuta da Daklar Bolbay, per conto della minore Megameg Bek, figlia della sua ultima compagna.» Osservò l'aula ricolma di gente, e un sorriso compiaciuto le si dipinse sul volto. Era consapevole che si stava dibattendo un caso del quale si sarebbe parlato a lungo. «Cominciamo con le dichiarazioni dell'accusa. Prego, Daklar Bolbay.»

«Con tutto il rispetto, signor giudice» interloquì Adikor alzandosi in piedi «mi stavo chiedendo se può parlare prima la difesa.»

«Scienziato Huld» ribatté Dond aspramente «il giudice Sard le ha già fatto notare la sua inottemperanza alle regole. Per convenzione si comincia sempre con l'accusa, e…»

«Oh, me ne rendo conto» lo interruppe Adikor. «Ma veda, al giudice Sard non piace perdere tempo, per questo vorrei che si cominciasse dalla difesa.»

Bolbay si alzò, fiutando l'occasione favorevole. In effetti, se avesse parlato dopo, avrebbe avuto un vantaggio. «Signor giudice, non mi oppongo alla richiesta.»