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La Grande A’Tuin era già affondata pacificamente sotto il livello del pavimento, più larga di una casa.

Dietro a Galder, i maghi erano immersi fino al petto nei mari. Una barca più piccola di un ditale attirò lo sguardo di Galder per un momento, prima di essere trasportata via attraverso la parete dalla corrente.

— Al tetto! — riuscì a gridare il mago, puntando in alto un dito tremante.

I maghi ai quali erano rimasti abbastanza buonsenso per pensare e abbastanza fiato per correre lo seguirono, procedendo veloci attraverso continenti che varcavano come nevischio la solida pietra.

Era una notte tranquilla, colorata dalla promessa dell’alba. La luna crescente stava tramontando. Ankh-Morpork, la più grande città delle terre intorno al Mare Circolare, riposava.

Affermazione non del tutto vera.

Da un lato, i quartieri della città che di solito svolgevano attività quali, per esempio, vendere verdure, ferrare cavalli, intagliare piccoli squisiti ornamenti di giada, cambiare denaro e fabbricare tavoli, in complesso, dormivano. A meno che gli abitanti non soffrissero d’insonnia. O, come succede, si fossero alzati di notte per recarsi in bagno. D’altro lato, molti cittadini meno osservanti delle leggi erano svegli e occupati, per esempio, a scavalcare finestre che non gli appartenevano, a tagliare gole, a derubarsi, ad ascoltare musica a tutto volume in cantine fumose e in generale a divertirsi un sacco. Ma quasi tutti gli animali erano addormentati, a eccezione dei ratti. E anche dei pipistrelli, naturalmente. Quanto agli insetti…

Il fatto è che molto raramente la prosa descrittiva è del tutto accurata e durante il regno di Olaf Quimby II, Patrizio di Ankh, vennero approvati provvedimenti legislativi per cercare di mettere fine a questo genere di cose e introdurre un po’ di onestà nel racconto. Così, se una leggenda diceva di un eroe tanto famoso che "tutti gli uomini parlavano delle sue prodezze", subito qualsiasi bardo che avesse cara la vita aggiungeva "salvo che per un paio di tizi nel suo villaggio natale che lo reputavano un ladro e un sacco di altra gente che in realtà non aveva mai sentito parlare di lui". Una similitudine poetica era strettamente limitata ad affermazioni quali "il suo potente destriero era rapido come il vento in una giornata calma, diciamo forza tre". E i discorsi su una fanciulla amata, con un viso capace di varare un migliaio di navi, dovrebbero essere supportati dalla prova che l’oggetto del desiderio aveva in effetti l’aspetto di una bottiglia di champagne.

Alla fine Quimby fu ucciso da un poeta scontento durante un esperimento condotto sui terreni del palazzo per provare la controversa accuratezza del proverbio "La penna è più forte della spada". Proverbio che in memoria del Patrizio è stato emendato per includervi la frase "soltanto se la spada è molto piccola e la penna molto appuntita".

Così, circa il sessantasette, forse il sessantotto per cento della città dormiva. Non che i restanti cittadini, che se ne andavano in giro furtivi presi dalle loro occupazioni generalmente illecite, notassero la pallida ondata che si riversava per le strade. Solo i maghi, usi a vedere l’invisibile, l’osservavano spumeggiare attraverso i campi lontani.

Essendo piatto, il Disco non ha un vero orizzonte. I marinai avventurosi, che si sono fatti venire strane idee a forza di contemplare uova e aranci e sono partiti per gli antipodi, hanno imparato presto che la ragione per cui le navi sembrano scomparire al di là del bordo del mondo è che esse scompaiono al di là del bordo del mondo.

Ma c’era un limite anche alla capacità di Galder di vedere nell’aria turbinosa di nebbia e piena di polvere. Il mago alzò gli occhi. Svettante al di sopra dell’Università scorse la Torre dell’Arte, un edificio cupo e antico reputato il più vecchio del Disco, con la sua famosa scala a chiocciola di ottomilaottocentottantotto scalini. Dal suo tetto merlato, ricovero delle cornacchie e di vigilanti mascheroni, un mago potrebbe vedere fino al bordo stesso del Disco. Dopo avere trascorso più o meno dieci minuti scosso da una tremenda tosse, naturalmente.

— Accidenti! — borbottò Galder. — A che vale essere un mago, dopo tutto? Avyento, thessalous. Volerò! A me, spiriti dell’aria e dell’oscurità!

Tese una mano nodosa verso un punto del parapetto sgretolato. Da sotto le sue unghie macchiate di nicotina sprizzò una fiamma di ottarino che andò a colpire la pietra molto più in alto.

Questa cadde. Grazie a uno scambio di velocità accuratamente calcolato, Galder si sollevò in aria, con la camicia da notte che gli batteva sulle gambe ossute. Si levò sempre più su, sfrecciando attraverso la pallida luce simile a, simile a… va bene, simile a un mago vecchio ma potente scagliato in alto sulle scale dell’universo da una schicchera ben calcolata.

Atterrò su uno strato di vecchi nidi, si rimise in equilibrio e abbassò lo sguardo sulla vista vertiginosa di un’alba sul Disco. In quell’epoca del lungo anno il Mare Circolare si trovava quasi a ovest di Cori Celesti e via via che la luce si spandeva sulle terre intorno a Ankh-Morpork, l’ombra della montagna falciava il paesaggio come lo gnomone della meridiana di Dio. Ma verso settentrione, mentre la luce correva verso il bordo del mondo, si alzava una bianca linea di nebbia.

Galder udì alle sue spalle lo scricchiolio di rami secchi. Si voltò e vide Ymper Trymon, secondo al comando dell’Ordine, che era stato tra gli altri maghi l’unico capace di innalzarsi.

Per il momento lo ignorò, attento soltanto a reggersi saldamente al parapetto di pietra e a rafforzare i propri incantesimi protettivi. In una professione che tradizionalmente garantiva una lunga vita, le promozioni erano lente e si accettava che i maghi più giovani cercassero spesso l’avanzamento usando le babbucce dei morti, avendole prima vuotate dei loro occupanti. Inoltre, c’era qualcosa d’inquietante nel giovane Trymon. Non fumava, beveva solo acqua bollita e Galder nutriva lo sgradevole sospetto che fosse intelligente. Non sorrideva abbastanza spesso, gli piacevano i numeri e gli organigrammi con un sacco di quadratini e le frecce che indicano altri quadratini. In breve, era il tipo d’uomo da usare la parola "personale" con cognizione di causa.

Tutta la porzione visibile del Disco era adesso coperta da una bianca pellicola luccicante che le aderiva perfettamente.

Galder si guardò le mani e le vide rivestite da un pallido reticolo di fili lucenti che seguivano ogni movimento.

Riconobbe quel tipo d’incantesimo. Che aveva usato lui stesso. Ma il suo era stato più piccolo, molto più piccolo.

— È l’incantesimo del Cambiamento — disse Trymon. — Il mondo intero sta cambiando.

Certe persone, pensò cupamente Galder, avrebbero avuto la decenza di mettere un punto esclamativo alla fine di una simile affermazione.

Si udì il più lieve dei suoni, alto e acuto, simile allo spezzarsi del cuore di un topino.

— Che è stato? — chiese il vecchio mago. Trymon piegò la testa da un lato.

— Do diesis, credo — rispose.

Galder non disse nulla. Il luccichio bianco era svanito e i primi rumori della città che si destava cominciarono a filtrare su fino ai due maghi. Tutto pareva esattamente com’era prima. Tutto quello, solo per mantenere le cose inalterate?

Si batté distrattamente sulle tasche della camicia da notte e alla fine trovò ciò che cercava infilato dietro l’orecchio. Si mise in bocca la cicca umidiccia, si fece sprizzare di tra le dita il fuoco magico e aspirò con forza l’ignobile cosa fino a che delle fiammelle azzurre gli brillarono davanti agli occhi. Tossì una volta o due.

Era tutto concentrato su un pensiero.

Stava cercando di ricordarsi se qualche dio gli dovesse dei favori.

In realtà gli dei erano perplessi davanti a tutto ciò al pari dei maghi, ma non potevano farci niente e in ogni caso erano impegnati in una battaglia vecchia di eoni con i Giganti del Ghiaccio, che si erano rifiutati di restituire il tagliaerba.