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“Il Sirle appoggerebbe la rivendicazione di Tamlorn. La mia gente mira da tempo alla corona di Eldwold: la desidera fin da quando, dopo la disfatta di Re Harth nelle Terre Incolte, Tarn del Sirle occupò il trono per dodici anni, e poi lo perse di nuovo.”

— Ma se tutti sanno che non è figlio di Drede… — disse Sybel.

— I soli che conoscevano la verità — ribatté Coren — erano Drede, Rianna e Norrel, e gli ultimi due sono morti. I figli illegittimi dei Re possono divenire molto pericolosi.

— Lui non mi sembra pericoloso — disse Sybel, e con un sussurro della mano gli passò sulla guancia le dita pallide e sottili. Sulle labbra le si disegnò per un attimo un sorriso distaccato.

Disse: — Si accorderà bene, secondo me, con il resto della collezione.

Coren si strinse al petto il bambino.

— È il figlio di Norrel — protestò. — Non è un animale.

Sybel sollevò lo sguardo, senza battere ciglio.

— No? — disse. — Mangia, e dorme, e non pensa, e richiede particolari attenzioni. Solo… non so cosa fare, con un bambino. Non è in grado di farmi sapere ciò che gli occorre.

Coren rimase in silenzio per qualche istante. Poi, quando riprese a parlare, nella sua voce comparve un velo di stanchezza.

— Voi siete una donna — disse. — Dovreste sapere queste cose.

— Perché? — chiese lei.

— Perché… perché un giorno o l’altro anche voi avrete dei figli, e dovrete sapere come prendervi cura di loro.

— Non c’è mai stata nessuna donna che si sia presa cura di me — disse Sybel. — Mio padre mi ha nutrito con latte di capra e mi ha insegnato a leggere i suoi libri. Suppongo, quando e se avrò un figlio, che gli insegnerò a prendersi cura degli animali al posto mio, per quando non ci sarò più.

Coren la fissò a bocca aperta.

— Se non fosse perché l’ho promesso a mio zio — disse piano — riporterei il bambino a casa sua, invece di lasciare il figlio di Norrel qui con voi, con la vostra ignoranza e con il vostro cuore di ghiaccio.

La faccia di Sybel, di fronte a quella di Coren, divenne immobile come quella della luna piena che campeggiava sopra di loro.

— L’ignorante siete voi — bisbigliò la ragazza. — Potrei dire al Falco Ter di farvi in sette pezzi e di gettare la vostra testa sulla Piana di Terbrec senza più una goccia di sangue, ma cerco con tutte le mie forze di moderarmi. Guardate!

Spalancò il cancello. Le tremavano le dita per la collera, una collera che soffiava dentro di lei come un chiaro vento di montagna. Lanciò bruschi ordini all’indirizzo delle menti che la circondavano, perdute nei sogni. E, come in sogno, gli animali le si avvicinarono lentamente.

Coren entrò nel giardino, fermandosi accanto a lei. Si appoggiò il bambino su una spalla, proteggendogli la schiena con le braccia coperte di maglia e reggendogli con una mano la testa. Intanto, i suoi occhi, spalancati per la meraviglia, scivolavano lungo le forme che vedeva muoversi e frusciare nell’oscurità.

Per primo li raggiunse il grande Cinghiale Cyrin dalle zanne di marmo che, bianche come un fuoco acceso nel buio, di notte continuavano ad apparire ai cacciatori come un incubo, e dalla gola di Coren uscì un suono inarticolato.

Sybel posò una mano sugli occhi del Cinghiale, piccoli e rossi, e disse:

— Credete che dopo essermi presa cura di questi animali non sia in grado di fare altrettanto per un bambino? Questi animali sono antichi, possenti come Principi, saggi, inquieti e pericolosi, e io li governo e li domino. Mi prenderò cura di questo bambino allo stesso modo. Se non siete soddisfatto, potete andarvene. Non sono stata io a chiedervi di venire qui con un lattante; se adesso intendete portarvelo via, per me fa lo stesso. Può darsi che io non conosca il vostro mondo, ma qui voi siete nel mio mondo, e siete uno sciocco.

Coren fissò il Cinghiale Cyrin, faticando a trovare le parole.

— Il Cinghiale Cyrin — mormorò. — E voi lo avete.

S’interruppe. La bocca gli era rimasta aperta; respirava a scatti. Poi prese a parlare in tono sognante, come se ricordasse cose apprese nel tempo passato.

— Rondar… — disse — Re di Runrir, s’impadronì del Cinghiale Cyrin che nessuno era mai riuscito a catturare fino a quel momento. L’elusivo Cyrin, Maestro degli Enigmi, e… Chiese o la vita di Cyrin o tutta la saggezza del mondo.

“E Cyrin sollevò una pietra che stava ai piedi di Rondar, e questi, dicendo che si trattava di una cosa inutile, si allontanò a cavallo, senza smettere di cercare…”

— Come sapete questa storia? — gli chiese Sybel, stupefatta. — Non è una storia dell’Eldwold.

— La conosco — disse Coren.

Poi sollevò la testa e tornò a stringere il bambino fra le braccia perché aveva visto scendere una grande forma silenziosa, un’ombra più nera nel buio della notte. Il Cigno chiuse elegantemente le ali davanti a lui, e Coren vide che aveva il dorso largo almeno come quello del Cinghiale, e che aveva gli occhi neri come la notte che separa tra loro due stelle.

— Il Cigno di Tirlith… È davvero il Cigno Nero? È lui, Sybel?

— Come fate a conoscere il mio nome? — bisbigliò lei.

— Lo conosco.

Coren osservò la Gatta e il Leone che giungevano senza far rumore dai due lati opposti del giardino, e deglutì a vuoto. Tamlorn si agitò fra le sue braccia, ma Coren non si mosse. La Gatta Moriah si avvicinò a loro, sollevò la testa nera e piatta per farsi accarezzare da Sybel, poi si raggomitolò sui suoi piedi e sbadigliò guardando fisso Coren, mostrando i denti simili a gemme levigate e lucide.

— La Gatta Moriah… Signora della Notte, che insegnò al mago Tak l’incantesimo che apriva la torre senza porte in cui era imprigionato. Non… non conosco il Leone…

Gules, dagli occhi simili a due polle d’oro liquido, girò attorno alle gambe di Coren, sfiorandogli la pelle, per poi sederglisi di fronte. Sotto il suo lucente mantello, i muscoli guizzavano l’uno nell’altro, sicuri e frementi.

Coren si affrettò a fare un cenno d’assenso.

— Aspettate! — disse. — Nel Deserto Meridionale c’era un Leone che dispensava saggezza alla corte di grandi signori, nutrito a ricchi bocconi, che portava collari e catene di ferro e d’oro finché non gliene passava la voglia: Gules!

— Come sapete queste cose? — gli chiese Sybel.

La grande testa del Leone si volse verso la ragazza.

“Dove hai trovato quest’uomo?” le chiese mentalmente, incuriosito.

“Mi ha portato un bambino” gli rispose lei con indifferenza. “Sa anche il mio nome, e non so come faccia a conoscerlo.”

— Una volta, il Leone parlava — disse Coren.

— Una volta — ribatté Sybel — questi animali parlavano tutti. Si sono rinselvatichiti: sono stati lontano dagli uomini per così tanto tempo che si sono dimenticati il nostro linguaggio, eccetto il Cinghiale Cyrin. Esattamente come è successo agli uomini — a molti uomini, almeno — che si sono dimenticati del loro nome. Ma voi…

Coren, accanto a lei, trasalì; anche Sybel guardò in alto. Due grandi ali salirono a nascondere la luna, si allungarono con la loro ombra a coprirli e poi si abbassarono: ognuno dei battiti di quelle ali risucchiò un respiro di vento. Tamlorn prese a scalciare, inquieto, fra le braccia di Coren e gli vagì lamentosamente all’orecchio.

Il Drago scese lentamente davanti a loro, illuminando il giovane di un vivace riflesso verde. La sua ombra si allargò ai loro piedi: era enorme. Nella mente di Sybel, la voce del Drago Gyld aveva un suono antico e scricchiolante come quello di un rotolo di pergamena.

“Conosco una caverna, nelle montagne” le suggerì “dove nessuno ritroverebbe più le sue ossa…”