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Lui l’attirò a sé, e si sedettero sul pavimento. Spostandosi, fecero cadere a terra la candela, che si spense contro il marmo illuminato dal primo raggio di sole. Sybel appoggiò il viso contro la spalla di Coren e pianse, e lui le accarezzò i capelli, mormorando parole affettuose.

Poi, per molto tempo, rimasero senza parlare, finché la luce, disegnando una fine ragnatela fra i capelli di Coren, cadde sugli occhi di Sybel, che li aprì, battendo le palpebre. Lei fece per alzarsi, e Coren la lasciò con riluttanza. Sybel sorrise, fissando la sua faccia pallida e stanca, e si accorse di essere stanca anche lei.

— Hai fame?

Lui annuì, sorridendo.

— Preparerò qualcosa da mangiare — disse. — Sai, è strano venire qui e non trovare il Cinghiale Cyrin che mi guarda con i suoi occhi rossi, o non vedere il Leone Gules che svanisce dietro un angolo.

— Tamlorn dice di avere sentito una ballata che parlava di te, dei tuoi fratelli e del Cinghiale Cyrin.

Lui rise.

— L’ho sentita anch’io — disse. — Oh, Sybel, pensa: sei uomini adulti, un’altra dozzina di guerrieri veterani di tante battaglie, e un folto gruppo di messaggeri e di scudieri, riunitisi all’alba per rovesciare un Re, che all’improvviso, senza pensarci un istante, si mettono a rincorrere un grande cinghiale dalle zanne bianche, luccicanti come falci di luna, e dalle setole simili a scintille d’argento, che li attira con la magia dei suoi occhi, pieni di qualche arcana conoscenza. Noi lo abbiamo seguito come un gruppo di ragazzini di primo pelo sedotti dal sorriso di una donna di strada.

“Gli arpisti ci canteranno per secoli, e noi continueremo ad arrossire anche nella tomba. Io mi sono risvegliato nella Foresta di Mirkon e, quando ho visto un gruppo di cavalieri sparire in mezzo agli alberi, all’inseguimento di un cinghiale color della luna, ho capito chi era quel Cinghiale.

“Perciò sono ritornato a casa e, quando sono arrivato, cinque donne piangenti mi sono venute incontro, e nessuna di loro era la mia. Mi hanno detto che l’esercito del Sirle era nella più grande costernazione, misteriosamente privo di capi, e che i portaordini avevano continuato a picchiare per tutta la mattina alle loro porte chiedendo cosa dovevano fare.

“Poi ci sono giunte le storie della Gatta e del Cigno e del Drago, da ogni parte dell’Eldwold. I miei fratelli hanno cominciato a tornare a casa una settimana più tardi, alla spicciolata; per la prima volta nella sua vita, Eorth era senza parole.

“E Rok, il Leone del Sirle, in quella cavalcata era invecchiato di dieci anni. A tutt’oggi non riesce ancora a parlare della sua esperienza. È stata come un sogno: la cavalcata interminabile, il grande, sfuggente Cinghiale, sempre a portata di mano… e sempre inafferrabile.

“Quando sono rientrato in me, ero affamato e dolorante per le sferzate dei rami e talmente stanco che avrei voluto piangere, e il mio cavallo non era neppure sudato…”

Scosse la testa.

— Per tutta la vita prepari i tuoi progetti… e poi arriva qualcosa di imprevisto, che taglia un filo importante della tua trama e ti lascia completamente disorientato e sconfitto.

— Lo so — disse lei. — Quando ho lasciato liberi gli animali, non pensavo che avrebbero fatto quest’ultima cosa per me. Sento molto la loro mancanza.

— Magari un giorno o l’altro ritorneranno, perché forse anch’essi sentono la mancanza della tua voce che li chiama per nome. Ma quando giungerà quel momento, la nostra casa sarà piena di piccoli maghi che si occuperanno di loro come faceva Tamlorn.

— Sì. Mi occorre un bambino, adesso che Tamlorn è diventato grande. Coren…

— Cosa?

— Ti prego, non voglio passare un’altra notte in questo guscio vuoto. So che sei stanco e che anche il tuo cavallo è stanco, ma… mi porti a casa, adesso?

Lui l’abbracciò.

— Ho atteso per tanto tempo queste parole — sussurrò. — Mia Bianca Signora, mio Liralen…

— Sono davvero questo, per te? — gli chiese lei, pensierosa. — Ti ho dato le stesse preoccupazioni che quel bianco uccello continua a dare a me. Ti sono sempre stata così vicina, eppure così lontana…

S’interruppe, come per ascoltare il suono delle sue stesse parole. Coren la guardò.

— A cosa pensi? — le chiese.

Lei mormorò qualcosa di inudibile. Vecchi ricordi fiorirono e svanirono nella sua mente: la prima volta che aveva chiamato il Liralen, le parole di Mithran, il suo ultimo sogno, in cui l’uccello magico giaceva spezzato nelle profondità della sua mente. Trasse un profondo respiro e si allontanò da Coren.

— Sybel… Che cosa…

— Sono certa che… — incominciò lei.

Lo prese per il braccio e lo portò fino all’uscio. Lui si lasciò trascinare, sorpreso, e guardò il cortile vuoto. Poi Sybel disse, con una voce strana, carica di attesa:

— Blammor.

Lui la guardò, stupito.

— Che cosa fai? — le chiese.

Il Blammor si avvicinò a loro, simile a un’ombra che scivolava tra i grandi pini: un’ombra con occhi color della luna, ciechi e bianchi come la cima del Monte Eld sepolta sotto nevi perenni.

Sybel lo fissò, concentrandosi sui propri pensieri, ma, prima che facesse in tempo a parlargli, la scura sagoma del Blammor si schiarì e si condensò, assumendo una forma più solida e più precisa.

Il liquido cristallo dei suoi occhi si sciolse e scivolò verso il basso, divenendo una linea bianca e netta. Si delinearono un collo lungo e sottile come un giunco; la curva del petto, bianca e simile a un colle coperto di neve; un ampio, candido dorso e lunghe ali, che palpitavano lentamente come bandiere e che sfioravano la terra come strascichi della lana più fine.

Coren lanciò un grido di sorpresa. Il grande uccello delicato e bellissimo li sovrastava entrambi: abbassò lo sguardo su di loro, contemplandoli con occhi color della luna, identici a quelli del Blammor.

Sybel si passò la mano sulle palpebre: tanta era la bellezza del grande uccello bianco, che si sentiva spuntare le lacrime. Gli aprì la propria mente, e gli sentì mormorare storie antiche e preziose come gli arazzi di una favola.

“Dammi il tuo nome” gli chiese.

“Lo hai già.”

— Il Liralen — bisbigliò Coren. — Sybel, come l’hai capito?

Lei allungò la mano per toccare il grande animale, gli accarezzò le piume lisce e robuste. Poi, asciugandosi sovrappensiero una lacrima, disse:

— La chiave me l’hai data tu, quando mi hai chiamato con il suo nome. Ho pensato che doveva essere qualcosa di vicino e insieme di lontano, e mi sono ricordata che quando ho chiamato il Liralen, tanto tempo fa, è venuto il Blammor, dicendomi che l’avevo chiamato io.

“E la notte in cui rischiai di morire di paura come Drede. Vidi in fondo al mio cuore il Liralen morto, e piansi per lui. Questo mi salvò la vita, perché il dolore per la morte del Liralen mi fece dimenticare la paura. In qualche modo, il Blammor… il Liralen… capiva più di me stessa l’importanza che aveva per me. Per questo Mithran non poteva averlo: insieme con il Liralen si deve accettare anche il Blammor, e lui ne aveva paura.”

Sentì vibrare nella mente la voce del Liralen:

“Stai diventando sempre più saggia, Sybel. Ero venuto tanto tempo fa, ma non riuscivi a vedermi. Da allora, sono stato sempre qui.”

“Lo so” rispose lei.

“Come posso servirti?”

Lei lo fissò nel profondo degli occhi. Tenendo per mano Coren, gli rispose piano:

— Per favore, portaci a casa nostra.

FINE