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La voce mentale si ridusse a un sussurro. Nel profondo silenzio, un’altra bolla di pensiero si formò, per poi scoppiare.

“Io sogno quell’oro” riprese il Drago “e spesso mi sveglio perché desidero guardarlo, ma l’oro non è qui. Quando mi sveglio, vedo solo la fredda pietra. Permettimi di radunarlo ancora una volta!”

Sybel rimase in silenzio come un sasso scaturito dal pavimento di pietra della caverna. Poi disse:

“Dovresti levarti in volo, e gli uomini ti vedrebbero e si ricorderebbero con terrore delle tue antiche imprese. Verrebbero alla mia casa, e vedendo l’oro brillare al sole niente più li frenerebbe dal distruggerla.”

“No” disse il Drago Gyld. “Volerei solo di notte e radunerei il mio oro in segreto. Se qualcuno mi vedesse, lo ucciderei senza farmi vedere.”

“In tal caso” disse lei “verrebbero a ucciderci entrambi.”

“Nessun uomo sarebbe capace di uccidermi” disse il Drago.

“E non pensi a me? E a Tamtam? No.”

La grande, informe massa del drago si scosse; Sybel sentì giungere fino a lei il suo caldo sospiro.

“Ero ormai vecchio e dimenticato” disse Gyld “quando Mastro Myk, pronunciando il mio nome, mi destò dalle arterie cave del Monte Eld e mi scosse dai sogni cantandomi le mie passate imprese. Era bello sentirsi cantare ancora una volta… è bello udire il mio nome dalle tue labbra, ma io devo assolutamente riavere il mio dolce oro.”

Rapido e contorto come un serpente, il suo pensiero si allontanò da Sybel e scivolò nelle caverne della stessa mente, fino all’oscuro labirinto che ne costituiva il centro.

Nel trasportare il proprio nome nelle profonde regioni dell’oblio, dove era sconosciuto perfino a se stesso, il Drago fu svelto come l’acqua che scompare nella sabbia, furtivo come l’uomo che ne seppellisce un altro al chiaro della luna… ma Sybel arrivò laggiù prima di lui, e lo attese dietro l’ultima porta della sua mente.

Gyld se la trovò improvvisamente di fronte, tra i confusi frammenti dei suoi ricordi di massacri, di piaceri e di pasti consumati a metà, e Sybel gli disse:

“Se il tuo desiderio si spinge fino a questo punto, cercherò di accontentarti. Non fare niente, cerca di avere pazienza. Devo rifletterci.”

Il Drago tornò a respirare, e ancora una volta, nella caverna, sgorgarono i suoi pensieri.

“Fa’ questo, solo questo, per me” disse. “Io avrò pazienza.”

Sybel uscì dalla caverna, con l’acqua che le luccicava tra i capelli, e respirò profondamente la fresca aria notturna. Pensò al volo del Drago, simile al guizzo di una liscia fiamma, e pensò a quelle due polle profonde e tranquille che erano gli occhi del Cigno Nero. Il ricordo della mente affilata del Drago e delle braci confuse della sua passione si dileguò pian piano dai suoi pensieri.

Poi, udì dietro di sé un fruscio che sembrava provenire dal terreno scuro e tranquillo, ed ebbe la netta impressione di essere spiata.

— Tamlorn? Maelga? — chiamò.

Ma non le rispose alcuna voce, non le parlò alcuna mente. Intorno a lei s’innalzavano solo gli alberi neri, simili a monoliti di pietra, che coprivano la vista delle stelle. Il fruscio scomparve nel silenzio, come lo spegnersi di un alito di vento.

Aggrottando le sopracciglia, Sybel tornò a casa.

Qualche giorno più tardi, si recò da Maelga e si sedette sulla pelle di pecora, accanto al fuoco, prendendosi fra le braccia le ginocchia. La vecchia stava facendo bollire una delle sue minestre; la guardò con attenzione.

— Nella foresta — disse Sybel — c’è una creatura senza nome.

— E tu ne hai paura? — le chiese Maelga.

Sybel sollevò lo sguardo per guardarla. Era sorpresa dalla domanda.

— No, naturalmente — disse. — Ma come posso chiamarla, se non ha nome? È molto strano. Non ricordo di avere mai letto di una creatura senza nome.

Poi cambiò discorso: — Che cosa stai preparando? Se già non avessi appetito, mi verrebbe a sentire questo profumo.

— Ci ho messo funghi — disse Maelga — cipolle, salvia, rape, cavoli, prezzemolo, zucca e altre cose che mi ha dato Tamlorn: cose senza nome.

— Un giorno o l’altro — disse Sybel — Tamlorn ci avvelenerà tutti.

Tornò ad appoggiare la testa alla pietra e trasse un profondo sospiro.

Maelga la fissò.

— Che cos’è? — le chiese. — Sei sicura che non abbia un nome?

Sybel cambiò posizione.

— Non lo so — disse. — In questo periodo sono un po’ irrequieta, ma non so esattamente cosa desidero. A volte vado a unirmi ai pensieri del Falco Ter, mentre caccia; ma non vola mai così in alto o così veloce come vorrei, anche se la terra sotto di noi pare correre a precipizio, e lui sale più in alto della vetta del Monte Eld…

“Ma poi mi trovo con lui anche quando uccide la preda. Per questo rimpiango di non avere il Liralen. Potrei cavalcargli sul dorso e volare lontano, al di là del tramonto del sole, nel mondo delle stelle. Vorrei… Desidero qualcosa di più di ciò che avevano mio padre e mio nonno, ma non so che cosa.”

Maelga assaggiò la minestra, nello sfarfallio delle gemme che portava alle dita.

— Ci vuole pepe — disse. — E timo. Soltanto ieri è venuta da me una ragazza che voleva intrappolare un giovanotto con un dolce sorriso e le braccia robuste. Quella ragazza era una sciocca: non perché desiderasse il giovane, ma perché desiderava, da lui, qualcosa di più.

— E voi l’avete aiutata? — chiese Sybel.

— Mi ha regalato una scatola di essenze profumate. E d’ora in poi sarà tormentata dalla gelosia, per il resto della sua vita.

Fissò Sybel, che sedeva accanto alle pietre con gli occhi nascosti nell’ombra, e sospirò.

— Bambina — le disse — posso fare qualcosa per te?

Sybel sollevò lo sguardo, con un debole sorriso.

— Dovrei aggiungere un uomo alla mia collezione? Non incontrerei alcuna difficoltà. Potrei chiamare chiunque desiderassi, ma non desidero nessuno.

“A volte gli animali vengono presi dall’irrequietezza, come adesso sta succedendo a me, perché sognano i giorni dei voli e delle avventure, quando accumulavano sapienza e udivano pronunciare con timore e reverenza il loro nome. Quei loro giorni sono passati; poche persone ricordano come si chiamano, ma gli animali continuano a sognare…

“Io penso al modo fermo e silenzioso in cui ho imparato ciò che so; penso che solo mio padre, e poi voi, e poi Tamlorn, mi avete restituito il mio nome. Credo che dovrei lasciare questa montagna per alcuni giorni, per andare a visitare lo strano, incomprensibile mondo che ci circonda.”

— Allora vai, bambina — disse Maelga.

— Potrei farlo. Ma chi penserà ai miei animali?

— Prendi un apprendista mago.

— Per il Falco Ter? Nessun apprendista sarebbe in grado di tenerlo. Quando avevo l’età di Tamlorn, io ero già in grado di dominarlo. Peccato che Tamlorn non sia un mezzo mago. Invece, è soltanto un mezzo Re.

— E tu non glielo hai mai detto, vero?

— Mi credete sciocca? — chiese Sybel. — Che vantaggi gli possono venire, dal saperlo? Un sogno di quel genere potrebbe dargli soltanto infelicità. E nel mondo sotto di noi, potrebbe addirittura condurlo alla morte. È meglio che pensi a giocare con i pastorelli e con le volpi, e che si sposi con qualche bella ragazza di montagna, quando avrà l’età giusta.

Sybel sospirò di nuovo, aggrottando le sopracciglia chiare. Poi si alzò in piedi, sorpresa, allorché la porta si aprì di scatto.

Entrò Tamlorn, che la fissò con preoccupazione; il ragazzo appariva teso, ed era coperto di sudore. Sulla faccia arrossata, i capelli madidi gli disegnavano chiare righe spioventi.

— Sybel. — disse. — Il Drago ha ferito un uomo. Vieni, presto!

Corse via, più rapido di una lepre, e lei lo seguì.