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— E in futuro degli alleati, mio signore.

— Lo so! — disse lui, con voce stridula. — Ma prima Karhide… prima Karhide!

Annuii.

Dopo un breve silenzio, egli disse:

— Come è stata, quella traversata del Ghiaccio?

— Non facile.

— Estraven doveva essere un compagno molto buono, per una folle traversata come quella. Era forte come il ferro. E non perdeva mai la calma. Mi dispiace che sia morto.

Non trovai alcuna risposta.

— Riceverò i vostri… connazionali in udienza domani pomeriggio, alla Seconda Ora. C'è altro da dire, adesso?

— Mio signore, vorrete revocare l'Ordine di Esilio di Estraven, per riabilitare il suo nome?

— Non ancora, signor Ai. Non precipitate le cose. C'è dell'altro?

— Niente.

— Andate, allora.

Perfino io l'avevo tradito. Avevo detto che non avrei fatto discendere la nave, fino a quando il bando che gravava sul suo nome non fosse stato revocato, e il suo nome riabilitato. Non potevo gettar via quello per cui lui era morto, insistendo sulla condizione. Non l'avrebbe fatto ritornare dall'esilio. Non da questo esilio, almeno.

Il resto della giornata fu trascorso nel predisporre, insieme a Lord Gorchern e altri dignitari della corte, il ricevimento e l'alloggio dell'equipaggio della nave stellare. Alla Seconda Ora partimmo, a bordo di slitte a motore, per le Paludi di Athten, che distavano circa trenta miglia a nord-est da Erhenrang. La località dell'atterraggio era sul bordo più vicino di quella grande regione desolata, una vasta torbiera troppo pantanosa per poter essere coltivata o colonizzata, e ora, a metà Irrem, una desolazione vasta, piatta e ghiacciata, sotto una coltre di molti metri di neve. Il segnale radio aveva funzionato per tutto il giorno, e la stazione aveva ricevuto dei segnali di conferma dalla nave.

Sugli schermi, durante la discesa, l'equipaggio doveva avere visto la linea di divisione tra il giorno e la notte stendersi attraverso il Grande Continente, lungo la frontiera, dalla Baia di Guthen al Golfo di Charisune, e le vette del Kargav ancora illuminate dai raggi del sole, come una catena di stelle nelle tenebre; perché era il tramonto quando noi, guardando in alto, vedemmo discendere una stella.

La stella scese in un grande ruggito e avvolta di splendore e gloria, e molto vapore salì ruggendo, candido come la neve intorno, quando i suoi stabilizzatori discesero in un grande lago d'acqua e fango creato dai retrorazzi; in basso, sotto il fango della palude, c'era del ghiaccio perenne, duro come granito, e la nave si fermò in perfetto equilibrio, e riposò, raffreddandosi nel lago che rapidamente tornava a gelarsi, un grande pesce aggraziato che stava in equilibrio sulla coda, argento scuro nel crepuscolo di Inverno.

Al mio fianco, Faxe di Otherhord parlò per la prima volta, dal momento del suono e dello splendore della discesa della nave delle stelle.

— Sono felice di essere vissuto fino a vedere questo — disse.

Così aveva detto Estraven quando aveva guardato il Ghiaccio, e la morte; così avrebbe detto in questa notte. Per allontanarmi dall'amaro rimpianto che mi sconvolgeva, cominciai a camminare verso la nave, sopra la neve. La nave delle stelle era già coperta di brina e ghiaccio, per i getti di raffreddamento dello scafo, e mentre io mi avvicinavo l'alto portello si aprì silenziosamente, scorrendo sui cardini invisibili, e la scaletta d'uscita uscì dall'apertura, una passerella che descriveva una curva aggraziata, fino a toccare il ghiaccio. La prima a uscire fu Lang Heo Hew, immutata, naturalmente, precisamente come l'avevo vista l'ultima volta, tre anni prima, nella mia vita, e solo un paio di settimane, nella sua. Lei guardò me, e poi Faxe, e gli altri componenti della scorta, che mi avevano seguito al luogo dell'incontro, e si fermò ai piedi della passerella. Disse solamente, in lingua karhidi:

— Sono venuta in amicizia.

Ai suoi occhi, eravamo tutti alieni. Lasciai che fosse Faxe a salutarla per primo.

Lui mi indicò a lei, e lei venne e mi prese la mano destra, nella maniera del mio popolo, guardandomi in viso.

— Oh, Genly — disse. — Non ti avevo riconosciuto!

Era strano udire la voce di una donna, dopo tanto tempo. Gli altri uscirono dalla nave, dietro mio consiglio: mostrare qualsiasi forma di sfiducia, a questo punto, avrebbe umiliato la scorta karhidiana, mettendo in gioco il loro shifgrethor. Uscirono tutti, e incontrarono i karhidiani con perfetta cortesia. Ma tutti avevano un aspetto strano, ai miei occhi, uomini e donne, benché li conoscessi così bene. Le loro voci avevano un suono strano: troppo profonde, troppo acute. Erano come una banda di animali strani e grandi, di due specie diverse: grandi scimmie dagli occhi intelligenti, tutti quanti in fregola, in kemmer… Mi presero la mano, mi toccarono, mi tennero stretto.

Riuscii a controllarmi, e a dire a Heo Hew e a Tulier quello che era necessario sapere con maggiore urgenza sulla situazione nella quale erano entrati, e questo lo dissi a bordo della slitta, nel viaggio di ritorno verso Erhenrang. Quando giungemmo al Palazzo, però, dovetti andare subito nella mia stanza.

Il medico di Sassinoth entrò. La sua voce calma, e il suo viso, un viso giovane, serio, non un viso d'uomo e non di donna, un viso umano, furono un sollievo per me, familiari, giusti… Ma lui disse, dopo avermi ordinato di andare a letto, e avermi dato una dose di un tranquillante blando:

— Ho visto i vostri colleghi Inviati. Questa è una cosa meravigliosa, la venuta di uomini dalle stelle. E pensare che questo sia accaduto nella mia vita mi dà un brivido di gioia!

Là, di nuovo, trovavo il piacere, il coraggio, che sono le cose più ammirevoli nello spirito karhidiano… e nello spirito umano… e benché io non potessi dividere queste cose con lui, negarle sarebbe stato un atto detestabile. Io dissi, senza sincerità, ma con assoluta verità:

— È davvero una cosa meravigliosa anche per loro, la venuta su di un nuovo mondo, tra una nuova umanità.

Alla fine di quella primavera, negli ultimi giorni di Tuwa, quando le inondazioni del disgelo si erano ritirate, ed era ritornato possibile viaggiare, presi una vacanza dalla mia piccola Ambasciata di Erhenrang, e mi diressi a est. La mia gente era disseminata, ormai, su tutta la superficie abitabile del pianeta. Da quando avevamo ricevuto l'autorizzazione a usare gli aerei, Heo Hew e altri tre ne avevano preso uno, volando fino a Sith e all'Arcipelago, nazioni dell'Emisfero Oceanico che io avevo interamente trascurato. Altri si trovavano in Orgoreyn, e due, riluttanti, erano andati a Perunter, dove il Disgelo non comincia mai fino a Tuwa, e ogni cosa ritorna a gelarsi (dicono) una settimana più tardi. Tulier e Ke'sta stavano facendo un eccellente lavoro a Erhenrang, e potevano affrontare tutto quel che avrebbe potuto accadere, con facilità. Non c'era nulla di urgente. Dopotutto, una nave stellare che fosse partita immediatamente da uno dei nuovi alleati di Inverno più vicini non avrebbe potuto giungere prima di diciassette anni, tempo planetario. Inverno è un mondo marginale, ai bordi della Via Lattea. Al di là di quel sistema, verso il Braccio Sud di Orione, nessun mondo era stato trovato, sul quale vivessero gli uomini. E ci vuole molta, molta strada tra le stelle, da Inverno ai mondi più ricchi e importanti dell'Ecumene, i mondi che costituiscono il Focolare della nostra razza: cinquant'anni per Hain-Davenant, una vita umana per la Terra. Non c'era fretta.

Attraversai il Kargav, questa volta per dei passi più bassi, seguendo una strada sinuosa, che percorre le alture dominando la costa del mare meridionale. Feci una visita al primo villaggio nel quale mi ero fermato, quando i pescatori mi avevano portato là dall'Isola di Horden, tre anni prima; la gente di quel Focolare mi accolse, ora come allora, senza la minima sorpresa. Passai una settimana nella grande città portuale di Thater, alla foce del Fiume Ench, e poi, nei primi giorni dell'estate, partii a piedi verso Kermlandia.