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«Io capisco, padre», sibilai, e nella mia voce, che adesso era la voce del Passeggero, c’era qualcosa di gelido.

Alzò lentamente la testa e quello che vide nei miei occhi lo paralizzò.

«Io capisco perfettamente.» Mi avvicinai alla sua faccia. Il sudore sulle sue guance si fece di ghiaccio. «Vedi, nemmeno io posso farci niente.»

Eravamo molto vicini, quasi a contatto, e d’un tratto la sua sporcizia mi risultò insostenibile. Diedi un altro strattone e gli feci uno sgambetto. Padre Donovan si ritrovò di nuovo lungo disteso per terra.

«Ma i bambini?» domandai. «Io non potrei fare questo ai bambini.» Gli schiacciai la faccia sul pavimento, premendogli lo stivale sulla nuca. «Io non sono come te, padre. Mai, i bambini. Io devo trovare gente del tuo stampo.»

«Chi sei?» mormorò padre Donovan.

«Il principio. E la fine. Sei di fronte al tuo Distruttore, padre.»

L’ago era pronto e gli entrò nel collo come previsto, incontrando solo una debole resistenza da parte dei muscoli irrigiditi, ma nessuna dal prete. Spinsi lo stantuffo e svuotai la siringa nel corpo di padre Donovan con controllata rapidità. Dopo qualche momento, solo qualche momento, la sua testa cominciò a fluttuare.

Mi guardò.

Mi vedeva davvero? Riusciva a vedere i guanti di gomma, il camice, la sottile maschera di seta? Poteva realmente vedermi? O ci riuscì solo nell’altra stanza, la stanza del Passeggero, la Stanza Pulita, imbiancata due sere prima, spazzata, disinfettata per quanto possibile? E in mezzo alla stanza, con le finestre sigillate da fogli gommati, sotto le luci, disteso sul tavolo che avevo allestito, riuscì a vedermi tra gli scatoloni di sacchi bianchi per i rifiuti, le bottiglie di prodotti chimici e le file di coltelli e seghetti? Riuscì a vedermi, finalmente?

O forse vedeva solo quei sette fagotti scomposti, e chissà quanti altri ancora? Vedeva se stesso, ormai incapace di gridare, destinato a scomparire a sua volta nella confusione dell’orto?

Naturalmente no.

La sua immaginazione non gli permetteva di vedersi come un esemplare della stessa specie. E, in un certo senso, aveva ragione. Io non avrei ridotto il prete come lui aveva fatto con i bambini. Non avrei potuto, non lo avrei tollerato. Io non sono come padre Donovan, non sono quel tipo di mostro.

Io sono un mostro ordinato.

Essere ordinati richiede tempo, è chiaro, ma ne vale la pena. Serve a compiacere il Passeggero Oscuro, a tenerlo buono per qualche tempo. Vale la pena di fare tutto con cura e per bene. Rimuovere un nucleo di caos dalla faccia della Terra. Qualche altro sacco della spazzatura ben sigillato e il mio angolino di mondo sarà più pulito e più felice. Un posto migliore.

Avevo circa otto ore a disposizione prima che venisse il momento di andarmene. Mi servivano tutte per sistemare ogni cosa.

Assicurai il prete al tavolo con del nastro adesivo e gli tagliai via i vestiti. Svolsi rapidamente il lavoro preliminare: radere, pulire, tagliare ogni sporgenza incongrua. Come sempre, ebbi una chiara percezione del lungo, lento, meraviglioso compito che mi attendeva. La sentii in tutto il mio corpo. Avrebbe aleggiato in me mentre lavoravo, innalzandomi e portandomi con sé, fino alla fine, mentre il Bisogno e il prete nuotavano insieme nella marea che si ritraeva.

E, appena prima che cominciassi il lavoro serio, padre Donovan aprì gli occhi e mi guardò. Non aveva più paura. A volte capita. Mi guardò dritto negli occhi e mosse la bocca.

«Che cosa?» dissi, e abbassai la testa verso di lui. «Non riesco a sentirti.»

Lui tirò un lungo e pacifico respiro, poi lo disse di nuovo e chiuse gli occhi.

«Prego», risposi, e mi rimisi all’opera.

2

Alle quattro e mezzo del mattino il prete era sistemato. Mi sentivo molto meglio. Era sempre così, a posteriori. Uccidere mi fa sentire bene. Scioglie le tensioni nella mente oscura del Caro Dexter. Un dolce senso di liberazione accompagna la necessaria apertura delle valvole del mio piccolo sistema idraulico. Mi piace quello che faccio, scusate se vi disturba. Sul serio, scusatemi tanto. Ma è così. E non si tratta di uccidere e basta, naturalmente. Dev’essere fatto nel modo giusto, nel momento giusto, con il partner adatto… Molto complicato, ma assolutamente necessario.

E ogni volta, in un certo senso, mi dà un senso di vuoto. Sicché mi sentivo esausto, ma alleviato dalla tensione delle ultime settimane. La voce fredda del Passeggero Oscuro taceva e io potevo tornare a essere me stesso. Il delizioso, divertente Dexter defunto dentro. Non più Dexter col coltello, Dexter il Vendicatore.

Non più, fino alla prossima volta.

Rimisi tutti i corpi nel giardino insieme al loro nuovo vicino e rimisi in ordine il rudere, per quanto possibile. Caricai tutti i miei arnesi sull’auto del prete e mi diressi a sud, fino al piccolo canale in cui avevo lasciato la mia barca, un Whaler da cinque metri con la chiglia piatta e un grosso motore fuoribordo. Ripresi le miei cose e spinsi l’auto del prete nel canale, dietro la mia barca, e mi arrampicai a bordo. Vidi la macchina restare a galla per un istante, prima di sprofondare. Poi misi al massimo il motore del Whaler e lasciai il canale, attraversando la baia in direzione nord. Il sole faceva capolino proprio in quel momento, illuminando lo scafo di riflessi lucenti. Assunsi l’espressione allegra del pescatore mattiniero. Preso qualche dentice?

Alle sei e mezzo ero nel mio appartamento di Coconut Grove. Presi di tasca il vetrino, occupato da una singola goccia di sangue del prete, esattamente nel centro. Bella, pulita e asciutta, ormai: pronta per il mio microscopio quando avessi voluto ricordare. Misi il vetrino insieme agli altri: trentasei gocce di sangue, belle, pulite e asciutte.

Mi feci una doccia extralunga, lasciando che l’acqua bollente lavasse via l’odore persistente del prete e dell’orto della casetta nella palude.

Bambini. Avrei dovuto ucciderlo due volte.

Ciò che mi ha reso ciò che sono mi ha lasciato un vuoto dentro, rendendomi incapace di provare sentimenti. Non sembra una grande perdita. Sono piuttosto sicuro che la maggior parte della gente finga parecchio nei contatti umani quotidiani.

Io, invece, fingo in tutto. Fingo molto bene, senza provare mai alcun sentimento. Ma ho simpatia per i bambini. Non avrò mai figli, dal momento che l’idea del sesso non potrebbe essermi più aliena. Immaginare di fare quelle cose… ma come ci riuscite? Dov’è il vostro senso della dignità? Ma i bambini… loro sono speciali. Padre Donovan meritava di morire. Il Codice di Harry era stato rispettato, al pari delle esigenze del Passeggero Oscuro.

Alle sette e un quarto mi sentivo ripulito. Feci colazione con caffè e cereali, quindi andai in ufficio. Lavoro in un grosso palazzo moderno, bianco, a vetri, vicino all’aeroporto. Il mio laboratorio è al secondo piano, sul retro, con accanto un piccolo ufficio. Non è granché, ma è mio, un cubicolo dietro il reparto per le analisi del sangue. Tutto mio, non entra nessun altro: nessuno con cui dover condividere lo spazio, nessuno che ci venga a fare disordine. Una scrivania, due sedie, di cui una per un visitatore, se non è troppo robusto. Computer, scaffale, archivio. Telefono. Segreteria telefonica.

Segreteria telefonica con spia lampeggiante, quando entrai. Non capita tutti i giorni che ci sia un messaggio per me. Per qualche ragione, al mondo non sono in molti ad avere qualcosa da dire, in orario di lavoro, a un analista della Scientifica specializzato nelle macchie di sangue sulla scena del crimine. Una delle poche persone che hanno qualcosa da dirmi è Deborah Morgan, la mia sorellastra. Agente di polizia, come suo padre.

Il messaggio era suo.

Premetti il pulsante e sentii un sottofondo di musica tejana, poi la voce di Deborah. «Dexter, per favore, appena arrivi. Sono sulla scena di un delitto all’hotel El Cacique, sulla Tamiami Trail.» Una pausa. Copriva il microfono con una mano, mentre parlava con qualcun altro. Poi un’altra esplosione di musica messicana e di nuovo la sua voce: «Puoi venire subito qui? Per favore, Dex?»