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Si schiantò contro il vetro e le rabberciature della striscia della finestra. Lindsay, che seguiva la scena con la sua telecamera, udì l’improvviso scricchiolio dell’impatto. Il vetro e il metallo raschiarono l’uno contro l’altro ed esplosero con un risucchiante ruggito.

Il ventre della nube sovrastante si gonfiò verso il basso e cominciò a contorcersi. Un pennacchio bianco si allargò sopra l’esplosione, con la grazia d’un gelo strisciante. Era il vapore che si condensava nell’aria all’improvviso abbassarsi della pressione.

Lindsay tenne la telecamera sopra la testa e balzò sul pavimento sudicio della finestra. Corse verso l’esterno, ignorando le proteste di Ryumin sorpreso da quella sua mossa.

Un minuto di corsa attraverso la superficie coperta di detriti lo portò quanto più vicino osava andare. Si rannicchiò dietro il puntello d’acciaio arrugginito di un tampone, a dieci metri dal punto dell’impatto. Guardando giù, oltre i suoi piedi, attraverso il vetro sporco, Lindsay vide la scia di un lungo spruzzo aprirsi a ventaglio, formando un arcobaleno di cristalli contro lo splendore degli specchi illuminati dal sole.

All’improvviso nell’aria si generò un violento vortice, sferzando raffiche di pioggia. Lindsay chiuse la mano a coppa intorno alla lente della telecamera.

Un movimento attirò la sua attenzione. Un gruppo di contadini dell’ossigeno, provenienti dal pannello limitrofo, si stava sparpagliando sul vetro con addosso maschere e tute. Stringevano fra le braccia un lungo tubo. Avanzavano con cocciuta decisione barcollando, vacillando sotto la potenza del vento, ondeggiando fra i tamponi e i puntelli.

Ghermito dal vento, un aereo di sorveglianza camuffato si schiantò violentemente accanto al buco. I suoi rottami vi furono subito risucchiati dentro.

Il tubo sussultò e s’impennò per l’effetto d’un getto di fluido che ne zampillò fuori. Un denso getto di plastica grigio-verde ne uscì come un geyser, indurendosi a mezz’aria. Colpì il vetro e vi aderì, tappando la falla.

Sotto la pressione dei venti turbinanti, la plastica si torse e si gonfiò, ma resistette. A mano a mano che altra plastica sgorgava fuori, il vento veniva soffocato e si ridusse a un sibilo acuto.

Anche quando la falla fu sigillata, i contadini continuarono a pompare quella pasta di plastica sopra la zona dell’impatto. Una pioggia continua e insistente aveva cominciato a cadere dalle nubi sconvolte. Un altro gruppo di contadini si trovava lungo la parete-finestra, le teste mascherate sporte le une verso le altre: stavano indicando il cielo.

Lindsay girò la testa e guardò verso l’alto come gli altri.

L’improvviso vortice aveva generato una concentrica risacca di nubi. Attraverso uno squarcio a forma di mezzaluna, Lindsay vide la cupola dell’Ottavo Esercito Orbitale attraverso l’intera ampiezza dello Zaibatsu. Minuscole forme in tuta bianca erano disposte in cerchio intorno alla cupola, distese al suolo. Non si muovevano.

Lindsay mise a fuoco la telefoto attraverso il cielo interno. I fanatici dell’Ottavo Esercito Orbitale giacevano scompostamente sul suolo immondo. Un gruppo d’essi era stato colto nel momento in cui tentavano di fuggire dentro la camera di equilibrio: giacevano in un groviglio di corpi con le braccia allargate.

Non vide nessun segno dell’aeronave dei pirati. Per un attimo pensò che fossero tutti riusciti a fuggire tornando alla piattaforma di atterraggio. Poi individuò uno di essi schiacciato contro un altro pannello della finestra. — È stato un eccellente metraggio — disse Ryumin al suo orecchio. — È stato anche molto stupido.

— Ti dovevo un favore — replicò Lindsay. Studiò il morto. — Vado laggiù — decise.

— Lascia che mandi il robot. Lì fra poco ci saranno dei saccheggiatori.

— Allora voglio che mi conoscano — ribatté Lindsay. — Potrebbero essermi utili.

Salì un’altra scaletta per accedere al pannello di terra. Si sentiva i polmoni scorticati, ma aveva deciso di non infilarsi mai una maschera antigas. La sua reputazione era più importante del rischio.

Aggirò la roccaforte dei Medici Neri e attraversò una seconda striscia-finestra. S’incamminò verso nord raggiungendo la cupola fatta di rottami rabberciati dell’Esercito Orbitale. Era l’unico avamposto su tutto il terzo pannello, il quale era stato abbandonato a causa d’un particolare tipo di pestilenza molto virulento che vi imperversava. Un tempo, questa era stata una zona agricola, e l’elevata fertilità del terreno generava chiazze di muffa alte fino alla caviglia. Gli edifici dei contadini, tutti in ceramica e plastica color pastello, erano stati saccheggiati ma non demoliti, e le loro rigide pareti inorganiche e le bocche spalancate delle finestre parevano ardere dal desiderio di precipitare in un irraggiungibile stato di putrescenza. La cupola dei reclusi era costruita con pannelli di porte in plastica, tagliati fino ad avere la forma giusta e poi calafatati.

I corpi giacevano rigidi, i loro arti stranamente piegati, poiché erano già morti prima di toccare il suolo, e le loro braccia e le gambe erano rimbalzate un po’, disordinatamente, per l’impatto.

C’era una curiosa mancanza di orrore in quella scena. Quelle maschere senza faccia e quelle tute a tenuta stagna dei fanatici morti trasmettevano una sensazione di compassata e incruenta efficienza. Niente indicava in quei morti degli esseri umani, salvo le insegne militari sulle spalle. Ne contò diciotto. Le lenti sui volti dei morti erano annebbiate a causa del vapore interno.

Lindsay udì, nel silenzio, un ronzio di velivoli. Un paio di ultraleggeri girarono una volta sopra di lui e poi atterrarono con una planata. Erano arrivati due dei pirati dell’aeronave.

Lindsay puntò su di loro la sua telecamera. Scesero, sfilando le loro carte di credito, e i due apparecchi tornarono a decollare.

S’incamminarono verso di lui col passo strascicato e il corpo semirannicchiato di gente non abituata alla gravità. Lindsay notò che le loro uniformi ostentavano scheletri d’argento interi, stampati su uno sfondo rosso-sangue.

Il pirata più alto toccò con un piede uno dei cadaveri vicino a lui. — Hai visto questo? — disse in inglese.

— Gli aerei spia li hanno uccisi — replicò Lindsay. — Hanno messo in pericolo l’habitat.

— L’Ottavo Esercito Orbitale — fece, meditabondo, il pirata, esaminando una mostrina sulla spalla del morto. Il secondo pirata borbottò attraverso il filtro della sua maschera: — Fascisti. Feccia antinazionalista.

— Li conoscevate? — chiese Lindsay.

— Avevamo dei rapporti con loro — annuì il primo pirata. — Però non sapevamo che si trovassero qui. — Sospirò. — Che bruciata! Pensi che ce ne siano altri, dentro?

— Soltanto morti — rispose Lindsay. — Gli aerei usano laser a raggi X.

— Davvero? — fece il primo pirata. — Vorrei mettere le mani su uno di quelli.

Lindsay ruotò rapidamente la mano sinistra nella gestualità convenzionale della sorveglianza, indicando che erano osservati. Il pirata più alto sollevò rapidamente lo sguardo. La luce del sole si rifletté vivida sul cranio d’argento stampato sopra la sua testa.

Guardò Lindsay, gli occhi nascosti dietro le scintillanti occhiaie placcate d’argento. — Dov’è la tua maschera, cittadino?

— Qui — rispose Lindsay, toccandosi il viso.

— Un negoziatore, eh? Cerchi lavoro, cittadino? Il nostro ultimo diplomatico ha appena fatto un tuffo. Come te la cavi in caduta libera?

— Fai attenzione, signor Presidente — l’ammonì il secondo pirata. — Ricordati le udienze di conferma.

— Lascia che mi occupi io delle implicazioni legali — ribatté il Presidente in tono impaziente. — Farò io le presentazioni. Io sono il Presidente della Democrazia dei Minatori di Fortuna, e questa è mia moglie, il Presidente della Camera.