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— Mi hai fatto perdere la testa — disse. — A che serve? Quando penso a cosa significava per me! Queste commedie e tragedie che contengono tutto ciò che vale la pena di conservare nella vita umana… Il nostro retaggio, prima dei Mech, prima dei Plasmatori. L’umanità, la mortalità, una vita senza manomissioni.

Ryumin scrollò via le ceneri dentro il nero coperchietto rovesciato di una lente. — Parli come un nativo circumlunare, signor Dze. Come un concatenato. Qual è il tuo mondo nativo? Crisium S.S.R.? Il Commonwealth Copernicano?

Lindsay risucchiò l’aria attraverso i denti.

— Perdona questo vecchio ficcanaso. — Proseguì Ryumin soffiando fuori dell’altro fumo, e si sfregò un segno rosso alla tempia, là dove applicava gli oculari. — Permetti che ti dica quello che penso del tuo problema, signor Dze. Finora hai recitato tre di quelle composizioni, Romeo e Giulietta, La Tragica Storia del dottor Faust, e adesso l’Amore Suicida ad Amijima. A esser franco, ho dei problemi con questi lavori.

— Sì? — fece Lindsay, con voce sempre più fremente.

— Sì. Primo, sono incomprensibili. Secondo, sono di una morbosità impossibile. E, terzo, la cosa peggiore di tutte, sono pre-industriali. E adesso lascia che ti dica quello che penso. Hai lanciato questa audacissima frode, stai creando un colossale trambusto, e hai messo sul chi vive tutto lo Zaibatsu. Per tutti questi guai dovresti per lo meno ripagare la gente con un po’ di divertimento.

— Divertimento? — replicò Lindsay.

— Sì, conosco questi cani solari. Vogliono divertirsi, non venir manganellati da qualche antica reliquia. Vogliono sentir parlare di gente vera, non di selvaggi.

— Ma quella non è cultura umana.

— E allora? — Ryumin diede un’altra tirata alla sua sigaretta. — Ci ho pensato. Ho ascoltato tre “recite” finora, così conosco il mezzo. Non sono un granché. Posso metterne su una per noi in due o tre giorni, credo.

— Lo credi?

Ryumin annuì.

— Dovremmo eliminare alcune cose.

— Per esempio?

— Bene, la gravità, prima di tutto. Non vedo come puoi avere delle buone danze o dei combattimenti accettabili se non in caduta libera.

Lindsay si sedette. — Danze e combattimenti, vero?

— Proprio così. I tuoi spettatori sono puttane, coltivatori d’ossigeno, due dozzine di bande di pirati e cinquanta matematici fuggiaschi. A tutti piacciono molto le danze e i combattimenti, e vorranno vederli. Ci sbarazzeremo del palcoscenico: è troppo piatto. Il sipario è un fastìdio: lo possiamo sostituire con l’illuminazione. Tu potrai anche essere abituato a questi vecchi circumlunari con la loro dannata rotazione centrifuga, ma alla gente moderna piace la caduta libera. Questi poveri cani solari hanno già sofferto abbastanza. Per loro sarà come una vacanza.

— Vuoi dire… salire nella zona della caduta libera?

— Sì, proprio così. Costruiremo un aerostato: una grande bolla geodesica, a tenuta stagna. Lo lanceremo dalla zona di atterraggio e lo terremo fissato lassù con delle corde, o qualcosa del genere. Dovrai costruire un teatro comunque, no? Allora tanto vale che tu lo ponga a mezz’aria dove tutti possano vederlo.

— Naturalmente — rispose Lindsay. Sorrise, mentre l’idea prendeva corpo. — Potremmo metterci sopra la nostra sigla corporativa.

— E potremmo appenderci delle bandierine.

— Vendere i biglietti all’interno. I biglietti e le azioni. — Rise sonoramente. — Conosco anche le persone adatte a costruirlo per me.

— Ha bisogno di un nome — disse Ryumin. — Lo chiameremo… la Bolla Kabuki!

— La Bolla! — esclamò Lindsay, battendo la mano sul pavimento. — Che altro? — Ryumin sorrise e si arrotolò un’altra sigaretta.

— Senti — disse ancora Lindsay. — Lasciami fare qualche prova.

POICHÉ, durante la storia di questa nazione, i suoi cittadini hanno sempre affrontato nuove sfide, e

POICHÉ il Segretario di Stato della Nazione, Lin Dze, ha necessità di esperienza d’ingegneria aeronautica che i nostri cittadini sono unicamente adatti a fornire, e

POICHÉ, il Segretario Dze, che rappresenta la Kabuki Intersolar, un ente autonomo, ha acconsentito a pagare la Nazione per il suo lavoro con una generosa assegnazione di azioni della Kabuki Intersolar;

ADESSO, PERCIÒ, VIENE DECISO dalla Camera dei Rappresentanti della Democrazia dei Minatori di Fortuna, con il consenso del Senato, che la Nazione costruirà l’Auditorium della Bolla Kabuki, fornirà i servizi promozionali per le azioni della Kabuki, ed estenderà la protezione fisica e politica al personale della Kabuki, agli impiegati e alla proprietà.

— Eccellente — commentò Lindsay. Autenticò il documento e rimise il Sigillo di Stato di Fortuna nella valigetta diplomatica. — Mi tranquillizza davvero sapere che la DMF si occuperà delle misure di sicurezza.

— Ehi, ma è un piacere — dichiarò il Presidente. — Qualunque nostro borsaiolo che ne abbia bisogno può contare su una scorta ventiquattr’ore su ventiquattro. Specialmente quando va alla Banca Geisha, se capisci quello che voglio dire.

— Fai copiare questa risoluzione e diffondila in tutto lo Zaibatsu — disse Lindsay. — Dovrebbe andar bene per una crescita di dieci punti del valore delle azioni. — Fissò serio il Presidente. — Ma non lasciatevi prendere dall’avidità. Quando arriveranno a centocinquanta, cominciate a venderle, lentamente. E tenete pronta la vostra nave per una rapida fuga.

Il Presidente gli strizzò l’occhio.

— Non preoccuparti, non ce ne siamo stati con le mani in mano. Ci stiamo assicurando un incarico di prima classe per un cartello Mech. Un lavoretto provvisorio da guardie del corpo non è male, ma una nazione tende a diventare irrequieta. Quando il Red Consensus sarà di nuovo in grado di prendere il largo, allora sarà giunto il momento di mettere a segno il colpo e cominciare a mangiare.

Popolo dello Zaibatsu Circumlunare
del Mare della Tranquillità
13-3-’16

Lindsay dormì, esausto, con la testa appoggiata sulla valigetta diplomatica. Un mattino artificiale risplendeva attraverso le false porte di vetro. Kitsune sedeva pensosa, giocherellando in silenzio con i tasti del suo sintetizzatore.

La sua competenza aveva da tempo travalicato i limiti di una mera capacità tecnica. Era diventata una comunione, un’arte spuntata da una tenebrosa intuizione. Il suo sintetizzatore poteva mimare qualunque strumento e superarlo: lacerare il suo profilo sonico in forme d’onda nude, e ricostruirlo su un piano di più elevata, astratta purezza sterilizzata. La sua musica aveva la dolorosa, friabile chiarezza dell’impeccabilità.

Altri strumenti lottavano per arrivare a quella chiarezza ideale, ma fallivano. L’insuccesso dava umanità al loro suono. Il mondo dell’umanità era un mondo di perdite, di speranze infrante, di peccati originali, un mondo difettoso che agognava sempre la pietà, l’empatia, la compassione… Non era il suo mondo.

Il mondo di Kitsune era il regno fantastico, senza saldature, dell’alta pornografia. La lussuria era sempre presente, amplificata e insaziabile, interrotta soltanto da spasimi di sovrumana intensità, soffocava ogni altro aspetto della vita come lo stridìo del feedback poteva sopraffare un’orchestra. Kitsune era una creatura artificiale e accettava il suo mondo febbrile con la sventatezza di un predatore. La sua era una vita pura e astratta, una calda e distorta parodia della santità.