Se non fosse stato per gli scarafaggi, la Red Consensus avrebbe finito per soffocare in un muffoso detrito di pelle squamata e strati sopra strati di effluvi di sudore e simili esalazioni. Lisina, alanina, metionina, composti dell’acido carbammico, lattico, feromoni sessuali: un costante flusso di vapori organici si riversava invisibile, giorno e notte, dai corpi umani. Gli scarafaggi erano una parte vitale dell’ecosistema della nave spaziale, ripulivano via le briciole del cibo, leccavano l’unto.
Gli scarafaggi avevano infestato le navi spaziali fin dagli inizi. Erano troppo coriacei e adattabili perché si riuscisse a eliminarli. Adesso, almeno, erano bene addestrati. Erano perfino casalinghi, obbedienti agli allettamenti chimici ed ai controlli del Secondo Deputato. Comunque, Lindsay li odiava ancora, e non resisteva a guardare il loro macabro sciamare e i balzi in caduta libera e i voli sghembi… senza la profonda sensazione che lui avrebbe dovuto trovarsi da qualche altra parte. Qualsiasi altra parte.
Vestito, Lindsay si mise a vagare in caduta libera attraverso le porte a filamenti tra un ponte e l’altro. Le porte plasticizzate si sdipanavano in tanti fili quando lui si avvicinava, e tornavano a chiudersi intrecciandoli da sole dietro di lui. Erano sottili, ma a tenuta stagna, e dure come l’acciaio quando le si premeva. Erano opera dei Plasmatori. Probabilmente rubate, pensò Lindsay.
Entrò nella cabina di comando attirato dalla musica degli strumenti. La maggior parte dell’equipaggio si trovava là. Il Presidente, i due Deputati e il Terzo Magistrato stavano seguendo una trasmissione plasmatrice agit con i video-occhialoni infilati.
Il Supremo Magistrato era avvinghiato alla consolle che gli arrivava alla cintura, intento a controllare le trasmissioni che giungevano dallo spazio profondo. Il Supremo Magistrato era di gran lunga il più vecchio membro dell’equipaggio. Non partecipava mai al Carnevale. Questo, la sua età e il suo ufficio facevano di lui l’arbitro imparziale dell’equipaggio.
Lindsay parlò ad alta voce accanto agli auricolari dell’uomo. — Nessuna notizia?
— L’assedio è ancora in corso — disse il mech, senza nessuna accentuata soddisfazione. — I Plasmatori resistono. — Fissò con sguardo vacuo i quadri di comando. — Continuano a vantarsi della loro vittoria nella Concatenazione.
Il Secondo Magistrato entrò nella cabina di comando.
— Chi vuole un po’ di ketamina?
Il Primo Deputato si tolse i video-occhialoni.
— È buona?
— Freschissima, appena uscita dal cromatografo. L’ho appena fatta io.
— Ai miei tempi la Concatenazione era una vera potenza — dichiarò il Supremo Magistrato. Con gli auricolari infilati e i video-occhialoni, non aveva né visto né sentito le due donne. Qualcosa nella trasmissione che aveva seguito aveva smosso qualche strato profondo di antica indignazione. — Ai miei tempi la Concatenazione era l’intero mondo civilizzato.
Per lunga e acquisita abitudine le due donne lo ignorarono, alzando le loro voci. — Insomma, quanto? — domandò il Primo Deputato.
— Quarantamila al grammo? — propose il Giudice.
— Quarantamila? Te ne darò venti.
— Suvvia, ragazza, mi hai fatto pagare ventimila soltanto per farmi le unghie.
Lindsay ascoltava con mezzo orecchio, chiedendosi se avrebbe potuto inserirsi anche lui in quel genere di affari. La DMF aveva ancora le proprie banche, e malgrado la sua valuta fosse enormemente inflazionata, era ancora in circolazione come valuta legale esclusiva di undici miliardari. Lindsay, sfortunatamente, come membro cadetto dell’equipaggio, era già sprofondato nei debiti. — Mare della Serenità — disse il vecchio. — La Repubblica Corporativa. — D’un tratto fissò Lindsay con occhi grigi come la cenere. — Mi dicono che tu hai lavorato per loro.
Lindsay fu colto di sorpresa. I tabù non scritti della Red Consensus cancellavano ogni discussione sul passato. Il volto del vecchio mech si era illuminato d’uno sconsiderato riflusso di ricordi. Decenni di quella medesima espressione avevano scavato solchi profondi nei suoi antichi muscoli facciali e nella sua pelle altrettanto antica. Il suo volto era una maschera impenetrabile.
— Sono stato laggiù soltanto per un breve periodo — mentì Lindsay. — Non conosco bene gli ormeggi lunari.
— Io ci sono nato.
Il Primo Deputato lanciò un’occhiata allarmata in direzione del vecchio. — D’accordo per i quarantamila — si affrettò a concludere. Le due donne se ne andarono dirette al laboratorio. Il Presidente sollevò sulla fronte i suoi video-occhialoni. Fissò sardonicamente Lindsay, poi alzò deliberatamente il volume della cuffia. Gli altri due, il Secondo Deputato e il brizzolato Terzo Magistrato, ignorarono l’intera situazione.
— Ai miei tempi la Repubblica aveva un sistema — proseguì il vecchio mech. — Famiglie politiche. I Tyler, i Kelland, i Lindsay. Poi c’era una sottoclasse di profughi che avevano accolto, subito prima dell’Interdetto con la Terra. I plebei, li chiamavano. Sono stati gli ultimi a lasciare il pianeta, subito prima che le cose andassero a rotoli. Così, loro non avevano niente. Noi avevamo i kilowatt in tasca, e le grandi dimore. E loro soltanto piccole catapecchie di plastica.
— Eri un aristocratico? — chiese Lindsay. Non poteva trattenere la sua interessata curiosità.
— Mele — disse il vecchio Mech con voce triste. La parola suonò carica di nostalgia. — Mai mangiato una mela? Sono una specie di tumore vegetale.
— Credo di sì.
— Uccelli. Parchi. Erba. Nuvole. Alberi. — Il braccio destro del vecchio mech, un lavoro di protesi, ronzò sommessamente quando colpì uno scarafaggio sbalzandolo via dalla consolle con un dito dai tendini di cavo metallico. — Sapevo che ci avrebbe causato dei guai quella faccenda con la plebe… una volta ho perfino scritto un dramma sull’argomento.
— Un dramma? Per il teatro? Come si chiamava?
Una vaga sorpresa trasparì negli occhi del vecchio. — La Conflagrazione.
— Tu sei Evan James Tyler Kelland! — sbottò Lindsay. — Io… ah… ho notato il tuo dramma. Negli archivi. — Evan Kelland era il pro-prozio di Lindsay. Un oscuro radicale. Il suo dramma di protesta sociale era rimasto nel dimenticatoio per anni fino a quando Lindsay, alla ricerca di armi, l’aveva trovato nel Museo e riportato alla luce, mettendolo in scena per infastidire i Vecchi Radicali. Gli uomini che avevano esiliato Kelland erano ancora al potere, dopo cento anni, sostenuti dalle tecnologie mech. E quand’era arrivato il momento giusto, avevano esiliato anche lui, Lindsay.
D’un tratto si ricordò che adesso erano nei cartelli. Constantine, il discendente della plebe, aveva fatto un patto con le teste di cavo. E alla fine l’aristocrazia l’aveva pagata, come Kelland aveva profetizzato. Lindsay, ed Evan Kelland, avevano soltanto pagato in anticipo.
— Ti è capitato di vedere il mio lavoro — disse Kelland. Il sospetto aveva trasformato le rughe del suo viso in profondi crepacci. Guardò altrove: i suoi occhi grigio-cenere erano pieni di dolore e di oscure umiliazioni. — Non avresti dovuto fare supposizioni.
— Mi spiace — disse Lindsay. Fissò con rinnovato timore il braccio meccanico del suo vecchio consanguineo. — Non parleremo più di questa faccenda.
— Sarà meglio. — Kelland alzò il volume degli auricolari e il suo furore parve perdere slancio. I suoi occhi tornarono ad essere pacati e incolori. Lindsay guardò gli altri deliberatamente ciechi dietro ai loro video-occhiali. Niente di tutto quello che aveva appena vissuto era successo.