— Non possiamo processare un braccio per alto tradimento — disse il Presidente.
Lindsay scrollò una sola spalla. — Sto facendo del mio meglio, signore. — Sapeva che non avrebbe mai tirato quel grilletto. Pensava che avrebbero potuto ucciderlo per questo, anche se sperava di riuscire a scamparla. La vita era importante, ma non così cruciale quanto il grilletto.
— Vedremo cosa dirà il Giudice Due.
Lindsay era disponibile. Quel tanto, era andato secondo il suo piano.
Il Giudice Due dormiva in infermeria. La donna si svegliò con un sussulto, gli occhi spiritati. Vide il sangue, poi fissò il Presidente. — All’anima della bruciatura, l’hai ferito di nuovo.
— Non io — replicò il Presidente, con un fremito di confusione e un senso di colpa. Quindi le spiegò la situazione, mentre il Giudice Due esaminava il braccio di Lindsay e lo bendava. — Potrebbe essere psicosomatico.
— Voglio che quel braccio si muova — intimò il Presidente. — Fallo, soldato.
— Sì, signore — rispose il Giudice, sorpreso. La donna non si era resa conto che ora si trovavano sotto il regolamento militare. Si grattò la testa. — Sono fuori dal mio campo. Sono soltanto un meccanico, non un plasmatore psicotecnico. — Lanciò un’occhiata in tralice al Presidente. Questi appariva irremovibile. — Lasciami pensare… questo dovrebbe andare. — Tirò fuori un’altra fiala, etichettata con un’illeggibile scribacchiatura. — Un convulsivo. Cinque volte più potente del segnale d’azione dei nervi. Se questo gli entrerà nel sangue, lo scuoterà sul serio. — Fissò Lindsay con aria colpevole. — Questo ti farà un po’ male… parecchio.
Lindsay intuì la sua possibilità. Il suo braccio era pieno di anestetico, ma avrebbe potuto simulare il dolore. Se avesse dato l’impressione di soffrire quel tanto che bastava, forse si sarebbero scordati del test. Avrebbero ritenuto che fosse stato punito abbastanza per qualcosa che non era colpa sua. Il Giudice era solidale. Avrebbe potuto far leva su di lei contro il Presidente. Il loro senso di colpa avrebbe fatto il resto.
Parlò con voce severa: — Il Presidente sa meglio di tutti ciò che va fatto. Dovresti eseguire i suoi ordini. Non preoccuparti per il mio braccio. È comunque intorpidito.
— Questo lo sentirai, ’Stato. Se non sei morto. — L’ago gli penetrò nella pelle. La donna gli strinse con forza il laccio emostatico intorno al bicipite. I tatuaggi s’incresparono quando le sue vene cominciarono a gonfiarsi.
Quando quell’agonia di dolore lo colpì, seppe che l’anestetico era inutile. Il convulsivo lo ustionò come se fosse un acido.
— Brucia! — urlò. — Brucia! — Il suo braccio s’increspò, i muscoli si contrassero in modo bizzarro. Cominciò a dibattersi in preda agli spasimi, strappando un’estremità del laccio dalla stretta del Giudice.
Il sangue congestionato filtrò oltre il laccio, invadendo il torace di Lindsay. Lanciò un grido soffocato e si piegò in due, il volto grigio-cenere. La droga strisciava intorno al suo cuore come un filo rovente. Inghiottì la lingua e fu colto dalle convulsioni. Per due giorni fu vicino alla morte. Quando si fu ripreso, gli altri avevano raggiunto una decisione. Nessuno parlò mai più del test. Non era mai successo.
— È soltanto una roccia — disse il Secondo Deputato. Spazzò via uno scarafaggio dallo schermo.
— È il bersaglio — disse il Presidente della Camera. La cabina di comando era alimentata al minimo, e il familiare coro di schiocchi, cigolii e rombi si era ridotto a un debole e fremente raschiare. Il volto del Presidente della Camera era verdastro, a causa della luce dello schermo. — Se la sono svignata… Non ci sono infrarossi.
Lindsay si lasciò andare alla deriva in silenzio fino a un angolo della cabina di comando, senza guardare lo schermo. Si stava sfregando la pelle tatuata del braccio destro, lentamente, lo sguardo assente, fisso sul niente. La pelle si era rimarginata, ma la combinazione dei farmaci aveva bruciato i nervi schiacciati. La pelle gli pareva gommosa sotto il freddo inchiostro dei suoi tatuaggi. La punta delle dita della mano destra era intorpidita.
Non aveva nessuna fiducia nella capacità dei Plasmatori di trattenersi. La vela solare rigonfia della Red Consensus avrebbe dovuto nascondere la nave stessa al radar, impedendo un attacco preventivo da parte dell’asteroide. Ma si aspettava di sentire da un momento all’altro l’ultimo mezzo secondo d’impatto quando le armi dei Plasmatori avessero ridotto a brandelli la nave.
Udì provenire dall’interno della cabina del cannone il ronzio del seggiolino del cannoniere quando il Terzo Magistrato lo spostò, innervosito.
— Stanno aspettando che passiamo — disse il Presidente. — Stanno aspettando che spariamo da dietro la vela.
— Non possono spazzarci via così semplicemente — interloquì il Secondo Senatore con voce lamentevole. — Potremmo essere cani solari. Disertori mech.
— Rimani su quel fuco, Dep Tre! — ordinò il Presidente.
Esibendo un radioso sorriso, il Dep Tre si tolse gli auricolari e girò il viso coperto dagli occhialoni verso gli altri. — Cos’ha detto, signor Presidente?
— Ho detto di rimanere su quelle frequenze! — urlò il Presidente in risposta.
— Oh, quello — disse il Dep Tre. Si grattò dentro il collare della tuta spaziale, tenendo i doppi auricolari vicini a un orecchio. — Lo stavo già facendo. E… oh, sì. — Fece una pausa mentre l’equipaggio tratteneva il respiro. Gli occhialoni gli impedivano di vedere, ma allungò una mano senza sbagliare e sfiorò gli interruttori sul pannello davanti a lui. La cabina di comando si riempì di un ronzio staccato, acuto e lamentoso.
— Innesto il visivo — spiegò il Dep Tre, battendo sulla tastiera. L’asteroide svanì, sostituito sullo schermo da colonne e colonne d’insensatezze alfanumeriche:
TCGAGGCTATCGTAGCTAAAGCTCTCCCGATCGATATCGTCTCGAGATCGATCGATCGTTAGCTAGTTGTCGATCG TAAGGGTCAGCTA …
— È il codice genetico dei Plasmatori — disse il Presidente della Camera. — Te l’ho detto.
— Il loro ultimo segnale prima che li facciamo fuori — esclamò il Presidente, baldanzoso. — Da questo istante proclamo la legge marziale. Voglio tutti in assetto da combattimento, salvo te, Segretario di Stato. Scattare.
L’equipaggio corse via. I loro nervi si stavano sdipanando in quella confusione di azione. Lindsay li osservò mentre si allontanavano, pensando al flusso di dati diretti al Consiglio dell’Anello che aveva tradito l’avamposto.
Forse i Plasmatori avevano buttato via la loro vita con quell’ultimo grido, ma il nemico, almeno, aveva qualcuno che avrebbe saputo della loro morte e li avrebbe pianti.
4
Chiamarono l’asteroide ESAIRS XII, l’unico nome che avesse mai avuto, tirato fuori da qualche antico catalogo. ESAIRS XII era un grumo di scoria a forma di patata, lungo mezzo chilometro.
La Red Consensus era sospesa sopra il suo equatore rigonfio, ancorata ad esso. Lindsay discese lungo il cavo aiutandosi con una mano sola. Visto attraverso la visiera del suo casco, l’asteroide era scuro, con lunghe strisce di polvere di minerale grezzo carbonifero. Un grigio gelido e delle macchie bianche confuse contrassegnavano i punti d’impatto carbonizzati delle collisioni primeve. I crateri più grandi avevano un diametro di ottanta metri, enormi pozzi neri lavici di loppa venata di crepe e schizzi di vetro fuso solidificato.