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Lindsay toccò il suolo. La distesa sotto i suoi stivali era come pomice, una statica superficie biancastra di bolle pietrificate. Riusciva a vedere l’asteroide in tutta la sua lunghezza, ma in direzione dell’ampiezza questo s’incurvava scomparendo alla vista dietro all’orizzonte a una dozzina di passi di distanza. Si chinò e iniziò ad avanzare, afferrandosi a sporgenze e a cavità con le dita ruvide dei suoi guanti, trainando se stesso. La mano destra era in cattivo stato. Il duro tessuto interno del guanto sembrava morbido come il cotone alle sue dita dai nervi bruciati.

Strisciò, con le gambe che gli ballonzolavano senza una meta, sopra l’orlo d’un cratere oblungo, la scalfittura cicatrizzata di qualche collisione quasi mancata. Era profondo circa nove metri, e il suo fondo era un’ampia vescica lisciata dal gas di basalto verdastro. Un lungo crinale tumido di roccia fusa era quasi decollato nello spazio ma era rimasto congelato conservando fino all’ultima increspatura e deformazione…

Slittò di lato. Il crinale roccioso si rattrappiva, spiegazzandosi come la seta, le sue deformazioni e le sue gobbe si rivelavano come una sorta di camuffamento ombreggiato su una pellicola di plastica.

Una caverna si spalancava di sotto. Era una galleria che s’incurvava subito sotto la superficie.

Lindsay discese con estrema cautela il pendio e si lanciò dentro la galleria. Si aggrappò alle sue pareti. Allungandosi verso l’alto, si spinse contro il soffitto della galleria per piantarvi i piedi.

La luce del sole albeggiava sopra il minuscolo orizzonte, piovendo dentro la galleria.

Questa, era esattamente circolare e inumanamente liscia. Sei tracce di sottile nastro metallico vi erano state incollate con resina epossidica. Correvano lungo il corridoio nel senso della sua lunghezza. Alla cruda luce del sole, le tracce avevano il luccichio del rame.

All’apparenza, la galleria cingeva completamente l’asteroide, incurvandosi rapidamente come l’orizzonte. Davanti a lui, quasi nascosto dalla curvatura della galleria, intravide il vago luccichio della plastica marrone. Saltando e spingendosi lungo le pareti, rimbalzò verso di essa in caduta libera.

Era una pellicola di plastica con incorporata una camera d’equilibrio di tessuto. Lindsay aprì la cerniera lampo della camera di equilibrio ed entrò. La chiuse nuovamente dietro di sé. Aprì una seconda cerniera sulla parete interna della camera, e vi si arrampicò dentro.

Si trovò in un cavernoso pallone nero e ocra. Era stato gonfiato all’interno della galleria in modo che vi aderisse alla perfezione.

Una figura con indosso una tuta di plastica per la decontaminazione galleggiava a testa in giù sotto il soffitto, una sagoma d’un verde brillante contro degli arabeschi neri spruzzati a mano su uno sfondo ocra. La tuta di Lindsay si era appiattita, indicando la presenza della pressione atmosferica. Lindsay si tolse il casco e inspirò con cautela. Era un miscuglio di ossigeno e azoto, aria standard.

Lindsay tenne il braccio destro appoggiato al petto, di traverso, mostrandosi deliberatamente impacciato. — Io, uh, ho una dichiarazione già pronta da leggere. Se non ha obiezioni.

— Prego, proceda. — La voce della donna era sottile, semiovattata. Intravide il suo viso dietro la visiera: occhi freddi, pelle brunastra, capelli scuri racchiusi in una retina verde.

Lindsay lesse le parole lentamente:

Saluti da parte della Democrazia dei Minatori di Fortuna. Siamo una nazione indipendente che opera secondo le norme della legge fermamente basate sui diritti civili del singolo cittadino. Come emigranti nel nostro territorio nazionale, i nuovi membri del corpo politico vengono assoggettati ad un breve processo di naturalizzazione prima di assumere la completa cittadinanza. Ci rincresce di qualunque inconveniente causato dall’imposizione di un nuovo ordine politico.

È nostra politica che le differenze ideologiche vengano appianate da una negoziazione. A questo fine abbiamo dato incarico al nostro Segretario di Stato di stabilire i termini preliminari soggetti alla ratifica del Senato. È desiderio della Democrazia dei Minatori di Fortuna, come è stato espresso nella Sedicesima Risoluzione Congiunta della Camera, Sessantasettesima Seduta, che voi cominciate il negoziato senza ulteriori ritardi sotto l’egida del Segretario, cosicché il periodo interinale possa essere quanto più breve e sicuro possibile.

Porgiamo ai nostri futuri concittadini la mano dell’amicizia e le più calorose congratulazioni.

Firmato

il Presidente

Lindsay sollevò lo sguardo.

— Gliene servirà una copia — disse porgendola.

La plasmatrice gli galleggiò più vicino. Lindsay vide che era molto bella. Ma non significava niente, o quasi: la bellezza costava molto poco fra i Plasmatori.

La donna prese il documento. Lindsay tirò fuori altre carte da una valigetta all’altezza del fianco, con la mano sinistra. — Queste sono le mie credenziali. — Le consegnò un mazzo di tabulati riciclati, resi vistosi dagli stemmi metallizzati di Fortuna.

La donna disse: — Mi chiamo Nora Mavrides. Il resto della famiglia ha chiesto di trasmetterle la nostra impressione sulla situazione. Riteniamo di potervi convincere che le azioni che avete intrapreso sono affrettate e che potreste trarre miglior profitto rivolgendo altrove le vostre attenzioni. Non vi chiediamo nulla se non il tempo di convincervi. Abbiamo perfino disattivato il nostro cannone principale.

Lindsay annuì: — Molto bene. Piacevole a sapersi. Dovrebbe far parecchio colpo sul mio governo. Vorrei vedere questo cannone.

— Ci siamo dentro — disse Nora Mavrides.

A bordo della Red Consensus
22-12-’16

Lindsay disse: — Ho fatto il tonto. Ma non credo che ci abbia creduto. — Stava parlando a una sessione a Camere riunite, Camera e Senato insieme, condotta dal Presidente della Camera. Il Presidente sedeva fra il pubblico. I Magistrati della Corte Suprema presidiavano il cannone e la cabina di comando ascoltando all’intercom.

Il Presidente scosse la testa. — Ci ha creduto. I Plasmatori pensano che noi siamo stupidi. Per l’inferno, per i Plasmatori noi siamo stupidi!

Lindsay proseguì: — Ci siamo ancorati appena fuori del loro anello di lancio. È un lungo tunnel circolare; un anello intorno al centro di gravità della roccia, aperto subito sotto la superficie. Ha una striscia magnetica per l’accelerazione e una specie di secchio magnetico per il lancio.

— Ne ho sentito parlare — disse il Terzo Magistrato all’intercom. Era il loro cannoniere specialista, un ex minatore, ormai prossimo al secolo. — Comincia con una piccola spinta, porta su quel secchio, si magnetizza, corre su un cuscino magnetico, accelerando continuamente, e dopo che ha girato in tondo per un po’, lo si frena di colpo subito dietro l’uscita. Il secchio si blocca, ma il suo contenuto viene sparato fuori a un bel po’ di klick al secondo.

— Klick al secondo? — disse il Presidente della Camera. — Potrebbe spazzarci via.

— No — replicò il Presidente. — Dovrebbe usare una quantità enorme di energia per effettuare un lancio. A una distanza così ravvicinata rileveremmo le emanazioni magnetiche.

— Non ci lasceranno entrare — riprese Lindsay. — La loro famiglia vive pulita. Niente microbi, oppure soltanto quelli tagliati su misura. E noi abbiamo roba dello Zaibatsu in ogni singolo poro. Ci offriranno del bottino, pur di vederci andar via.

— Non è questa la nostra missione — disse il Presidente della Camera.

— Non possiamo giudicare il loro bottino se non vediamo i loro alloggi — s’intromise il Primo Deputato. La plasmatrice rinnegata si spazzolò i capelli con le punte smaltate delle dita. Ultimamente, aveva preso a vestirsi bene.