— Possiamo aprirci la strada con la scavatrice — disse il Presidente. — Useremo le letture sonar che abbiamo fatto. Abbiamo una buona idea di dove si trovino le gallerie più vicine alla superficie. Potremmo scavare ed entrare in quattro o cinque minuti mentre il Segretario di Stato procede con i negoziati. — Esitò. — Potrebbero ucciderci per questo.
La voce del Presidente della Camera era carica di una gelida certezza. — Siamo morti comunque, se continueranno a tenerci a distanza di un braccio. Il nostro cannone ha la gittata corta. Quell’anello di lancio potrebbe ridurci in polvere molte ore dopo che ce ne siamo andati.
— Non lo hanno fatto prima — replicò il Primo Deputato.
— Adesso sanno chi siamo.
— Ci rimane soltanto una cosa da fare — disse il Presidente. — Metterlo ai voti.
— Dopotutto, siamo una democrazia di minatori — disse Lindsay a Nora Mavrides. — Secondo l’ideologia di Fortuna, avevamo tutto il diritto di trivellare il terreno. Se aveste tracciato per noi una mappa della vostra rete di gallerie, questo non sarebbe successo.
— Avete rischiato tutto — replicò Nora Mavrides.
— Deve ammettere che ci sono stati dei benefici — disse Lindsay. — Adesso che la vostra rete è stata, per così dire, “contaminata”, possiamo per lo meno incontrarci faccia a faccia senza le tute spaziali.
— È stato sconsiderato, Segretario.
Lindsay si toccò il petto con la mano sinistra. — Consideri la cosa secondo la nostra prospettiva, dottor Mavrides. La DMF non è disposta ad aspettare a tempo indeterminato per prendere possesso della sua proprietà. Credo che siamo stati molto ragionevoli.
— Voi continuate a supporre che abbiamo intenzione di andarcene. Siamo coloni, non briganti. Non ci lasceremo dissuadere da nebulose promesse e da propaganda anti-mechanist. Siamo minatori.
— Pirati. Mercenari mechanist.
Lindsay scrollò una spalla soltanto.
— Il suo braccio — disse la donna. — È davvero ferito? Oppure finge, per farmi credere d’essere innocuo?
Lindsay non disse niente.
— Capisco il suo punto di vista — proseguì la donna. — Non può esserci un vero negoziato senza fiducia. Da qualche parte dobbiamo avere un terreno in comune. Troviamolo.
Lindsay raddrizzò il braccio. — D’accordo, Nora. Se la cosa è fra noi due, lasciando da parte i nostri ruoli, sentiamo cos’hai da dire. Posso sopportare qualunque livello di franchezza che tu sia disposta a proporre.
— Allora dimmi il tuo nome.
— Non significherebbe niente per te. Abelard — proseguì — Chiamami Abelard.
— Qual è la tua linea genetica, Abelard?
— Non sono un plasmatore.
— Tu menti, Abelard. Ti muovi come uno di noi. La faccenda del braccio l’ha mimetizzato, ma la tua goffaggine è troppo deliberata. Quanti anni hai? Cento? Di meno? Da quanto tempo stai canesolariandoti?
— Ha importanza? — chiese Lindsay.
— Puoi tornare. Credimi, adesso è diverso. Il Consiglio ha bisogno di gente come te. Ti appoggerò io. Unisciti a noi, Abelard. Siamo noi la tua gente, non quei rinnegati pieni di germi.
Lindsay allungò una mano. Nora si tirò indietro, i lunghi legacci delle sue maniche sussultarono in caduta libera.
— Vedi — disse Lindsay — sono sudicio come loro. — L’osservò con molta attenzione.
Era bellissima. Il clan dei Mavrides era una linea genetica che non aveva mai incontrato prima. Spalle ampie, occhi nocciola, con una traccia di piega epicantica, più amerinda che orientale. Zigomi alti, un naso dritto e aquilino, sopracciglia nere soffici come piume, che in caduta libera formavano una massa cespugliosa di viticci arricciati. I capelli di Nora erano racchiusi in una morbida cuffia da caduta libera, un turbante di plastica verde giada trattenuto dietro da una stringa cremisi e da un bordo ben stretto color verde foresta sopra la frangetta di capelli che le contornava la fronte. La sua pelle ramata era chiara e inumanamente liscia, con una spruzzata di rosso.
Erano sei. Si somigliavano tra loro, ma non erano cloni identici. Quei sei erano una minuscola percentuale della linea genetica dei Mavrides: Kleo, Paolo, Fazil, Ian, Agnes e Nora Mavrides. Kleo era il loro capo. Aveva quarant’anni. Nora ne aveva ventotto. Gli altri avevano tutti diciassette anni.
Lindsay li aveva visti. Provava pietà per loro. Il Consiglio dell’Anello non sperperava i propri investimenti. Un genio di diciassette anni era più che sufficiente per la missione, e costava poco. Loro l’avevano guardato con i gelidi occhi color nocciola, lo sguardo disgustato e guardingo che si riservava ai parassiti. Ardevano dal desiderio di ucciderlo, con un’ingordigia temperata soltanto dalla ripugnanza.
Adesso era troppo tardi per farlo. Avrebbero dovuto ucciderlo a grande distanza, quando ancora potevano tenersi puliti. Ora era troppo vicino. La sua pelle, il suo alito, i suoi denti, perfino il suo sangue ribolliva di corruzione.
— Non abbiamo antisettici — disse Nora. — Non abbiamo mai pensato che ne avremmo avuto bisogno. Non sarà piacevole per noi, Abelard. Vesciche, foruncoli, eruzioni cutanee. Dissenteria. Non c’è niente che possa aiutarci. Anche se ve ne andaste domani, l’aria della vostra nave… ha già strisciato dappertutto. — Allargò le mani. La sua camicetta aveva dei lacci scarlatti ai polsi, con maniche a sbuffo tagliate che mostravano la pelle dei suoi avambracci. La camicetta era un indumento awolgitutto, legata in basso con corti lacci a ciascun fianco e stretta alla vita da una cintura. L’aveva cucita lei stessa, ricamando i risvolti con un lavoro a griglia rosa e bianco. Sotto, portava un paio di calzoncini corti chiusi al ginocchio, e sandali rossi con lacci.
— Mi spiace — disse Lindsay — ma è meglio che morire. I Plasmatori sono bruciati, ormai, Nora. Finiti. Non ho nessun amore per i Mech, credimi. — Per la prima volta fece un gesto col braccio destro. — Lascia che ti dica qualcosa che negherò, se lo ripeterai. I Mech non esisterebbero, se non fosse per voi. La loro Unione di Cartelli è una farsa. È tenuta insieme soltanto dalla paura e dall’odio per i riplasmati. Una volta che avranno distrutto il Consiglio dell’Anello, cosa che devono fare, i Mech stessi andranno in pezzi.
“Per favore, Nora. Cerca di vedere la cosa dal mio punto di vista, almeno per un momento, soltanto per amor di discussione. So che sei impegnata, so che sei fedele alla tua linea genetica, alla tua gente che si trova a casa. Ma la tua morte non li salverà. Sono bruciati, condannati. Adesso siamo soltanto noi e voi. Diciotto persone. Sono vissuto con questi fortuniani. Sappiamo quello che sono. Sono canaglie, pirati, predoni. Falliti. Vittime, Nora. Vivono nel varco tra ciò che è giusto e ciò che è possibile.
“Ma se verrete non vi uccideranno. È la vostra occasione. Una occasione per i sei che si trovano qui… Una volta che vi avranno messo a tacere, torneranno ai cartelli. Se vi arrendete, vi porteranno con sé. Siete tutti giovani. Mascherate il vostro passato e fra un secolo potreste essere voi a dirigere quei cartelli. Mech, Plasmatori, queste sono soltanto etichette. Il punto è che viviamo.”
— Siete strumenti — ribatté la donna. — Vittime, certo, questo lo accetto. Noi stessi siamo vittime. Ma vittime per una causa migliore della vostra. Siamo venuti qui nudi, Abelard. Siamo stati spediti fin qui a bordo d’una tinozza a senso unico, e il solo motivo per cui non siamo stati distrutti durante il volo è che il Consiglio lancia cinquanta esche per ogni vera missione. Ai cartelli, ucciderci costerebbe più di quanto valiamo.