Era un congegno diplomatico da addestramento, un granchio spinale. I ricordi balenarono dietro gli occhi di Lindsay: si sentì cogliere da un furore folle. Balzò via dalla parete e schizzò verso di lei come un razzo. Gli occhi velati di Nora si aprirono di scatto mentre lui gridava la sua furia.
L’afferrò per il collo e la tirò in avanti con uno strappo, affondando le unghie dentro l’orlo gommoso là dove il granchio spinale incontrava la pelle. Lo strappò via con selvaggia violenza. Una parte si staccò. Sotto, la pelle luccicava rossa, resa liscia dal sudore. Lindsay afferrò il cavo collegato con il braccio sinistro e lo staccò con un colpo secco. Tirò con più forza. Nora ansimò mentre una cinghia affondava sotto le sue costole.
Il granchio si stava sbucciando. Il suo ventre era orrendo, una massa frastagliata di umidi tubi translucidi, traforati da tanti piccolissimi pori dai quali uscivano innumerevoli fili sottili come capelli. Lindsay tirò un’altra volta. L’innesto di un cavo si tese e si spezzò, facendo schizzar fuori dei cavetti più piccoli, colorati.
Lindsay appoggiò i piedi contro la schiena di Nora, e tirò ancora; la donna soffocò e artigliò la fibbia della cinghia. La cintura venne via di scatto con la forza d’una frustata, e Lindsay ebbe in pugno il congegno. Con il suo programma sconvolto, questo si dibatté e si arricciò come una cosa viva. Lindsay lo fece roteare tenendolo per la cinghia e lo sbatté contro la parete con tutte le sue forze. I segmenti sovrapposti sul dorso del congegno si spaccarono, con un crepitio di plastica. Lindsay tornò a scagliarlo contro la parete di pietra con la forza di una scudisciata. Liquidi lubrificanti brunastri colarono fuori, poi si dispersero in tante gocce in caduta libera quando lo fracassò una volta ancora. Per concludere l’opera, lo schiacciò sotto i piedi, tirando la cinghia fino a quando non cedette. Le sue budella comparvero sotto le piastre: biochip a forma di losanga annidate dentro fibre ottiche multicolori.
Lindsay lo sbatté una volta ancora contro la roccia, con maggior lentezza e determinazione. Lo schiacciò nuovamente con movimenti deliberati, triturandolo. Adesso il furore lo stava lasciando. Provava una sensazione di freddo. Il braccio destro gli tremava incontrollabilmente.
Nora era addossata alla parete, si teneva aggrappata ad una rastrelliera per indumenti. L’improvviso distacco dalla programmazione nervosa aveva indotto in lei un tremito continuo dovuto alla paralisi.
— Dov’è l’altro? — volle sapere Lindsay. — Quello per la tua faccia?
I suoi denti battevano. — Non l’ho portato con me — rispose la donna.
Lindsay sbatté via il granchio con un calcio. — Da quanto tempo, Nora? Da quanto tempo sei sotto a quell’affare?
— Lo indosso ogni notte.
— Ogni notte? Mio Dio!
— Devo essere la migliore — disse Nora, tremando. Cercò a tastoni un poncho dalla rastrelliera e infilò la testa attraverso il foro.
— Ma il dolore… — insisté Lindsay. — Il modo in cui brucia!
Nora lisciò il tessuto brillante dalle spalle ai fianchi. — Tu sei uno di loro — disse. — Uno dei primi allievi. Gli insuccessi. I disertori.
— Qual era la tua classe? — le chiese Lindsay.
— La quinta: l’ultima.
— La mia è stata la prima — disse Lindsay. — La sezione straniera.
— Allora non sei neppure un plasmatore.
— Sono un concatenato.
— Voi dovreste essere tutti morti. — Si staccò dai ginocchi e dalle caviglie le giunzioni spezzate. — Dovrei ucciderti. Mi hai attaccato. Sei un traditore.
— Quando ho fracassato quell’affare ho provato una genuina sensazione di libertà. — Si sfregò il braccio con fare distratto, stupefatto. Aveva veramente perso il controllo. Il senso di ribellione l’aveva sopraffatto. Per un momento, una sincera rabbia umana aveva bruciato come una torcia attraverso il suo addestramento, toccando un nucleo rovente di autentico furore. Si sentiva scosso, ma più completo, più sinceramente se stesso, di quanto non lo era più stato da molti anni ormai.
— Quelli della tua specie hanno rovinato il resto di noi. Noi diplomatici dovremmo essere al vertice, a coordinare ogni cosa, a perorare la pace. Ma loro hanno bloccato l’intero programma. Siamo inaffidabili, hanno detto. Una cattiva ideologia.
— Ci vogliono morti — ribatté Lindsay. — È per questo che siete stati arruolati.
— Non sono stata arruolata. Sono volontaria. — Legò l’ultimo laccio del poncho all’altezza del fianco. — Mi verrebbe riservata un’accoglienza degna di un eroe, se ritornassi. È l’unica possibilità che mi si offra di conquistare potere negli Anelli.
— Ci sono altri luoghi di potere.
— Nessuno che conti.
— Dep Tre è morto — le disse Lindsay. — Perché lo avete ucciso?
— Tre ragioni — spiegò la donna. Ormai, ogni finzione era stata abbandonata. — Era facile. Aumenta le probabilità che abbiamo contro di voi. E, terzo, era pazzo. Ancora peggio del resto del vostro equipaggio. Troppo imprevedibile. E troppo pericoloso per lasciarlo vivere.
— Era innocuo — ribatté Lindsay. — Non come noi due. — I suoi occhi si riempirono di lacrime.
— Se tu avessi il mio controllo non piangeresti. Neppure se ti strappassero fuori il cuore.
— Lo hanno già fatto. E anche il tuo.
— Abelard — disse la donna. — Era un pirata.
— E gli altri?
— Pensi che piangerebbero per noi?
— No — disse Lindsay. — E neanche tanto per i loro. Quella che vorranno, sarà la vendetta. Cosa proveresti se Ian dovesse scomparire domani? E fra un paio di mesi ti capitasse di trovare le sue ossa nello scolo della feccia di qualche fermentatore? O, meglio ancora, se i tuoi nervi sono così saldi, cosa faresti se si trattasse di te? Che sapore avrebbe il potere se ti trovassi a vomitare schiuma insanguinata fuori di qualche camera di equilibrio?
— È nelle tue mani — lei replicò. — Ti ho detto la verità, come abbiamo concordato di fare tra noi. Sta a te controllare la tua fazione.
— Non intendo farmi mettere in questa posizione — ribatté Lindsay. — Mi era parso che ci fosse un patto fra noi.
Nora indicò il relitto sgocciolante del suo granchio spinale. — Non mi hai chiesto il permesso, per attaccarmi. Hai visto qualcosa che non potevi sopportare e l’hai distrutto. Noi abbiamo fatto la stessa cosa.
— Voglio parlare a Kleo — lui disse.
Lei parve offesa. — È contrario al nostro patto. Devi parlarle per mio tramite.
— Questo è un assassinio, Nora… Devo vederla.
Nora sospirò. — È nel suo giardino. Dovrai infilarti una tuta.
— La mia è a bordo della Consensus.
— Allora useremo una di quelle di Ian. Vieni. — Lo ricondusse dentro la caverna luminescente, poi lungo una vena mineraria fessa, fino alla stanza di Ian Mavrides.
Il fabbricante di tute e artista grafico era sveglio e al lavoro. Si era rifiutato di togliersi la tuta per la decontaminazione e l’indossava in continuazione, un ambiente sterile per un singolo individuo.
Ian era l’uomo di punta della famiglia Mavrides, un punto focale per le minacce e i risentimenti. Paolo l’aveva più o meno farfugliato, ma Lindsay lo sapeva già.
Le pareti arrotondate della cavità di Ian erano stampate con un ben rifinito lavoro a griglia. Per settimane le aveva decorate con un mosaico di elaborate forme geometriche a L intrecciate fra loro. Con lo scorrere del tempo le forme si erano fatte più piccole, più dense, affollate insieme con un ossessivo, strisciante rigore. La complessità della decorazione era claustrofobica, soffocante; i minuscoli quadrati parevano tremolare e contorcersi.