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Quando entrarono, Ian si girò di scatto, portando la mano a una tasca rigonfia della manica. — Siamo noi — disse Nora.

Gli occhi di Ian erano spiritati. — Oh — rispose. — Andate a farvi bruciare.

— Risparmiatelo per gli altri — disse Lindsay. — Sarei più impressionato se ti prendessi un po’ di sonno, Ian.

— Sicuro — disse Ian. — Così potresti entrare qua dentro, tirarmi via la tuta. E contaminarmi.

Nora intervenne: — Ci serve una tuta, Ian. ’Stato va in giardino.

— Che vada al diavolo! Non lascerò che infetidisca una delle mie tute! Può cucirsene una da solo, come ha fatto il Dep Tre.

— Tu sei in gamba con le tute, Ian. — Lindsay si chiese se non fosse stato Ian ad assassinare il Dep Tre. Probabilmente si erano giocati ai dadi quel privilegio. Tirò fuori una tuta dalla rastrelliera. — Se ti toglierai la tuta, potrei non mettermi addosso questa. Cosa ne dici? Ti deruberò.

Ian premette un pallone d’ossigeno contro il boccaglio d’immissione della sua tuta. — Non mettere alla prova la tua fortuna, paralitico.

Kleo viveva nella serra più grande. Era ornamentale. Cresceva più lentamente dei giardini industriali traforati nella roccia, dove la vegetazione proliferava sotto i genera-luci in un’atmosfera di anidride carbonica pura. La stanza era oblunga, e le sue lunghe pareti avevano l’aspetto costolato di una conchiglia. Una vivida luce sgorgava da tubi fluorescenti lungo ciascun crinale.

Il terreno era composto da scarti e residui, trattenuti dall’umidità e da una sottile maglia di plastica. Come gli stessi Plasmatori, le piante erano state alterate per consentir loro di vivere senza batteri. Per la maggior parte si trattava di fiori: rose, margherite, ranuncoli grossi come pugni.

Il letto di Kleo era un intreccio di bambù fatti crescere curvi a bella posta. Kleo era sveglia, intenta a lavorare a un cerchietto per ricami. La sua pelle era più scura di quella degli altri, i genera-luci l’avevano abbronzata. Indossava una blusa bianca senza maniche stretta alla cintura, che ricadeva in multiple pieghe sottili. Le sue gambe e i suoi piedi erano nudi. Sopra il cuore c’era la sigla ricamata del suo rango.

— Ciao, cara — disse.

— Kleo? — Nora raggiunse fluttuando la struttura intrecciata e baciò Kleo lievemente, sulla guancia. — Dietro sua insistenza, io…

Kleo annuì una volta. — Spero che sarai breve — disse a Lindsay. — Il mio giardino non è per i non pianificati.

— Voglio discutere l’assassinio del Terzo Deputato.

Kleo ricacciò una ciocca dei capelli ricci sotto la retina che le tratteneva la treccia. Le proporzioni del suo polso, palmo e avambraccio dimostravano che era più vecchia degli altri, che era uscita da una linea di produzione anteriore. — Sciocchezze — replicò. — Un’insinuazione assurda.

— So che l’hai fatto uccidere, Kleo. Forse l’hai fatto tu stessa. Sii franca con me.

— La morte di quell’uomo è stata un incidente. Non esiste nessuna prova del contrario. Perciò non abbiamo nessuna colpa.

— Sto cercando di salvare le nostre vite, Kleo. Per favore, risparmiami la versione ufficiale. Se Nora ammette la verità, perché non puoi farlo tu?

— Quello che discuti col nostro negoziatore in sessione segreta non ci riguarda, signor Segretario. La Famiglia Mavrides non può riconoscere niente che non sia stato provato.

— È così, allora? — disse Lindsay. — I crimini non esistono al di fuori della vostra ideologia. Vi aspettate che anch’io mi aggreghi a questa finzione, che menta per voi, che vi protegga.

— Noi siamo la tua gente — replicò Kleo, fissandolo con i suoi occhi color nocciola chiaro.

— Ma avete ucciso il mio amico.

— Non è un’incriminazione valida, signor Segretario.

— È inutile — disse Lindsay. Si chinò, afferrò una rosa senza spine e la strappò via con tutte le radici. La scosse: globuli di terriccio umido volarono per la stanza, Kleo sussultò. — Guarda! — esclamò Lindsay. — Non capisci?

— Capisco che sei un barbaro — disse Kleo. — Hai distrutto una cosa bella per far valere un punto in una argomentazione che non posso accettare.

— Cedi un poco — l’implorò Lindsay. — Abbi misericordia.

— Non è questa la nostra missione — gli disse Kleo.

Lindsay si voltò e se ne andò, togliendosi l’appiccicosa tuta spaziale appena oltre la camera di equilibrio.

— Te l’avevo detto di non provarci — disse Nora.

— Ha voglia di suicidarsi — replicò Lindsay. — Perché? Perché la segui?

— Perché ci ama.

ESAIRS XII
23-2-’17

— Lascia che ti parli del sesso — disse Nora. — Dammi la mano.

Lindsay le porse la sinistra. Nora gli strinse il polso, lo tirò in avanti, e infilò il pollice in profondità nella propria bocca.

— Dimmi quello che hai provato.

— Era caldo — rispose Lindsay. — Umido. E così intimo da farmi sentire a disagio.

— È così che si vive il sesso sotto l’effetto dei soppressivi — lei disse. — Noi della Famiglia abbiamo l’amore, ma non l’erotismo. Siamo soldati.

— Allora siete chimicamente castrati.

— Tu hai dei pregiudizi — lei ribatté. — Non l’hai vissuto. È per questo che l’orgia che ci proponi è fuori questione.

— Il Carnevale non è un’orgia — replicò Lindsay. — È una cerimonia. È fiducia, è comunione. Tiene insieme il gruppo, come gli animali che si addossano gli uni agli altri per riscaldarsi.

— È chiedere troppo — lei disse.

— Non vi rendete conto di ciò che è ora in gioco? Non è il vostro corpo che vogliono. Vogliono uccidervi. Odiano le vostre budella sterili. Non sai quanto ho parlato, quanto li ho blanditi per convincerli… Ascolta, loro usano allucinogeni. Durante il Carnevale, il tuo cervello diventa un budino. Non sai cosa sono le tue mani, ancora meno i genitali di qualcun altro… Sei impotente. Tutti sono impotenti, questo è il punto. Niente più giochi, niente più politica, o rango, o rancori. Niente io. Quando esci dal Carnevale, è come il primo giorno della Creazione: tutti sorridono. — Lindsay guardò altrove. — È una cosa autentica, Nora. Non è il loro governo a sostenerli, è solo il cervello. Il Carnevale è il sangue, la colonna vertebrale, l’inguine.

— Non è il nostro mondo, Abelard.

— Ma se poteste unirvi a noi, anche soltanto una volta, per poche ore! Dissolveremmo queste tensioni, ci fideremmo veramente gli uni degli altri. Ascolta, Nora, il sesso non è una specie di manufatto. È vero, è umano, è una delle ultime cose che ci rimangono. Oh, che possiate bruciare tutti! Cosa avete da perdere?

— Potrebbe essere un’imboscata — insistette lei. — Potreste deformare la nostra mente con le droghe e ucciderci. È un rischio.

— Certo che lo è. Ma c’è il modo per aggirarlo. — Incrociò lo sguardo con il suo. — Te lo dico sulla base di tutta la fiducia che c’è fra noi. Per lo meno possiamo provare.

— Non mi piace — disse Nora. — Non mi piace il sesso. Specialmente con quelli che non sono stati pianificati.

— Questo, oppure rinvigorire la vostra linea genetica — disse Lindsay. Tirò fuori un’ipodermica piena da dietro il risvolto della giacca e vi applicò l’ago. — Io ho il mio già pronto.

Nora guardò in tralice la siringa, poi tirò fuori la propria. — Potrebbe non avere un effetto troppo piacevole su di te, Abelard.

— Che cos’è?

— Un soppressivo. Con della fenilxantina per esaltare il tuo QI. Così capirai quello che proviamo.