Выбрать главу

— Rilassati, Segretario di Stato. — Il Presidente lisciò uno dei nastri di plastica rossa della sua manica aperta. — Hai pasticciato già da troppo tempo… e quei fottuti hanno fatto fuori il Dep Tre.

— Non c’è nessuna prova.

— Tu sai che l’hanno ucciso loro. E lo sappiamo anche noi. Tu li hai coperti, ’Stato, e forse questo era giusto, ma significa che tu ci sei dentro fin troppo. Non spetta a noi uccidere tutta questa gente. Se avessimo voluto ucciderli, avremmo tirato fuori dalla Consensus il nostro cannone piazzandolo dentro questa roccia.

— Ma questo è stato il nostro trionfo, il trionfo di tutti. Abbiamo messo a tacere i cannoni dell’Armageddon, no? Dopo questo, qualunque cosa è possibile.

— Dobbiamo eliminare la minaccia, è la nostra missione. È per questo che ci pagheranno i Mech. Abbiamo esplorato, durante tutto il tempo che parlavi. Abbiamo tracciato una mappa delle gallerie. Conosciamo i macchinari quel tanto che basta per distruggerli. Vandalizzeremo questo posto. E poi, via verso i cartelli e la bella vita.

— Li lascerete qui in mezzo alle rovine?

Il Presidente della Camera sogghignò a denti stretti. — Possono avere il nostro cannone. Non ne avremo bisogno dove stiamo andando. — Il Secondo Magistrato toccò il sandalo di Lindsay. — È facile, Segretario di Stato. Saremo nel cartello di Themis ancora prima che tu te ne accorga, a spassarcela in qualche città per i cani solari. Lasceremo stupefatti i Mech con questa operazione. — Tirò la spalla del suo vestito di plastica con una mano coperta da un reticolato di vene. Due dei senatori ridacchiarono.

— Quando? — chiese Lindsay.

— Lo saprai. Nel frattempo basterà che tu tenga giù il coperchio.

— E se uno volesse disertare e venire con noi? — chiese Lindsay.

— Portatela dietro — rispose il Presidente.

ESAIRS XII
1-3-’17

Lindsay si spinse in mezzo al buio, trascinando dietro di sé la cassa da imballaggio. Mentre procedeva, batté contro la roccia. — Paolo! Fazil!

Un tappo di pietra si scostò raschiando, e Paolo comparve nell’arcano bagliore di una candela. Si tirò fuori spingendo con i gomiti, e si sporse verso Lindsay. — Sì. Cosa possiamo fare per te?

— Parliamo dei termini, Paolo.

— È di nuovo la storia di quell’orgia?

— Stiamo per fare un lancio — disse Lindsay. — Indicò con un rapido gesto del pollice la cassa dietro di sé. — Potremmo fare due lanci, se arriviamo a un accordo. — Lindsay sorrise. — Favore per favore, d’accordo? Io vi farò avere il vostro lancio. In cambio voi mi appoggerete nella proposta del Carnevale.

Il volto di Paolo si arricciò in una smorfia. Sfregò delicatamente le pieghe trasudanti sotto il suo mento. — Mercanteggiare il nostro corpo con la nostra arte. Dimenticatene, ’Stato. Gli altri non ci starebbero mai. Riesci a immaginare Kleo… — La voce gli venne meno. — … fra le braccia del capitano di quel rimorchiatore?

— Non ho detto che debba accadere per davvero — replicò Lindsay. — Voglio soltanto che voi acconsentiate ad appoggiarmi. Volete che la testa venga lanciata, oppure no?

Paolo lanciò un’occhiata dietro di sé nella galleria. — Io dico di sì — gli giunse la voce di Fazil.

— Allora voglio che uno di voi vada nella camera del lancio e dia una mano a predisporre i parametri — proseguì Lindsay. — E che l’altro venga con me e mi aiuti a caricare l’anello di lancio. E non una sola parola con nessuno sul nostro accordo, capito?

— Tu facci fare il nostro lancio, e noi ti faremo apparire a posto con gli altri. Come se tu ci avessi convinti unicamente grazie al tuo carisma, d’accordo?

— Queste sono le mie condizioni — disse Lindsay. — Voi rispettate i miei segreti, ed io rispetterò i vostri. Adesso, chi di voi due andrà a predisporre il lancio?

— Lo farò io — disse Paolo. Si contorse per passare davanti a Lindsay nell’angusta galleria, e scomparve al buio, diretto alla cabina di comando del lancio.

Fazil sbirciò fuori. — Cosa c’è nella cassa? — chiese.

— Le prove — disse Lindsay. — Souvenirs di passate scorrerie e cose del genere. Cose che potrebbero imbarazzarci ora che ci siamo insediati qui una volta per tutte. — Era metà della verità, come la concepiva Lindsay. L’imbarazzo non si sarebbe manifestato su ESAIRS XII ma al cartello Mech, quando i pirati avrebbero dovuto comportarsi nella miglior maniera possibile. Cartelli importanti come Themis erano molto pignoli: perfino nelle loro città destinate ai cani solari, l’aperta pirateria veniva condannata.

I pirati avevano riempito la cassa a sua insaputa e gli avevano detto di lanciarla. Da quel gesto, lui aveva saputo che il loro colpo era concluso.

Fazil avanzò nella galleria con la sua candela. — Posso dare un’occhiata? — Allungò una mano verso la cassa, facendo passare il braccio davanti a Lindsay. Uno scarafaggio nero come la pece spuntò con la testa dalle assicelle di plastica, facendo osciUare le antenne sottili come fruste e lunghe quanto un avambraccio. Fazil tirò indietro la mano con un fischio di disgusto. Lindsay cercò di agguantare lo scarafaggio, ma lo mancò.

— Sudicio — borbottò Fazil. — Aiutami con la testa.

Lindsay lo seguì nel laboratorio. Insieme sollevarono l’enorme testa e con non poche contorsioni la portarono fuori nel corridoio. Nell’angusta galleria, quasi aderiva alle pareti. — Forse dovremmo ungerla — suggerì Lindsay.

— Il volto di Paolo non partirà per l’eternità con il moccio al naso — dichiarò Fazil. Spense la candela con un soffio e tornò a chiudere il laboratorio. Spinse la scultura davanti a sé, in direzione dell’anello di lancio. Lindsay lo seguì, con la cassa a rimorchio.

Il percorso era tortuoso, attraversava vene di roccia completamente esaurite, nelle quali l’aria ristagnava. Il molo di carico dell’anello era vicino alla superficie dell’asteroide, situato nella parete di uno dei maggiori centri industriali di ESAIRS XII. Qui, vicino all’anello di lancio, venivano fabbricate le esche. Il complesso delle esche sembrava un grappolo d’uva, costituito di sacchi per la fermentazione, collegati da tubi idraulici flosci, ancorati con cavi e circondati da banchi di genera-luce che irradiavano una luminosità di un aspro colore bluastro. Il grappolo era appeso a mezz’aria, nelle sue camere translucide la sostanza veniva sbattuta con grande lentezza.

Il complesso non era stato chiuso del tutto: ciò avrebbe ucciso il “ware” organico. Ma la sua produzione era stata ridotta quasi a niente. I tubi di uscita erano stati staccati dai loro sbocchi nel condotto dell’anello di lancio. Invece della sottile pellicola delle esche, producevano una spessa schiuma incolore. L’aria era satura del pungente puzzo febbricitante della plastica rovente.

Il robot della Famiglia era in servizio. Si fermò a metà del programma quando Fazil gli fluttuò davanti, stringendo la grande testa. Quando passò Lindsay, il robot si rannicchiò in silenzio: stringeva un soffiapolvere nei suoi manipolatori anteriori. Il suo unico gigantesco occhio s’inclinò per seguire i suoi movimenti, con uno sferragliare di ruote dentate.

Il robot era un insieme di cavi e di snodi, i suoi sei arti scheletrici erano fatti di leggera schiuma metallica. Era più grande di Lindsay. Il cervello e il motore si trovavano nel suo tronco, debitamente schermati, dietro a costole simili a sbarre. L’estremità anteriore conteneva i sensori e due lunghe braccia snodate a forma di tenaglia. Quattro arti rotanti disposti in croce sporgevano dalla sua estremità di poppa, sistemati in quel modo per lavorare in caduta libera. Disponeva di una coda a mandrino per la perforazione.