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Lindsay appoggiò la mano sull’avambraccio di Nora. — Io sono Abelard — disse. — Questa è Nora.

— Come state? Vogliamo discutere di questa proprietà. — L’alieno affondò la mano nella tasca laterale e tirò fuori un tampone di tessuto. Lo scosse, aprendolo con un rapido movimento da uccello, e divenne un televisore. L’alieno appoggiò lo schermo a ridosso della parete. Lindsay, guardando con attenzione, vide che il televisore non aveva linee di scansione. L’immagine era formata da milioni di minuscoli esagoni colorati.

L’immagine era quella di ESAIRS XII. Dal foro di uscita dell’anello di lancio usciva un tubo di schiuma di plastica lungo quasi mezzo chilometro. Sulla punta di quella spira simile a un verme c’era un rozzo bitorzolo. Lindsay si rese conto con un immediato e soffocato shock che si trattava della testa di pietra di Paolo, chiaramente incorniciata dentro il relitto simile a un fiore della gabbia di lancio. L’intera massa era stata incorporata senza nessuno sforzo nella fuoriuscita della plastica dall’impianto di produzione delle esche, poi era stata spremuta fuori dalla pressione dentro quel grande arco spiraleggiante.

— Vedo — disse Lindsay.

— Sei tu l’artista?

— Sì — disse Lindsay. Indicò lo schermo. — Ha notato il sottile effetto di quella sfumatura, dove il nostro ultimo colpo ha annerito la scultura?

— Abbiamo notato l’esplosione — disse l’alieno. — Un’insolita tecnica artistica.

— Noi siamo insoliti — annuì Lindsay. — Siamo unici.

— Sono d’accordo — replicò il guardiamarina, con cortesia. — Di rado vediamo un’opera su una simile scala. Accettate di trattarne l’acquisto?

Lindsay sorrise. — Parliamone.

PARTE SECONDA

Comunità Anarchia

5

A scatti il mondo entrò in una nuova era. Benignamente gli alieni avevano accettato una mistica semi-divina. Un fervore millenario spazzò il sistema. La distensione divenne di moda. La gente cominciò a parlare, per la prima volta, della Matrice Spezzata, di un sistema solare post-umano, diverso eppure unificato, in cui la tolleranza avrebbe dominato e ogni fazione avrebbe ricevuto una fetta della torta.

Gli alieni, da parte loro, si definivano gli “investitori”. Parevano disporre d’un illimitato potere. Erano antichi, talmente antichi da non ricordare nessuna tradizione precedente al volo stellare. Le loro poderose navi interstellari spaziavano su un vasto dominio economico, comprando e vendendo fra altre diciannove razze intelligenti. Era ovvio che possedevano tecnologie così potenti che, se avessero scelto di farlo, avrebbero potuto distruggere quel mondo angusto cento e più volte. L’umanità si rallegrava che gli alieni sembrassero così serenamente affabili. Le merci che offrivano erano quasi sempre innocue, molto spesso opere d’arte di enorme interesse accademico, e d’una utilità pratica sorprendentemente limitata.

Le ricchezze umane si riversarono nelle casse degli alieni. Minuscole ambasciate viaggiavano fino alle stelle a bordo delle navi degli investitori. Non riuscirono a combinare molto, e rimasero minuscole, poiché gli investitori facevano pagare tariffe astronomiche. Gli investitori riciclavano le ricchezze che spillavano all’economia umana. Comperavano azioni delle imprese umane. Con una singola novità tecnologica tirata fuori da una delle loro stive stracolme, gli alieni potevano rilanciare un’industria in crisi, portandone le quotazioni alle stelle. Le diverse fazioni si battevano sfrenatamente per assicurarsene i favori. E i mondi che non erano disposti a collaborare imparavano ben presto a loro spese con quanta facilità potevano venir superati ed essere resi obsoleti.

Il commercio fiorì nella nuova pace degli investitori. La guerra aperta divenne sinonimo di volgarità, sostituita dalla cortese clandestinità del dilagante spionaggio industriale. All’alba di ogni nuovo anno, l’età dell’oro pareva appena fuori dalla portata dell’umanità. E gli anni passarono e passarono.

Consiglio di Stato
di Goldreich-Tremaine
3-4-’37

La folla piaceva a Lindsay. La gente riempiva l’aria intorno a lui: giacche colorate con uno spumeggiare di merletti, gambe avvolte da calze sagomate con morbidi piede-guanti a cinque dita. L’aria, lì nell’atrio del teatro, odorava dei profumi dei Plasmatori.

Lindsay era disteso contro una parete di velluto sagomata, il suo gomito avvolto nella manica della giacca era infilato attraverso un cappio da ormeggio. Era vestito secondo la moda più in voga: una giacca di broccato verde-mare, con calze di raso verdi, lunghe fino al ginocchio, striate da punteggiature gialle. I suoi piedi erano elegantemente guantati per la caduta libera. Un videomonocolo trattenuto da una catena d’oro luccicava nel taschino del suo panciotto. Trecce intercalate da un cordoncino giallo gli legavano i lunghi capelli ingrigiti.

Lindsay aveva cinquantun anni. Tra i Plasmatori passava per un uomo di età assai più vetusta: un genetico che risaliva all’alba della storia dei Plasmatori. Ce n’erano molti come lui nel Goldreich-Tremaine, una delle più vecchie città dei Plasmatori negli Anelli di Saturno.

Un mechanist emerse nell’atrio uscendo dal teatro. Indossava un vestito monopezzo a costine d’una sfumatura moganoscuro d’un assoluto buongusto. Notò Lindsay e si allontanò dalla porta, fluttuando verso di lui.

Lindsay allungò la mano in gesto amichevole e arrestò lo slancio di quell’uomo. Sotto la manica, il braccio prostetico di Lindsay produsse un lieve gemito per quel movimento. — Buonasera, signor Beyer.

L’aitante mechanist annuì, e si attaccò anche lui a un cappio d’ormeggio. — Buonasera, dottor Mavrides. È sempre un piacere.

Beyer era con la delegazione di Cerere. Era sottosegretario per gli Affari Culturali, un titolo anodino inteso a camuffare la sua sostanziale appartenenza al servizio segreto dei Mech.

— Non la vedo spesso durante questo turno della giornata, signor Beyer.

— Faccio economia — rispose Beyer, a suo agio. La vita, a Goldreich-Tremaine non si fermava mai; il turno del cimitero, da mezzanotte alle otto, era quello più svincolato e meno sorvegliato dalla polizia. Un mechanist poteva mescolarsi alla folla durante il turno del cimitero senza attirare sguardi indiscreti.

— Le piace la commedia, signore?

— Un trionfo. Buona quanto Ryumin, direi. Questo autore, Fernand Vetterling… il suo lavoro mi riesce del tutto nuovo.

— È un giovane di qui. Uno dei nostri migliori autori.

— Ah, uno dei suoi protetti. Apprezzo questi sentimenti autoespansivi. Daremo una piccola serata all’ambasciata verso questa fine settimana. Vorrei davvero incontrare il signor Vetterling. Per esprimergli la mia ammirazione.

Lindsay ebbe un vago sorriso. — Lei è sempre benvenuto a casa mia, signor Beyer. Nora parla spesso di lei.

— Molto lusinghiero. Il colonnello-dottor Mavrides è una padrona di casa affascinante. — Beyer dissimulò il suo disappunto, ma i movimenti dei suoi muscoli dell’espressione tradivano l’impazienza. Beyer voleva andarsene, intrattenersi con qualche decano dell’alta società. Lindsay non se ne risentì: era il lavoro di quell’uomo.

Lindsay stesso aveva un grado nella Sicurezza. Era il capitano-dottor Abelard Mavrides, un istruttore nella sociologia degli investitori al Kosmosity di Goldreich-Tremaine. Perfino di quei tempi, in cui regnava la Pace degli Investitori, un grado nella Sicurezza era obbligatorio per quelli che appartenevano al complesso accademico-militare dei Plasmatori. Lindsay faceva la sua parte, come la facevano tutti.

Nel suo ruolo di direttore teatrale, Lindsay non alludeva mai al suo rango. Ma Beyer ne era ben conscio, e soltanto il lubrificante della cortesia diplomatica consentiva loro di essere amici.