Gli occhi azzurro chiaro di Beyer esaminarono l’atrio affollato e il suo volto s’irrigidì. Lindsay seguì il suo sguardo.
Beyer aveva individuato qualcuno. Lindsay colse subito la persona in questione: microfono a grano da labbro, audiofoni con fermaglio da orecchio, indumenti che mancavano di finezza. Una guardia del corpo. E non un plasmatore: i capelli dell’uomo erano lisciati all’indietro con olii antisettici, e al suo volto mancava la simmetria dei Plasmatori.
Lindsay tirò fuori il videomonocolo, se lo portò all’occhio destro, e cominciò a filmare.
Beyer notò quel gesto e sorrise con una punta di amarezza. — Sono in quattro — disse. — La sua produzione ha attirato un uomo importante.
— Sembrano dei concatenati — osservò Lindsay.
— Una visita di stato — aggiunse Beyer. — Lui è qui in incognito. È il capo di stato della Repubblica del Mare della Serenità. Il Presidente Philip Khouri Constantine.
Lindsay si girò di lato. — Non conosco il gentiluomo.
— Non è un amico della Distensione — disse Beyer. — Lo conosco soltanto per la sua reputazione. Non posso presentarglielo.
Lindsay si mosse lungo la parete, tenendo la schiena rivolta alla folla. — Devo andare nel mio ufficio. Vuole accompagnarmi per una fumatina?
— Fumare con i polmoni? — fece Beyer. — Non ho mai preso quell’abitudine.
— Allora mi deve scusare. — Lindsay scappò.
— Dopo vent’anni — disse Nora Mavrides. Sedeva davanti alla sua consolle, con la giacca dell’uniforme della Sicurezza buttata con noncuranza sulle spalle, un mantello nero sopra la sua camicetta color ambra.
— Cosa gli ha preso? — chiese Lindsay. — Non gli basta la Repubblica?
Nora pensò ad alta voce: — Devono essere stati i militanti a condurlo qui. Hanno bisogno di lui perché appoggi la loro causa qui nella capitale. Gode di grande prestigio e non è un detentista.
— È plausibile — annuì Lindsay. — Ma soltanto se la giri dall’altra parte. I militari pensano che Constantine sia il loro aiutante imprevisto, il loro generale leale… ma non conoscono le sue ambizioni. O il suo potenziale. Constantine li sta manipolando.
— Ti ha visto?
— Non credo. Non credo che mi avrebbe riconosciuto se mi avesse visto. — Di malumore, Lindsay affondò il cucchiaio in un vasetto di cartone di yoghurt medicinale. — La mia età mi ha mascherato.
— Ho provato un tuffo al cuore quando ho visto il film nel tuo monocolo, Abelard. Questi anni sono stati così buoni per noi. Se sapesse chi sei, potrebbe rovinarci.
— Non completamente. — Lindsay si costrinse a mangiare, pur facendo delle smorfie. Lo yoghurt era un preparato speciale per i non Plasmatori il cui intestino era stato reso antisettico. Era amaro a causa degli enzimi digestivi. — Constantine mi denuncerebbe. Ma se anche lo facesse? Abbiamo sempre gli alieni. Agli investitori non importa un fico secco del mio addestramento, della mia genetica. Gli alieni potrebbero essere il nostro rifugio.
— Dovremmo attaccare Constantine. È un assassino.
— Non dovremmo certo essere noi a dirlo, tesoro. — Lindsay strinse il vasetto di cartone con la mano meccanica; le sue sottili pareti cedettero. — È sempre stata mia intenzione evitarlo, se avessi potuto. È qualcosa in cui sono caduto, un lancio di dadi…
— Non parlare così. Come se fosse qualcosa per cui non possiamo far nulla.
Lindsay tamburellò con le dita metalliche. Perfino il braccio faceva parte del suo travestimento. Quell’antica protesi era appartenuta un tempo al Supremo Magistrato, e il modo in cui Lindsay la ostentava indicava un’età molto avanzata.
Sulla parete dell’ufficio di Nora, una gigantesca telefoto della superficie di Saturno presa da un satellite lentamente strisciava, con venti rossastri che s’intrecciavano con torrenti d’oro fangoso. — Potremmo andarcene — disse Lindsay. — Ci sono altri Stati Consiliari. Kirkwood Gap’s potrebbe andar bene… o Cassini-Kluster.
— Rinunciando a tutto quello che abbiamo costruito qui?
Lindsay osservò lo schermo con aria assorta. — Tu sei tutto ciò che voglio.
— E io voglio questo titolo, Abelard. Il professorato di colonnello. Se ce ne andremo, cosa sarà dei bambini? E la nostra congrega? Dipendono da noi.
— Hai ragione. Questa è la nostra casa.
— Ne stai facendo una cosa più grossa di quanto sia in realtà — riprese Nora. — Lui tornerà ben presto alla Repubblica. Se adesso Goldreich-Tremaine non fosse la capitale, non sarebbe qui.
Nella stanza accanto, i bambini ridevano; dalla sua consolle, Nora abbassò l’audio. Lindsay disse: — C’è un orrore fra me e Philip. Sappiamo troppo l’uno dell’altro.
— Non essere un fatalista, tesoro. Non ho intenzione di restarmene seduta a braccia incrociate mentre qualche imprevisto aggredisce mio marito.
Nora lasciò la consolle e gli si avvicinò. Una mezza gravità centrifugale le tirava la gonna e i merletti delle maniche. Lindsay se l’attirò sulle ginocchia e passò la mano di carne fra i riccioli serpentini dei suoi capelli. — Lascialo stare, Nora. Altrimenti arriveremo di nuovo a uccidere.
Lei lo baciò. — Nel passato, eri solo. Adesso sei in grado di tenergli testa. Abbiamo la nostra Congrega di Mezzanotte. Abbiamo le linee dei Mavrides, gli investitori, il mio rango nella Sicurezza. Abbiamo la nostra buona fiducia. Questa vita ci appartiene.
Philip Constantine seguì la partenza della propria nave attraverso il suo videomonocolo. Il monocolo gli piaceva per la sua eleganza. Constantine si dava molta pena per tenersi aggiornato con quegli sviluppi. Le mode erano dei potenti manipolatori.
Specialmente fra i riplasmati. Dietro la sua nave, la Friendship Serene (la “Serena Amicizia”) il complesso di Goldreich-Tremaine ruotava in giroscopico senso antiorario. Constantine stava studiando l’immagine della città, trasmessa sul suo monocolo da una telecamera montata sullo scafo della nave.
La città orbitante impartiva una lezione obiettiva nella storia dei Plasmatori.
Il suo nucleo era il cilindro scuro, pesantemente schermato, che aveva dato rifugio ai primi coloni: pionieri disperati spinti a estrarre minerali dagli anelli di Saturno malgrado le piogge radioattive e le violente, complesse tempeste elettriche. Il nucleo centrale di Goldreich-Tremaine era buio come una noce, una ghianda cocciuta che aveva resistito, e alla fine era sbocciata in un fantastico sviluppo. Sfere imperniate ruotavano intorno ad esso, installazioni radar scivolavano con levigata precisione lungo binari esterni, due giganteschi sobborghi intubati ruotavano in assetto controbilanciato su bianchi steli di ceramica. E tutt’intorno al complesso interno, c’era una rete di habitat in caduta libera simili a un merletto. Al di fuori dei sobborghi in bolla, le cosiddette “sobolle”, incombevano le pareti immateriali della Bottiglia.
La Friendship Serene toccò la falla nella Bottiglia. Statiche colorate attraversarono il monocolo di Constantine, e Goldreich-Tremaine scomparve. Adesso era visibile soltanto per la sua assenza: una losanga di nebbia scura fra i bianchi detriti di ghiaccio dell’anello. La nebbia scura era la Bottiglia stessa: un campo magnetico a ciambella lungo otto chilometri, che schermava la città-stato dei Plasmatori all’interno di una ragnatela alimentata dalla fusione.
A quella distanza dal sole i kilowatt solari erano inutili. I riplasmati avevano i propri soli, luminosi nuclei di fusione in ogni Stato del Consiglio: Goldreich-Tremaine, Dermott-Gold-Murray, Tauri-Phase, Kirkwood Gap, Synchronis, Cassini-Kluster, Encke-Kluster, Skimmers-Union, Arsenal… Constantine li conosceva tutti.