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Come sempre gli accadeva in quel suo secondo stato, provò disprezzo per le precedenti debolezze: questo era il vero se stesso, pragmatico, rapido nell’agire, libero dal fardello emotivo. Quello non era il momento per le mezze misure. Aveva i suoi piani. Se voleva sopravvivere in quel luogo, doveva ghermire la situazione.

Lindsay individuò il portello della camera di equilibrio dell’edificio. Diresse l’ultraleggero verso il basso, preparandosi ad un atterraggio scivolato. Sfilò la carta di credito dalla fessura e smontò. Il velivolo schizzò via nel cielo fangoso.

Lindsay salì una serie di gradini di pietra che conducevano a una rientranza nella parete della cupola. Dentro la nicchia, un pannello si accese di una luce brillante. Alla sua sinistra, nella parete della rientranza, la lente di una telecamera fiancheggiava uno schermo blindato. Sotto lo schermo una luce baluginava da una fessura per carte di credito al centro d’un rettangolo d’acciaio a prova di effrazione.

Una porta scorrevole di grandi dimensioni spiccava nella parete interna, a proteggere la camera d’equilibrio. Uno spesso strato di terriccio che mostrava di non essere stato smosso da molto tempo riempiva i solchi, in basso. I Medici Neri Nefrini non sembravano troppo ben disposti verso i visitatori.

Lindsay aspettò pazientemente, ripassando fra sé le bugie. Trascorsero dieci minuti. Lindsay cercò d’impedire che il naso gli colasse. D’un tratto lo schermo si illuminò, animandosi. Comparve il volto di una donna.

— Metti la tua carta di credito nella fessura — gli disse la donna, in giapponese.

Lindsay la guardò, valutando le sue capacità di reazione. Era una donna magra, dagli occhi scuri, di età indeterminata, i capelli castani tagliati corti. I suoi occhi parevano dilatati. Indossava una tunica bianca, di tipo medico, con un’insegna metallica al colletto: un bastone d’oro con due serpenti intrecciati. I serpenti erano di smalto nero con pietre rosse al posto degli occhi. Le mascelle spalancate mostravano zanne ipodermiche.

Lindsay disse: — Non sono venuto a comperare niente.

— Stai comperando il mio tempo, no? Infila la carta.

— Non ti ho chiesto io di comparire sullo schermo — ribatté Lindsay in inglese. — Sei libera di spegnerlo in qualunque momento.

La donna lo fissò infastidita. — Certo che sono libera — replicò in inglese. — Sono libera di farti trascinare qui dentro, e di farti fare a pezzi. Sai dove ti trovi? Questa non è un’operazione da cani solari da quattro soldi. Noi siamo i Medici Neri Nefrini.

Nella Repubblica erano sconosciuti. Ma Lindsay sapeva di loro dai tempi che aveva trascorso al Consiglio dell’Anello: biochimici criminali ai confini della malavita del Plasmatore. Però conducevano un’esistenza da reclusi, ed erano immorali. Lui sapeva che avevano delle roccaforti, laboratori neri sparsi per tutto il sistema. E questo era uno.

Sorrise adulante: — Vorrei entrare, sai. Soltanto… non a pezzi.

— Tu stai scherzando — replicò la donna. — Non vali i crediti che ci costeresti per disinfettarti.

Lindsay la guardò: — Ho i microbi standard.

— Questo è un ambiente sterile. I nefrini vivono puliti.

— Così, voi non potete entrare e uscire liberamente? — domandò Lindsay fingendosi sorpreso da quella notizia. — Siete intrappolati là dentro?

— È qui che viviamo - disse la donna. — Sei tu che ti trovi intrappolato fuori.

— È un peccato — sospirò Lindsay. — Ero venuto qui sperando di poter reclutare qualcuno. Stavo cercando di essere equo. — Scrollò le spalle. — Questa chiacchierata mi ha fatto piacere, ma il tempo stringe. Devo andare.

— Fermo! — esclamò la donna. — Tu non te ne andrai fino a quando non ti dirò che puoi andare.

Lui si finse allarmato. — Ascolta — disse. — Nessuno mette in dubbio la vostra reputazione. Ma siete intrappolati qui dentro. Non mi servite. — Mosse le lunghe dita attraverso l’aria. — Non vale neanche la pena di pensarci.

— Cosa intendi dire? Chi sei, comunque?

— Lindsay.

— Lin Dze. Non sei di ceppo orientale.

Lindsay guardò dentro la lente della telecamera, incrociando il suo sguardo. Era difficile simulare l’impressione attraverso il video, ma il suo atto fu abbastanza inaspettato da risultare assai efficace a livello subconscio. — E tu come ti chiami?

— Cory Prager — sbottò lei. — Dottor Prager.

— Cory, io rappresento la Kabuki Intrasolar. Siamo un’impresa teatrale commerciale. — Lindsay stava mentendo con entusiasmo crescente. — Sto preparando una produzione e reclutando un cast. Paghiamo generosamente. Ma, come hai detto, dal momento che non puoi uscire, in tutta franchezza, mi stai facendo perdere tempo. Non potete neppure assistere allo spettacolo. — Sospirò. — Ovviamente, questa non è colpa mia. Non sono io il responsabile.

La donna se ne uscì in una risata sgradevole. Comunque, Lindsay aveva intuito il suo modo di reagire, e il suo senso di disagio gli pareva ovvio. — Credi che c’importi quello che fanno all’esterno? Qui ci siamo accaparrati un mercato. Tutto quello che c’interessa sono i loro crediti. Il resto non ha importanza.

— Sono contento di sentirtelo dire. Vorrei che altri gruppi condividessero il vostro atteggiamento. Io sono un artista, non un uomo politico. Vorrei poter evitare le complicazioni con la stessa facilità con cui lo fate voi. — Allargò le braccia. — Dal momento che adesso ci capiamo, continuo per la mia strada.

— Aspetta. Quali complicazioni?

— Non sono opera mia — rispose Lindsay, mettendo le mani avanti. — Sono le altre fazioni. Non ho neppure finito di mettere insieme il cast, e già stanno complottando fra loro. La recita gli dà una possibilità di negoziare.

— Possiamo mandar fuori i nostri monitor. Possiamo seguire la vostra produzione.

— Oh, mi spiace — replicò Lindsay, rigido. — Noi non permettiamo che le nostre recite vengano registrate o trasmesse. Farebbe diminuire il numero degli spettatori. — Si mostrò molto addolorato. — Non posso rischiare di deludere il mio cast. Chiunque può fare l’attore, oggigiorno. Le droghe mnemoniche lo rendono facile.

— Noi vendiamo droghe mnemoniche — disse la donna. — Vasopressina, carboline, endorfine. Stimolanti e tranquillanti. Ilarizzanti, urlizzanti, gridizzanti… chiedi quello che vuoi e noi l’abbiamo. Se c’è un mercato per qualcosa, i chimici neri nefrini possono produrlo. Se non possiamo sintetizzarlo, lo filtriamo dai tessuti. Qualunque cosa tu voglia. Qualunque cosa ti riesca di pensare. — Abbassò la voce. — Siamo loro amici, sai. Di quelli dietro il Muro. Hanno di noi la migliore opinione di questo mondo.

Lindsay roteò gli occhi… naturalmente! Lei guardò qualcosa fuori dell’area visibile nello schermo. Si udì il rapido battito di una tastiera. La donna tornò a sollevare lo sguardo. — Hai parlato con le puttane, non è vero? La Banca Geisha?

Lindsay si mostrò cauto. La Banca Geisha era una novità per lui. — Preferirei tenere riservate le mie trattative.

— Sei uno sciocco se credi alle loro promesse.

Lindsay esibì un sorriso incerto. — Che razza di scelta ho? Esiste una naturale alleanza fra gli attori e le puttane.

— Devono averti messo in guardia contro di noi. — La donna si appoggiò un paio di auricolari contro l’orecchio sinistro, e ascoltò distrattamente.

— Te l’ho detto che cercavo di essere equo — disse Lindsay. Lo schermo si azzittì tutt’a un tratto, e la donna parlò rapidamente in un microfono grande quanto la capocchia di uno spillo. Il suo volto sparì dallo schermo, e fu sostituito dalla faccia incisa da profonde rughe di un vecchio. I indsay intravide solo per un istante il vero aspetto dell’uomo (capelli bianchi irti e scarmigliati, occhi cerchiati di rosso) prima che il programma di videocosmesi venisse inserito in linea. Il programma si precipitò nello schermo ad una linea di scansione per volta, sottilmente lisciando, cancellando e colorando.