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I ragazzi non fecero obiezioni. Gridando e saltando, si avviarono giù per il pendio, fermandosi di tanto in tanto ad aspettare che lei li raggiungesse.

La discesa fu molto più difficile della salita: la forza di gravità era leggermente inferiore a quella della Terra. Elena era in perfette condizioni fisiche, aveva trent’anni ed era molto forte, ma il sentiero della montagna era scavato con un’inclinazione spaventosa. La salita aveva richiesto soltanto energia, cosa che lei aveva in abbondanza. La discesa le imponeva uno sforzo continuo di reni. Arrivarono ai piedi della montagna, e presto si trovarono a camminare sul terreno ondulato della valle. Comparvero le prime case. I fuochi per la cena erano già stati accesi. Presto Elena, al posto dei venti ragazzi che l’avevano accompagnata in cima alla montagna, venne a trovarsi circondata da cinquanta, cento, centocinquanta ragazzi, che la salutarono con acute grida di gioia, le si strinsero attorno, e le sfiorarono il corpo nudo con le mani.

Le era stato abbastanza facile abituarsi a circolare nuda, però non si era ancora abituata a vedere tanti bambini. Sulla Terra, dove le nascite venivano rigidamente controllate, i bambini si vedevano di rado. Su quel pianeta, il controllo delle nascite era sconosciuto, e, per di più, tra la razza indigena i parti plurimi erano normali. Elena non aveva mai sentito dire che una donna di quel pianeta avesse dato alla luce meno di tre gemelli. Anche sei e sette gemelli non erano una grande rarità. E i bambini prosperavano. L’aria era calda e pura, la valle fertile, e il lago dava pesce in abbondanza.

Con grida gioiose, i ragazzi accompagnarono Elena fino alla Divisione delle Vie.

Quello era un popolo unito, e di una sola cultura. Tuttavia, i tre villaggi erano divisi da barriere di costumi e di casta, alti quanto immense pareti. Largo, il villaggio che sorgeva nella valle, era un agglomerato agricolo; Hulgo, ai piedi del vulcano, era un villaggio di artigiani e di vasai; Gilgo, il villaggio sul pendio, era abitato dai lavoratori incaricati dei lavori pesanti, dai boscaioli, e dai costruttori di canoe. Elena non vedeva una ragione plausibile per questa divisione arbitraria, se non quella di dare agli abitanti dell’isola una struttura esogamica. Un uomo di Gilgo sposava una donna di Largo o di Hulgo. Nessuno sposava mai una donna del proprio villaggio. Questo creava una continua mescolanza delle popolazioni. Ma, a parte i matrimoni, c’erano pochissimi contatti tra gli abitanti di un villaggio e l’altro.

Haugan, il capo dei tre villaggi, abitava nella parte alta di Gilgo. Governava i due villaggi più bassi tramite incaricati. Non c’era molto da fare, tranne il proclamare le celebrazioni e le feste, e amministrare occasionalmente la giustizia. Elena prese la strada per Gilgo, seguita da Vondik, Markun e da pochi altri ragazzi. Sull’isola era discesa un’oscurità umida. Elena cominciava a sentire la stanchezza. Respirava a fatica e sentiva la pelle appiccicosa. Si appoggiò pesantemente al bastone che Vondik le aveva tagliato. Quando entrarono in Gilgo, Elena si fermò a riposare: era soltanto una bionda donna della Terra, esile e nuda, lontana da casa, avvolta in un mantello di preoccupazioni e di umidità.

Guardò verso l’alto, verso la vetta fumante visibile attraverso le piante. Una gigantesca nuvola, orlata da una continua accensione di lampi, sovrastava il picco. A Elena parve che il brontolio sotterraneo si fosse fatto più forte ed ebbe l’impressione che l’aria fosse piena di minuscole particelle di cenere. Si sentì il corpo sudicio, ma passandosi le dita sul petto non si produsse quelle striature che si era aspettata. Riprese a camminare in fretta, avviandosi verso la grande capanna che divideva con Haugan.

Il re le venne incontro e l’abbracciò solennemente.

«Cos’hai visto?»

«Fuoco, fumo e lampi. Haugan, sta per verificarsi una eruzione.»

«Non ancora, non ancora. La cena è pronta.»

La fece entrare. Era più alto di lei… Era l’uomo più alto di tutto il villaggio, come si conveniva, e si muoveva con grazia che la faceva sempre sentire in stato di inferiorità in sua presenza. Malgrado fosse così diverso da lei, Elena gli aveva sempre risposto in un immediato modo fisico, fin dal giorno in cui era arrivata su quel pianeta, spintavi dal suo sciocco desiderio di cercare la verità sugli altri pianeti. Non aveva immaginato di poter diventare la moglie di un extraterrestre.

Certo, Haugan non era molto diverso da un uomo. Aveva troppe dita e troppe articolazioni, la sua pelle era strana e gli occhi erano tutta pupilla; non aveva né capelli né unghie, e lei non riusciva a immaginare come fossero gli organi interni; tuttavia, la conformazione generale del suo corpo era umana. L’evoluzione, rispetto alle specie mammifere dominanti, era arrivata alle identiche conclusioni della Terra. Haugan si teneva eretto, due delle sue quattro membra erano adibite alla deambulazione e due alla prensione e manipolazione degli oggetti; aveva la fronte, gli occhi e i denti sullo stesso piano facciale, e, nell’atto sessuale, si comportava esattamente come gli umani. Elena aveva smesso di considerarlo “diverso”.

Si sdraiarono sul giaciglio.

La cena, composta di carne in umido, vino verde e vegetale, venne servita in silenzio da Leegar, una serva di Haugan. Leegar era al sesto mese di una nuova gravidanza! Haugan logicamente era il padre. Era una prerogativa del capo, quella di poter prendere delle concubine. La ragazza era riservata, ma lasciava trasparire una certa spavalderia. Nel mettere il piatto di fronte a Elena sorrise. “Tu puoi essere la moglie del re” parve dire Leegar “ma io faccio i suoi figli.”

Elena non si era ancora completamente abituata alla vista delle donne con la tripla fila di seni che partivano dal collo e arrivavano all’ombelico. Era una cosa naturale, considerando il fatto che quelle donne avevano sempre parti multipli, tuttavia a Elena sembrava una cosa indicibilmente strana, superiore alle stranezze del corpo di Haugan. Quella sensazione sembrava reciproca. Di notte, quando erano coricati uno accanto all’altro, le mani di Haugan si fermavano spesso sul suo ventre piatto, quasi in continua meraviglia per la mancanza dei seni inferiori.

«Non hai fame?» domandò Haugan.

«Il vulcano mi ha fatto paura, Haugan.»

«Dio ci manda tutte le benedizioni. Siamo preparati a tutto ciò che può succedere.»

«Ma io l’ho visto chiaramente» disse Elena. «Sembra una pentola in ebollizione. Da un momento all’altro ci può seppellire nella lava.»

«I sacerdoti lo stanno osservando. La lava non verrà per diversi giorni ancora.»

«Diversi giorni! Ma…»

Esitò. Spesso si era trovata a dargli spiegazioni, scivolando nel ruolo dell’intelligente donna della Terra che narra cosa sia l’universo. Ma lei odiava quella rappresentazione di se stessa. Quello era il suo mondo, la sua isola, il suo reame. Ed era stupido immaginare di essere superiore ad Haugan per il semplice fatto che la civiltà terrestre possedeva scafi interstellari, mentre quella gente fabbricava ancora vasi di terracotta.

«Che cosa consigli?» domandò Haugan con calma.

«Non so. Mi sembra logico…»

«Cosa?»

«Cominciare l’evacuazione dei tre villaggi e far spostare tutti sull’altra montagna. Non restiamo fermi qui, sotto il cratere, in attesa di essere uccisi.»

«C’è tempo per l’evacuazione.»

«Haugan, ci sono migliaia di persone… gli animali domestici, gli utensili, i mobili…»

«Non ce ne dovremo andare tanto in fretta.»

Haugan le versò del vino. Elena bevve e si sentì stordita. Haugan continuava a rimanere calmo… spaventosamente calmo. Sembrava una roccia, salda, sicura della sua posizione. In tutte le sue decisioni, dal giudicare una disputa di paternità, al dare l’ordine di evacuare la zona minacciata dall’eruzione, Haugan dimostrava sempre l’antica impassibilità e l’identica sicurezza. Un vero re.