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Quando ebbero finito di mangiare, uscirono a passeggio nel villaggio, re e consorte, salutati da tutti. Da un promontorio sul versante orientale, osservarono il vulcano che si ergeva sopra di loro. La nuvola di fumo era diventata molto più grande, come la fontana di fiamme che uscivano dal centro del cono di cenere. Ora sembrava che l’inclinazione della “candela” fosse cambiata e piegasse verso ovest. Elena vide i riflessi rossi allungarsi come un ponte sulle acque scure del Lago Muuk. Di tanto in tanto, sopra di loro avvenivano delle piccole esplosioni. Zampilli di vapore e di materia nera venivano lanciati verso l’alto e ricadevano a terra. Nell’aria c’era un forte puzzo di bruciato. Elena si guardò un braccio e vide che un sottile strato di cenere le ricopriva la peluria bionda. Lo mostrò ad Haugan, e Haugan le accarezzò il corpo.

«Tu sei ricoperta di peluria morbidissima» disse. «Non solo qui, o qui, o qui. A parte alcuni punti, il tuo corpo è ricoperto di peluria meravigliosa.»

«Haugan, questo lo sapevi già. Io volevo farti vedere la cenere. L’aria ne è piena.»

«Sì. E peggiorerà ancora.»

Non sembrava preoccupato.

Più tardi, diversi anziani vennero a visitare Haugan. Il re mandò Elena dentro la capanna, e si mise a sedere con gli altri sulla soglia di casa. Parlarono per più di un’ora. Elena non riuscì a capire cosa stessero dicendo. I vecchi parlavano con voce roca, e Haugan rispondeva a voce bassa, ma la donna ebbe l’impressione che ci fosse tra loro un profondo disaccordo. Qualcosa detta dagli anziani aveva fatto montare in collera Haugan ed Elena lo sentì rispondere in tono secco. Alla fine, la riunione si sciolse; Haugan rientrò nella capanna, e si stese accanto a lei, sul giaciglio notturno.

«Cosa volevano?» domandò Elena.

«Parlare del vulcano. Fare dei piani.»

Elena si sollevò di scatto.

«Haugan, pensano che io sia la causa di questa eruzione?»

«Tu? Perché mai dovrebbe essere colpa tua?»

«Il re ha preso la moglie di un altro mondo. Forse pensano che sia un peccato e che porti la distruzione.»

«Se avessero pensato che era peccato, non avrebbero permesso il matrimonio.»

«So che diversi tuoi sudditi sono stati contrari.»

«Elena, tu sai che dobbiamo prendere la moglie in un altro villaggio. È la regola.»

«In un altro villaggio, sì. Ma tu ti sei preso una donna di un altro mondo…»

«Ti metti in testa delle idee sbagliate» disse Haugan. «È una convinzione del tuo pianeta, quella di pensare che sia un male unirsi con una straniera? Da noi, è una cosa accettabile. Anche necessaria. Più stranieri sono, meglio è. E tu sei la più straniera possibile. Nessuno ti ritiene responsabile del fuoco che brucia in cima alla montagna. Te lo giuro.»

Elena non fu soddisfatta. Per qualche oscura ragione era convinta che i vecchi sacerdoti la ritenessero la causa dell’imminente disastro. Benché nessuno avesse mai fatto cenno a una cosa del genere, lei non riusciva a scuotersi di dosso quella spiacevole sensazione. Le era facile pensare in termini antropologici. In quel luogo, lo scambio esogamico delle donne aveva per lei lo stesso significato del passaggio di messaggi inespressi tra gruppi tribali. Le donne che incarnavano questi silenziosi messaggi erano unità con un significato economico, biologico e simbolico che serviva a mantenere coerente e dinamica la struttura generale della società isolana. Haugan l’aveva fatta entrare in quella struttura. Ma quale poteva essere il messaggio che lei aveva portato, se non morte e distruzione? Gli abitanti dell’isola non sposavano le donne della terra ferma, nonostante la regola dell’esogamia. Non poteva rappresentare una violazione il fatto che Haugan avesse sposato una straniera? Elena non riusciva a scacciare quel senso di colpa.

Al mattino il cataclisma non era ancora arrivato, ma era molto prossimo. Ora il vulcano eruttava vapori e cenere a intervalli regolari. Una sottile nuvola di vapore si era distesa sopra tutta la superficie del lago. In cima al vulcano il cono di cenere sembrava essere aumentato una dozzina di metri dal pomeriggio del giorno prima. Si alzava minacciosamente più alto dalla parte del lago che non verso la valle. Verso mezzogiorno, una nuova scossa fece crollare la parte più alta, dando al cono la forma di uno zoccolo di cavallo. Una cascata di sassi divenne una frana che si andò a fermare al margine superiore della foresta. La foresta stessa era ricoperta da uno strato di cenere, e a ogni soffio di vento la cenere volava lontano fino al villaggio.

Tra la gente dei villaggi del Golden River, la vita sembrava continuare nel modo normale.

Gli uomini tagliavano i tronchi per trasformarli in canoe; le donne allattavano i bambini; i ragazzi giocavano. Nel villaggio della valle si continuava il raccolto. Nessuno sembrava allarmato. Haugan rimase assente per quasi tutto il giorno a conferire con i sacerdoti e con gli anziani nelle capanne che si trovavano nella parte superiore del villaggio. Elena si aspettò che da un momento all’altro venisse dato l’ordine di sgombero. Ma l’ordine non venne dato.

Quel giorno l’oscurità scese molto prima. Il cielo era tanto coperto di ceneri da non permettere il passaggio degli ultimi raggi di sole.

Ci fu una festa, quella sera. Elena guardò la colonna di fuoco che sovrastava il villaggio. Le parve di sentire sulla pelle nuda il soffio dell’aria calda, simile al respiro di un mostro. Presto il vulcano avrebbe vomitato terra e sassi. Poi sarebbe sceso il fiume di lava devastante.

Quella notte Haugan rimase occupato a scrivere delle liste su fogli di corteccia. Non ebbe tempo per Elena. Durante la notte svolse alcuni colloqui a bassa voce. Alla fine parve mostrare un certo senso di preoccupazione; ma erano solo lui e il gruppo dei sacerdoti incartapecoriti a interessarsi delle spaventose forze del vulcano. Comunque, nessuno perdeva la calma. Elena era l’unica a provare una vera paura.

Si giunse alla terza mattina dal giorno in cui erano cominciate le scosse e i brontolii. Attraverso la cortina di cenere, il sole sembrava debole e malato. Piccole esplosioni si susseguivano alla distanza di cinque minuti una dall’altra. Un leggero strato di cenere ricopriva tutto il villaggio.

Haugan disse:

«Vieni al bagno con me, Elena.»

Lei fu felice di uscire da Gilgo e mettere la maggiore distanza possibile tra lei e il vulcano. Attraversarono i due villaggi inferiori e raggiunsero la spiaggia. Erano tutti e due sudici, anche se sul corpo levigato di lui si era fermata meno cenere che su quello di Elena. Le acque del lago erano calme. Ma quando Elena vi introdusse un piede lo ritirò di scatto.

«È bollente, Haugan!»

«Non ancora. Possiamo entrare.» Haugan avanzò fino ad avere l’acqua all’altezza dei fianchi, poi si girò per farle cenno di entrare. Elena tornò a rimettere i piedi nell’acqua. Una volta, in Giappone, aveva fatto un bagno con dell’acqua caldissima: questa aveva una temperatura più o meno uguale. Avanzò fino ad avere l’acqua ai fianchi, poi si mise in ginocchio e si immerse fino al mento. Il fango sotto i suoi piedi era voluttuosamente caldo. Haugan le venne accanto e le passò le mani sul corpo per toglierle la cenere. Lei fece altrettanto con lui. Dopo circa cinque minuti uscirono di corsa dall’acqua, perfettamente puliti. La pelle di lei aveva un insolito colore rosso. Quella di lui era immutata.

Sulla spiaggia, Elena guardò a sinistra, verso il vulcano fumante, poi girò lo sguardo a destra verso il secondo picco. Perché non c’erano villaggi su quella montagna? Non era sacra. C’erano animali, e i ragazzi andavano a scalarla, ma nessuno l’abitava. La gente del Golden River era ammassata attorno alla montagna più piccola. Elena non se ne era mai domandata la ragione. Le pendici dell’altra montagna erano ricoperte da una fitta giungla, ad eccezione della strada e della zona di antiche ceneri vicino alla vetta.