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Belle Darkin si unì a noi poco tempo dopo. Fino ad allora avevamo battuto a macchina, con un dito solo, la nostra corrispondenza su una Underwood del 1908, ma quando assumemmo Belle come stenodattilo e contabile, le comperammo una macchina da scrivere elettrica del modello più recente ed elegante. Tutto il guadagno lo impiegavamo nello «stabilimento», dove io vivevo con Pete oltre che lavorare, mentre Miles e Ricky abitavano in una baracchetta poco distante. Per difenderci, formammo una società. Ma le leggi esigevano che i soci fondatori fossero tre, e così prendemmo con noi Belle, cui affidammo una parte delle azioni, e che nominammo segretaria tesoriera. Miles era presidente e direttore generale, io direttore tecnico e presidente del comitato azionisti con il 51 per cento delle azioni.

Voglio spiegare perché avevo voluto il controllo delle azioni: semplicemente per l’innato desiderio di essere sempre il padrone di me stesso. Miles lavorava bene e io avevo fiducia in lui, ma dopo tutto io avevo messo il 60 per cento del capitale e il 100 per cento dei progetti e delle invenzioni. Miles non avrebbe mai potuto creare da solo la Domestica Perfetta, mentre io ne avrei potuto costruire a dozzine di tipo svariato e trovare altrettante dozzine di soci come lui. Devo aggiungere però che, come uomo d’affari, Miles era in gamba, mentre io non valevo niente.

Comunque, volevo avere la certezza di controllare la situazione e dare carta bianca a Miles per dimostrargli la mia fiducia. Come si vedrà, la libertà e la fiducia che gli avevo concesse risultarono eccessive.

La Domestica Perfetta, modello 1, si vendeva come il pane, e io ero immerso nel lavoro dalla mattina alla sera. Ma intanto pensavo che in una casa non ci sono soltanto i pavimenti da tenere puliti: ci sono i vetri delle finestre, e le vetrine dei negozi, e le vasche da bagno e così via. A furia di pensare e provare, scoprii che un congegno elettrostatico poteva togliere lo sporco come per magia da qualunque superficie liscia silicea. Questa fu l’embrione di Vanda Vetrina, e c’è da meravigliarsi che nessun altro ci avesse ancora pensato. Dopo averne fatto il prototipo, continuai a lavorarci intorno in modo da poterne ridurre il costo di vendita, non solo, ma da renderlo facilmente riparabile in caso di guasto. Ciò che infatti aveva contribuito a ridurre le vendite degli elettrodomestici, negli ultimi tempi, era che, più erano perfezionati, meno facile era trovare i pezzi di ricambio o l’operaio specializzato in caso di guasto. Specialmente se si guastavano di domenica. Perciò volevo mettere in vendita la mia Vanda Vetrina con tutti i pezzi di ricambio facilmente sostituibili e pronti all’uso. Miles non era di questo parere, e fu allora che scoppiò il primo litigio. Lui voleva iniziare subito le vendite, io volevo aspettare, e nessuno dei due era disposto a cedere. Poi intervenne Belle Darkin, e io cedetti perché lei mi persuase che Miles aveva ragione, e io ero già tanto cotto di lei che le avrei dato la Luna, se solo me l’avesse chiesta.

Belle non era solo una segretaria perfetta, ma aveva un aspetto che avrebbe fatto la delizia di Prassitele, ed emanava una certa fragranza che mi faceva andare in estasi. Fu probabilmente per questo che mi chiesi come fosse mai possibile, con la scarsità di brave segretarie, che una ragazza del tipo di Belle si fosse adattata a lavorare con noi.

Poco dopo aver appianato quel primo diverbio fra me e Miles, lei accettò di dividere con me le mie fortune. — Dan caro, diventerai qualcuno — dichiarò. — E io spero di appartenere alla categoria di donne adatte a un uomo come te.

— Ma certo!

— Zitto, caro… appunto perché ti apprezzo tanto non voglio sposarti subito e caricarti del peso d’una famiglia che potrebbe tarparti le ali. Voglio prima aiutarti nel lavoro, e quando sarai un industriale affermato, ci sposeremo.

Io tentai di obiettare, ma lei era decisa. — No, caro. Abbiamo davanti a noi una lunga strada. La Domestica Perfetta deve diventare potente e conosciuta come la General Electric, ma quando saremo sposati non vorrò più pensare agli affari, per potermi dedicare interamente a te e alla nostra casa. Quindi devo prima pensare al tuo benessere e al tuo avvenire. Fidati di me, caro.

E io mi fidai.

Belle non permise che le acquistassi il costoso anello di fidanzamento che avevo scelto, e allora io le cedetti una parte delle mie azioni. Fui felicissimo di farlo, naturalmente. Ripensandoci più tardi, però, non fui più molto sicuro che l’idea fosse partita da me e non da lei.

Dopo che ci fummo scambiati la promessa, lavorai più accanitamente di prima, pensando a cestini per i rifiuti che si sarebbero vuotati da soli, e a una macchina che riponesse i piatti dopo averli lavati e asciugati… Tutti erano felici, eccetto Pete e Ricky. Pete ignorava Belle, come aveva sempre ignorato tutto quello che disapprovava ma che non era in suo potere cambiare. Ma Ricky era davvero profondamente infelice.

La colpa era mia, bisogna dirlo. Fin da quando aveva sei anni, a Sandia, Ricky era stata «la mia ragazza» e io le avevo «promesso di sposarla» non appena sarebbe diventata grande. Allora avremmo vissuto insieme noi tre: io, lei e Pete. E adesso come spiegarle che era stato tutto uno scherzo?

Io non ho molta passione per i bambini. In genere li considero esseri che non diventano civili se non quando sono cresciuti, e neanche allora, qualche volta. Ma la piccola Federica mi ricordava la mia povera sorellina, e per di più amava Pete e sapeva come trattarlo. Io credo che lei mi volesse bene soprattutto perché la trattavo da adulta, senza quei vezzeggiativi e quelle moine che di solito gli adulti si sentono in dovere di prodigare ai bambini. Quanto a lei era un tipino serio, pieno di dignità. All’epoca del mio fidanzamento con Belle aveva circa undici anni, e odiava Belle con una intensità di cui credevo d’essere il solo ad accorgermi.

Decisi perciò di mettere le cose in chiaro. Avete mai provato a far parlare un adolescente di qualcosa che si rifiuta di prendere in considerazione? Vi assicuro che restereste più soddisfatti se rivolgeste la parola all’eco del Gran Canyon. Finii così col mettermi il cuore in pace, pensando che Ricky avrebbe cambiato idea non appena si fosse resa conto di quanto Belle fosse cara.

Pete era un altro paio di maniche, e se io non fossi stato tanto innamorato avrei visto nel suo comportamento un chiaro segno che io e Belle non ci saremmo mai potuti capire. A Belle il mio gatto «piaceva», certo, certo! Asseriva di adorare i gatti come adorava la mia «piazzetta» in cima alla testa e ammirava tutto quello che facevo e dicevo. Ma è difficile ingannare un gatto. Ci sono persone portate per i gatti e altre che, per quanto si sforzino, non li possono soffrire. E se cercano di fingere, si tradiscono, perché non sanno come vanno trattate quelle bestie. Il protocollo gattesco è più severo di quello diplomatico.

È un protocollo, il loro, che si basa sul rispetto individuale e reciproco, un rispetto che ha qualcosa della dignitad de hombre dei sudamericani, e che si rischia la vita a offenderlo.

I gatti non hanno senso dell’umorismo, sono tremendamente egocentrici, e altrettanto permalosi. Se qualcuno, a questo punto, mi chiedesse perché mai uno debba perdere tanto tempo per loro, sarei costretto a rispondere che non c’è alcun motivo logico. Sarebbe lo stesso che chiedere a qualcuno che ama i formaggi piccanti perché gli piace proprio il pecorino. Ciononostante ho molta simpatia per quel Mandarino che fece tagliare una manica preziosamente ricamata per potersi muovere senza disturbare il gatto che ci si era addormentato sopra.

Belle cercò di dimostrarmi che amava Pete, trattandolo… come un cane. E se ne ebbe in cambio un bel graffio. In seguito all’incidente, Pete, che è un gatto di buon senso, preferì allontanarsi per qualche tempo, intuendo che io sarei stato capace di picchiarlo per quello che aveva fatto. Infatti picchiare un gatto è peggio che inutile, perché un gatto può imparare con la pazienza, mai con la violenza.