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Gli eventi successivi si verificarono molto rapidamente, in due o tre secondi, ma Erast Petrovič ebbe la sensazione che il tempo si fosse arrestato. Riuscì a notare diverse cose, riuscì anche a pensarne tante altre, però non c’era verso gli riuscisse di muoversi, come se l’avesse ipnotizzato il riflesso di luce sulla superficie d’acciaio.

All’inizio Erast Petrovič pensò: l’ha colpito al fegato, e chissà come nella memoria saltò fuori una frase dal manuale di biologia del liceo: «Il fegato in un corpo animale è l’organo che separa il sangue dalla bile». Poi vide che Achtyrzev moriva. Prima di allora Erast Petrovič non aveva mai visto morire nessuno, ma per un qualche motivo capì subito che Achtyrzev era proprio morto. Gli occhi gli si erano fatti come di vetro, le labbra gli si erano gonfiate in modo convulso, e ne zampillava fuori un rivolo scuro di sangue color amarena. Molto lentamente e perfino, come sembrò a Fandorin, con eleganza, il funzionario estrasse la lama, che non brillava più, e si voltò piano piano verso Erast Petrovič, che si ritrovò a un passo dal suo viso: gli occhi chiari coi punti neri delle pupille, le sottili labbra esangui. Le labbra si mossero e pronunciarono distintamente: «Azazel». E a questo punto la distorsione temporale terminò, il tempo si contrasse come una molla e, riestendendosi, diede un colpo talmente bruciante a Erast Petrovič sul fianco destro, e con tanta forza, che lui cadde supino e sentì male colpendo con la nuca il bordo della balaustra dell’ingresso. Cos’è questo? Chi è questo Azazel? pensò Fandorin. Dormo, o cosa? E poi pensò ancora: Ha centrato col coltello il Lord Byron. La stecca di balena. Fianchi stretti, spalle da guerriero!

Le porte si spalancarono con un botto e sul porticato fece irruzione ridendo una compagnia rumorosa.

«Oho, signori, ma qui abbiamo la battaglia della Moscova!» gridò allegramente la voce alticcia di un mercante. «Non hanno retto, i signorini! Non sanno bere!»

Erast Petrovič si alzò reggendosi con la mano il fianco caldo e bagnato, e fece per guardare l’uomo dagli occhi bianchi.

Ma, stranamente, non c’era nessun uomo dagli occhi bianchi. Achtyrzev giaceva lì dove era caduto, bocconi di traverso ai gradini; lontano rotolava il cilindro che gli era scivolato via, mentre il funzionario era scomparso senza lasciare traccia, si era come dissolto nell’aria. E in tutta la strada non si vedeva un’anima, solo i fanali con la loro luce smunta.

Di colpo i fanali si comportarono in un modo molto strano, presero a girare, a roteare, e all’inizio diventò tutto molto luminoso, dopodiché si fece buio totale.

SESTO CAPITOLO

in cui compare l’uomo del futuro

«Statevene sdraiato, colombello mio, statevene sdraiato», disse dalla soglia Ksaverij Feofilaktovič quando tutto confuso Fandorin buttò giù le gambe dal ruvido divano. «Cosa vi ha detto il dottore? So tutto, mi sono informato. Dopo le dimissioni dall’ospedale, due settimane di regime a letto, così la ferita si rimargina come si deve e il cervello scosso torna a posto, ma voi non sono nemmeno dieci giorni che siete a letto.»

Si mise a sedere e si nettò col fazzoletto a quadretti la paonazza calvizie.

«Uff, se scotta, il sole, eccome se scotta! Vi ho portato del marzapane e delle ciliegie, se volete favorire. Dove ve le metto?»

Il commissario diede un’occhiata alla cameretta, stretta come una trincea, in cui dimorava il registratore di collegio. Non c’era dove appoggiare l’involto con i doni: sul divano stava sdraiato il padrone di casa, sulla sedia si era seduto lui stesso, sul tavolo troneggiavano pile di libri. Nella camera non c’erano altri mobili, nemmeno un armadio, e i numerosi articoli del guardaroba erano appesi a dei chiodi sulle pareti.

«Allora, vi fa male?»

«Per niente», mentì un tantino Erast Petrovič. «Per me i punti li possono togliere pure domani. Mi ha preso solo di striscio alle costole, per il resto nulla. E la testa è completamente a posto.»

«Ma no, riguardatevi un po’, tanto lo stipendio arriva lo stesso», disse Ksaverij Feofilaktovič aggrottando la fronte con aria colpevole. «Non prendetevela, mio caro, se non sono venuto a trovarvi per così tanto tempo. Chissà che brutte cose avrete pensato di questo vecchio, vi sarete detto, quando c’è da stendere il rapporto, corre subito all’ospedale, ma dopo, appena non gli servo più, nemmeno mostra il naso. Ho mandato a informarsi dal medico, ma non mi è assolutamente riuscito di venire a trovarvi. Da noi in direzione succedono tante di quelle cose, siamo indaffarati notte e giorno, parola d’onore.»Il commissario scosse il capo e abbassò confidenzialmente la voce. «Quel vostro Achtyrzev mica era uno qualsiasi, era nientemeno che il nipote prediletto di sua eccellenza il cancelliere Korčakov.»

«Cosa mi dite mai!» esclamò Fandorin.

«Suo padre è ambasciatore in Olanda, dove ha contratto seconde nozze, e a Mosca il vostro conoscente abitava dalla zia, la principessa Korčakova, nel palazzo di sua proprietà in via Goncarova. L’anno scorso la principessa ha reso l’anima, e gli ha lasciato in eredità ogni suo bene, mentre lui già dalla sua defunta madre aveva ereditato moltissimo. Oh, e sapeste che trambusto è cominciato da noi, adesso ve lo racconto. Tanto per cominciare hanno chiesto di mettere la pratica sotto il controllo personale del governatore generale, del principe Dolgorukij in persona. Ma non c’è nessuna pratica, e non si sa dove andare a parare. L’assassino a parte voi non l’ha visto nessuno. Della Bežezkaja si è persa ogni traccia, come vi avevo già detto l’altra volta. La casa è vuota. Non ci sono né servi né carte. Come cercare un ago nel pagliaio. Non si capisce chi è, non si sa da dove è arrivata. Dai documenti risulta una nobildonna di Wilna. Sono state richieste informazioni a Wilna, ma sotto quel nome non risulta nessuno. D’accordo. Mi convoca una settimana fa sua eminenza. ‘Non te la prendere, Ksaverij’, mi dice, ‘ti conosco da tanto tempo e rispetto la tua coscienziosità, ma questa faccenda non è alla tua portata. Verrà un investigatore specializzato da Pietroburgo, un funzionario con mandato particolare presso il capo dei gendarmi e il responsabile della Terza sezione di sua eccellenza illustrissima aiutante generale Mizinov Lavrentij Arkadevič.’ Capisci di che pesce si tratta? Uno dei nuovi, di quelli che non sono di estrazione nobile, un uomo del futuro. Fa tutto in modo scientifico. Un maestro per le questioni complesse, niente a che vedere con noi due», spiegò Ksaverij Feofilaktovič con un risentito colpo di tosse. «Quindi lui sarebbe un uomo del futuro, mentre io, Grušin, sono un uomo del passato. Benissimo. È arrivato di mattina, tre giorni fa. Sarebbe a dire mercoledì, il ventidue. Si chiama Ivan Franzevič Brilling, ha il rango di consigliere di Stato. A soli trent’anni! E così si comincia anche da noi. Oggi è sabato, e quello ci fa venire tutti in ufficio alle nove di mattina. E ieri fino alle undici di sera non abbiamo fatto che conferire, tracciare schemi. Vi ricordate il buffet, dove si beveva il tè? Adesso lì al posto del samovar c’è un’attrezzatura per il telegrafo e un telegrafista di servizio giorno e notte. Si può mandare un dispaccio fino a Vladivostok, anche fino a Berlino, e la risposta arriva subito. Ha liquidato metà degli agenti, si è portato dietro da Pietroburgo metà dei suoi, obbediscono solo a lui. Mi ha interrogato meticolosamente su ogni cosa e mi ha ascoltato con attenzione. Ho pensato: adesso mi manda in congedo, ma no, gli faceva ancora comodo il commissario Grušin. Io, colombello mio, ma ecco per cosa sono venuto da voi», si ricordò Ksaverij Feofilaktovič. «Vi voglio mettere sull’avviso. Aveva intenzione di venire oggi a trovarvi, intende interrogarvi di persona. Voi non confondetevi, non c’è nessuna accusa contro di voi. Siete perfino rimasto ferito nell’adempimento del dovere. E non fate sfigurare il vostro vecchio. Chi l’avrebbe mai detto, che la faccenda avrebbe preso una piega del genere?»