Erast Petrovič guardò con rammarico il suo misero abitacolo. Bella impressione avrebbe fatto al grand’uomo di Pietroburgo!
«Non sarebbe meglio se venissi io stesso in direzione? Ormai, parola d’onore, sono del tutto guarito.»
«Non ci pensate nemmeno!» rispose il commissario con un gesto del braccio. «Così capisce che vi sono venuto ad avvertire. Statevene lì buono sdraiato. Si è annotato il vostro indirizzo, verrà sicuramente oggi.»
L’uomo del futuro arrivò la sera, alle sette, ed Erast Petrovič ebbe tutto il tempo di prepararsi come si deve. Disse ad Agrafena Kondratevna che sarebbe venuto un generale, e che quindi Malaska lavasse almeno il pavimento vicino all’ingresso, levasse di torno quel baule marcio e soprattutto non le saltasse in mente di preparare la minestra di cavoli. In camera sua il ferito fece pulizia completa: appese i vestiti ai chiodi nel miglior modo possibile, spostò i libri sotto al letto, sul tavolo lasciò soltanto un romanzo francese, i Saggi filosofia di David Hume in inglese e il Diario di un investigatore parigino di Jean Debré. Poi tolse il Debré e al suo posto mise Istruzione sul corretto modo di respirare del vero bramino indiano signor Chandra Johnson, di cui si serviva ogni mattina per l’esecuzione di esercizi ginnici e per temprare lo spirito. Venga pure quel maestro di questioni complicate, venga a vedere come qui abita un uomo che, per quanto povero, non si è lasciato andare. Per sottolineare la gravità della sua ferita, Erast Petrovič mise sulla sedia accanto al divano una boccetta contenente chissà quale mistura (se la fece prestare da Agrafena Kondratevna), si sdraiò e si avvolse la testa in una sciarpa bianca. Gli sembrò di avere ottenuto quel che ci voleva: un insieme di dolore e coraggio.
Finalmente, quando ormai stare sdraiato gli era venuto spaventosamente a noia, bussarono piano piano alla porta, e subito, senza aspettare una risposta, entrò un signore energico, con una comoda giacca leggera, dei pantaloni chiari e il capo scoperto. I capelli biondicci pettinati con cura lasciavano libera la fronte alta, gli angoli della bocca volitiva erano segnati da due piccole rughe beffarde, e anche dal mento rasato, con la fossetta, spirava spigliatezza. I penetranti occhi grigi esaminarono in un attimo la camera e si fermarono su Fandorin.
«Vedo che non ho bisogno di presentarmi», disse l’ospite con allegria. «L’essenziale su di me già lo sapete, sia pure in una luce sfavorevole. Grušin si è già lamentato del telegrafo?»
Erast Petrovič sbatté gli occhi e non disse nulla in risposta.
«Questo è il metodo deduttivo, carissimo Fandorin. La ricostruzione del quadro generale in base ad alcuni piccoli dettagli. In questo la cosa principale è non esagerare, non arrivare a una conclusione inesatta, qualora i dati a disposizione ne consentano più d’una. Ma di questo parleremo più avanti, ne avremo tutto il tempo. Quanto a Grušin, è semplicissimo. La vostra padrona di casa mi si è inchinata quasi fino a terra e mi ha chiamato ‘eccellenza illustrissima’ — e uno. Io, come potete vedere, non ho affatto l’aria di un’eccellenza illustrissima, e nemmeno lo sono per il momento, perché il mio rango rientra soltanto nella categoria delle ‘vostre signorie’ — e due. Non ho parlato a nessuno salvo a Grušin della mia intenzione di venire a trovarvi — e tre. È chiaro che a proposito della mia attività il signor commissario investigativo poteva esprimersi soltanto in un modo poco lusinghiero — e quattro. Quanto al telegrafo, di cui, nelle indagini contemporanee, ne converrete, non si può assolutamente fare a meno, ha fatto in tutto il vostro dipartimento un’impressione davvero indelebile, e il nostro sonnolento Ksaverij Feofilaktovič non poteva proprio passarlo sotto silenzio — e cinque. Non è forse così?»
«Proprio così», riconobbe uno stupefatto Fandorin tradendo vergognosamente il buon Ksaverij Feofilaktovič.
«E voi ancora così giovane già soffrite di emorroidi?» chiese senza tanti complimenti l’ospite, trasferendo la miscela sul tavolo per mettersi a sedere.
«No!» esclamò Erast Petrovič avvampando e rinnegando a un tempo anche Agrafena Kondratevna. «È la mia padrona di casa che ha fatto confusione. Quella lì, vostra signoria, confonde sempre tutto. È una donna senza il benché minimo discernimento…»
«Capito. Chiamatemi Ivan Franzevič, o meglio ancora, semplicemente ‘capo’, visto che lavoreremo insieme. Ho letto il vostro rapporto», continuò Brilling senza la minima transizione. «Una cosa intelligente. Buona capacità di osservazione. Si vedono i risultati. Sono piacevolmente sorpreso del vostro intuito: nel nostro lavoro questa è la cosa più preziosa di tutte. Ancora prima di sapere come si svilupperà la situazione, è il fiuto che ci suggerisce quali misure prendere. Come avete fatto a indovinare che la visita dalla Bežezkaja avrebbe potuto rivelarsi pericolosa? Come mai avete ritenuto necessario indossare un giubbotto di sicurezza? Bravo!»
Erast Petrovič avvampò ancora più di prima.
«Sì, pensato proprio bene. Da una pallottola, certo, non protegge, ma con un’arma da taglio non è niente male. Darò ordine che acquistino una partita di quei busti per gli agenti inviati in missioni pericolose. Che marca è?»
Fandorin rispose timidamente: «Lord Byron».
«Lord Byron», ripetè Brilling, prendendo nota su un libretto rilegato in cuoio. «E adesso ditemi, quando potreste tornare al lavoro? Ho mire particolari su di voi.»
«Oddio, anche domani!» esclamò con foga Fandorin, guardando con amore il suo nuovo superiore, o per meglio dire capo. «Domani faccio una corsa dal dottore, mi tolgo i punti, e potrete contare su di me.»
«Magnifico. La vostra descrizione della Bežezkaja?»
Erast Petrovič, con un certo imbarazzo, prese a dire in modo piuttosto sconclusionato e aiutandosi con ampi gesti: «Quella è… è una donna rarissima. Una Cleopatra. Una Carmen… Una bellezza indescrivibile, ma non è nemmeno una questione di bellezza… Ha uno sguardo magnetico. No, non è nemmeno lo sguardo… Ecco la cosa principale: in lei si avverte una forza immensa. Una forza tale, che è come giocasse con tutti. È un gioco con certe sue regole incomprensibili, però crudele. Secondo me è una donna molto corrotta e al tempo stesso… del tutto innocente. Come se non l’avessero educata nell’infanzia. Non so come spiegarmi…»Fandorin arrossì, comprendendo che avrebbe detto una sciocchezza, ma concluse lo stesso: «Ho l’impressione che non sia così malvagia come vorrebbe far credere».
Il consigliere di Stato scrutò il giovane e fischiò con fare sbarazzino: «Ecco cos’è… Proprio come avevo pensato. Adesso vedo che Amalia Bežezkaja è una persona davvero pericolosa… In particolare per giovani romantici nel periodo della maturazione sessuale».
Soddisfatto dell’effetto che questo scherzo aveva prodotto sul suo interlocutore, Ivan Franzevič si alzò in piedi e si guardò intorno ancora una volta.
«Per questo buco pagate dieci rubli?»
«Dodici», rispose con sussiego Erast Petrovič.
«Una scenografia nota. Anch’io vivevo così un tempo. Quando andavo al liceo nella gloriosa città di Charkov. Io, vedete, proprio come voi, ho perso i genitori in tenera età. Ma, per la formazione della personalità questo è addirittura utile. E di stipendio avete trentacinque rubli d’argento, in base al rango?» chiese, ancora una volta senza la minima transizione, il consigliere di Stato.