La grande stanza, tutta occupata da tavoli, era in allarme. Una decina di funzionari si aggiravano su ammassi di ordinate schede bianche disposte a pile sui tavoli. Erast Petrovič ne prese uno, vide delle lettere appena distinguibili, simili a geroglifici cinesi. Proprio davanti ai suoi occhi i geroglifici scomparvero, e la scheda diventò bella pulita.
«Che diavoleria è mai questa!» esclamò il generale ansimando. «Degli inchiostri simpatici?»
«Temo, vostra eccellenza illustrissima, che sia molto peggio», disse un signore dall’aria professorale, esaminando in controluce la scheda. «Capitano, avete detto che l’archivio era conservato in qualcosa di molto simile a una camera oscura?»
«Proprio così», confermò con deferenza Belozerov.
«E non vi ricordate com’era l’illuminazione? Non c’era una luce rossa?»
«Proprio così, c’era per l’appunto una luce rossa.»
«È quello che pensavo. Ahimè, Lavrentij Arkadevič, l’archivio è perduto e ricostruirlo è impossibile.»
«Come?!» s’agitò il generale. «Non è pensabile, signor consigliere di collegio, dovete trovare una soluzione. Siete un maestro nel vostro campo, un luminare…»
«Ma non un mago, vostra eccellenza illustrissima. Evidentemente le schede sono state trattate con una soluzione speciale e ci si può lavorare solo con un’illuminazione rossa. Ormai lo strato su cui erano riportate le lettere è stato esposto alla luce. Un metodo astuto, niente da dire. Mi ci imbatto per la prima volta.»
Il generale alzò le folte sopracciglia e sbuffò con aria minacciosa. La stanza piombò nel silenzio — stava per scoppiare un temporale. Tuttavia il tuono non rimbombò.
«Andiamo, Fandorin», disse il direttore della Terza sezione a voce bassa. «Bisogna che terminiate il vostro lavoro.»
Le due ultime annotazioni in codice non riuscì a decifrarle — erano informazioni giunte l’ultimo giorno, il tredici di giugno, e Fandorin non poteva conoscerle. Era arrivato il momento di trarre delle conclusioni.
Passeggiando per il gabinetto, il vecchio generale Mizinov ragionava a voce alta: «Allora, mettiamo insieme quel poco che abbiamo. Esiste una certa organizzazione internazionale dalla denominazione convenuta di ‘Azazel’. A giudicare dal numero delle schede, che non potremo mai leggere, ne fanno parte 3854 membri. Di quarantasette di questi, o meglio quarantacinque, visto che due annotazioni non sono decifrate, sappiamo qualcosa. Tuttavia non molto, solo la nazionalità e la posizione occupata. Né il nome, né l’età, né l’indirizzo… Che altro sappiamo? I nomi di due Azazel morti: Cunningham e Brilling. Inoltre, in Inghilterra c’è Amalia Bežezkaja. Sempre che il vostro Zurov non l’abbia uccisa, che si trovi tuttora in Inghilterra, e che si chiami realmente così… ‘Azazel’ opera in modo aggressivo, non arretra davanti all’assassinio, lì c’è evidentemente un qualche scopo globale. Ma quale? Non sono massoni, perché io stesso sono membro di una loggia massonica, e non delle meno importanti. Mmmm. Fatemi la cortesia, Fandorin, questo non l’avete sentito.»
Erast Petrovič abbassò rispettosamente gli occhi.
«Nemmeno è l’Internazionale socialista», continuò Mizinov, «perché questo non è pane per i denti dei signori comunisti. E poi Brilling non poteva essere un rivoluzionario, questo lo escludo. Non importa di cosa si occupasse in segreto, ma i nichilisti il mio caro aiutante li catturava sul serio e con molto successo. Ma cosa mai si proponeva allora ‘Azazel’? È questa la cosa più importante! E non abbiamo nemmeno un appiglio. Cunningham è morto. Brilling pure. Nikolaj Krug era un semplice esecutore, una pedina. Quella canaglia di Pyžov è morto. Tutti gli agganci sono stati tagliati…»disse Lavrentij Arkadevič allargando agitato le braccia. «No, non ci capisco assolutamente nulla! Conoscevo Brilling da più di dieci anni. Ero stato io stesso a fargli fare carriera! Lo avevo scoperto io! Giudicate voi stesso, Fandorin. Quando ero governatore generale di Charkov ho organizzato ogni genere di concorso fra i ginnasiali e gli studenti, al fine di stimolare nella giovane generazione i sentimenti patriottici e la tendenza alle riforme utili. Mi presentarono un giovinetto sgraziato, smunto, un ginnasiale dell’ultima classe, che aveva scritto un tema molto pratico e appassionato su questo argomento, ‘Il futuro della Russia’. Credetemi, per spirito e biografia era un autentico Lomonosov, privo di genitori o parenti, orfano, aveva studiato senza spendere un soldo, e aveva passato subito l’esame di ammissione alla settima ginnasiale. Un puro talento naturale! Lo presi sotto la mia protezione, gli assegnai una borsa di studio, lo iscrissi all’Università di Pietroburgo, dopodiché lo presi al mio servizio e non me ne sono pentito nemmeno una volta. Era il migliore dei miei aiutanti, il mio uomo di fiducia! Aveva fatto una carriera splendida, aveva aperte tutte le strade! Che mente lucida, paradossale, che spirito di iniziativa, che efficienza! Santo cielo, e io che pensavo di dargli in sposa mia figlia!» esclamò il generale prendendosi la testa fra le mani.
Erast Petrovič, rispettando i sentimenti dell’alto superiore, osservò per delicatezza una pausa e tossicchiò.
«Vostra eccellenza illustrissima, stavo pensando… Certo, come appiglio è piccolo, però qualcosa c’è…»
Il generale scosse la testa, quasi a cacciar via inutili ricordi, e si sedette alla scrivania.
«Vi ascolto. Dite, Fandorin, dite. Nessuno conosce questa storia meglio di voi.»
«Io, ecco cosa…»disse Erast Petrovič che guardava la lista e sottolineava qualcosa con la matita. «Qui abbiamo quarantaquattro persone: due non le abbiamo indovinate, mentre il consigliere effettivo di Stato, ossia Ivan Franzevič, non conta più. Di loro almeno otto non sono così difficili da calcolare. Pensate un po’, vostra eccellenza illustrissima. Quanti direttori della difesa può avere l’imperatore del Brasile? Oppure il numero 47F — direttore di dipartimento belga, inviato l’11 giugno, ricevuto il 15. Accertare di chi si tratti sarà facile. E due. Terzo: il numero 549F — viceammiraglio della flotta francese, inviato il 15 giugno, ricevuto il 17. Quarto: numero 1007F — baronetto inglese di nuova nomina, inviato il 9 giugno, ricevuto il 10. Quinto: numero 694F, ministro portoghese, inviato il 29 maggio, ricevuto il 7 giugno.»
«Questo lasciamolo perdere», lo interruppe il generale che lo stava ascoltando con grande attenzione. «In Portogallo a maggio hanno cambiato il governo, quindi i ministri del gabinetto sono tutti nuovi.»
«Davvero?» chiese contrariato Erast Petrovič. «Va bene, allora non ne abbiamo otto, ma sette. Allora il quinto è un americano: il numero 852F, sostituto del presidente del comitato al senato, inviato il 10 giugno, ricevuto il 28, per l’appunto quando mi trovavo lì. Sesto: numero 1042F, Turchia, segretario personale del principe Abdul Hamid, inviato il 1° giugno, ricevuto il 20.»
Questa informazione interessò molto Lavrentij Arkadevič.
«Ah sì? Oh, questo è molto importante. È proprio il 1° giugno? Così. Il 30 maggio c’è stato un rivolgimento in Turchia, hanno rovesciato il sultano Abdul Aziz, e il nuovo governante Midchat pascià ha chiamato al trono Murad V. E il giorno dopo hanno già nominato per Abdul Hamid, che è il fratello minore di Murad, un nuovo segretario? Dite un po’, che fretta! Questa è una notizia di estrema importanza. Non sarà che Midchat pascià sta già facendo i suoi piani per liberarsi anche di Murad, e insediare sul trono Abdul Hamid? Eh eh… Bene, Fandorin, questa non è una faccenda alla vostra portata. Il segretario lo individuiamo in un attimo. Adesso telegrafo subito a Nikolaj Pavlovič Gnatev, il nostro ambasciatore a Costantinopoli, siamo amici di vecchia data. Ma continuate.»
«E per ultimo, il settimo: numero 1508F, Svizzera, prefetto di polizia cantonale, inviato il 25 maggio, ricevuto il 1° giugno. Calcolare gli altri sarà assai difficile, per molti perfino impossibile. Ma se si riuscisse a individuare almeno questi sette e tenerli sotto osservazione segreta…»