Da queste parole fu chiaro a Erast Petrovič che Ippolit nonostante tutto non aveva ucciso Amalia, ma l’aveva portata da qualche parte, tuttavia la menzione della Bežezkaja riaprì vecchie ferite e indebolì assai l’impressione (va riconosciuto, assai buona) fatta sul giovane dai ragionamenti della baronessa.
«La buona causa… questo certamente è notevole!» esclamò lui infervorandosi. «Ma cosa mi dite dei mezzi? A quanto pare per voi uccidere un uomo è come schiacciare una zanzara.»
«Questo non è vero!» ribatté con ardore milady. «Mi rincresce sinceramente di ciascuna delle vite perdute. Ma è impossibile ripulire le stalle di Augìa senza imbrattarsi. Ogni morto mi salva mille, un milione di altri esseri umani.»
«E chi sarebbe stato salvato da Kokorin?» chiese invelenito Erast Petrovič.
«Col denaro di questo inutile libertino io educherò per la Russia e per il mondo mille teste luminose. Non ci si può far niente, ragazzo mio, non l’ho creato io questo mondo crudele, in cui ogni cosa ha il suo prezzo. A mio parere in questo caso il prezzo è assolutamente ragionevole.»
«E la morte di Achtyrzev?»
«Tanto per cominciare, lui chiacchierava troppo. In secondo luogo, aveva troppo esasperato Amalia. E in terzo luogo, l’avete detto voi stesso a Brilling: il petrolio di Baku. Nessuno potrà impugnare il testamento scritto da Achtyrzev, è tuttora valido.»
«E il rischio di un’indagine di polizia?»
«Sciocchezze», disse milady alzando le spalle. «Io lo sapevo che il mio caro Ivan avrebbe sistemato tutto. Fin dall’infanzia si è distinto per la sua brillante mente analitica e il talento di organizzatore. Che tragedia che non ci sia più… Brilling avrebbe sistemato tutto in modo ideale, se non ci si fosse messo di mezzo un giovane gentleman cocciuto da non dirsi. Noi tutti siamo stati davvero molto, molto sfortunati.»
«Un momento, milady», la interruppe Erast Petrovič che cominciava finalmente a capire che sarebbe stato il caso di preoccuparsi. «E perché siete così franca con me? Possibile crediate davvero di potermi attirare dalla vostra parte? Non fosse per il sangue versato, sarei tutto dalla vostra parte, però i vostri sistemi…»
Lady Esther, sorridendo imperturbabile, lo interruppe: «No, amico mio, non spero di fare propaganda con voi. Purtroppo ci siamo conosciuti troppo tardi — la vostra mente, il vostro carattere, il sistema di valori morali hanno già avuto il tempo di formarsi, mutarli adesso è praticamente impossibile. Sono franca con voi per tre motivi. Prima di tutto, siete un giovane molto sensato e suscitate in me la più sincera simpatia. Non voglio che mi consideriate un mostro. In secondo luogo, avete compiuto un grosso passo falso, a venire direttamente qui dalla stazione senza informare prima i vostri superiori. E in terzo luogo, non è per caso che vi ho fatto sedere in quella scomodissima poltrona con lo schienale così stranamente ricurvo».
Fece un movimento impercettibile con la mano e dagli alti braccioli uscirono due cerchioni d’acciaio che serrarono mortalmente Fandorin alla poltrona. Senza ancora rendersi conto di quanto gli era successo, si dimenò nel tentativo di alzarsi, ma non potè compiere il benché minimo movimento, mentre le gambe della poltrona era come se avessero messo radici nel pavimento.
Milady suonò il campanello, e nello stesso istante entrò Andrew, che doveva essere rimasto a sentire dietro la porta.
«Mio ottimo Andrew, per piacere, fa’ venire al più presto il professor Blank», ordinò lady Esther. «Strada facendo spiegagli la situazione. Sì, digli anche di prendere il cloroformio. Il vetturino invece lascialo alle cure di Timofej.»Sospirò tristemente: «Non c’è altro da fare…»
Andrew si inchinò senza una parola e uscì. Nello studio regnava il silenzio: Erast Petrovič ansimava, lottando con la trappola d’acciaio e cercando di trovare il modo di prendere da dietro la schiena la Herstal sua salvatrice, sennonché quei maledetti cerchioni lo stringevano così forte che gli toccò rinunciare all’idea. Milady osservava con partecipazione i movimenti corporei del giovane, scuotendo di tanto in tanto la testa.
Ben presto risuonarono nel corridoio dei passi veloci, ed entrarono in due: il genio di fisica professor Blank e il muto Andrew.
Guardando in un lampo il prigioniero, il professore chiese in inglese: «È una cosa seria, milady?»
«Sì, piuttosto seria», sospirò lei. «Ma rimediabile. Certo, dovremo darci un po’ da fare. Non voglio ricorrere senza necessità al mezzo estremo. Così mi sono ricordata che voi, ragazzo mio, sognavate da tempo di compiere un esperimento su materiale umano. A quanto pare se ne presenta l’occasione.»
«Però non sono ancora del tutto pronto a lavorare con il cervello umano», disse Blank incerto, guardando un ammutolito Fandorin. «D’altra parte, sarebbe uno spreco farsi sfuggire questa occasione…»
«In ogni caso bisogna addormentarlo», osservò la baronessa. «Avete portato il cloroformio?»
«Sì, subito.»Il professore ne estrasse una fiala dalla tasca capace e ne impregnò abbondantemente un fazzoletto da naso. Erast Petrovič avvertì un pungente odore di medicinale e fece per ribellarsi, ma con due balzi Andrew saltò sulla poltrona e con incredibile forza agguantò il prigioniero alla gola.
«Addio, povero ragazzo», disse milady, e si voltò.
Blank si tolse dalla tasca del gilet l’orologio d’oro, lo guardò da sopra gli occhiali e serrò fermamente la faccia di Fandorin con il fragrante straccio bianco. Ecco in quale occasione tornò utile a Erast Perovič la dottrina salvifica dell’incomparabile Chandra Johnson! Il giovane non inalò l’aroma proditorio in cui non era evidentemente contenuto nessun prana. Era arrivato il momento di esercitarsi nel trattenimento del respiro.
«Un minuto sarà più che sufficiente», dichiarò lo scienziato, premendo con forza il fazzoletto sulla bocca e il naso del condannato.
E otto e nove e dieci, prese a contare mentalmente Erast Petrovič, senza dimenticare di spalancare in maniera convulsa la bocca, strabuzzare gli occhi e simulare le convulsioni. A dire il vero, se anche avesse desiderato inspirare non sarebbe stato così semplice, visto che Andrew gli premeva la gola con una morsa di ferro.
Il conto era arrivato fino a ottanta, i polmoni lottavano con le loro ultime forze contro la sete d’aria, ma l’infame straccio continuava a raffreddare con il suo liquido il viso in fiamme. Ottanta, ottantasei, ottansette, continuò Fandorin passando a una disonesta abbreviazione, cercando con le sue ultime forze di imbrogliare quel contatore di secondi insopportabilmente lento. Di colpo si rese conto che doveva smetterla di agitarsi, era già un po’ che avrebbe dovuto perdere conoscenza, e si ammorbidì, si arrestò, e per maggiore verosimiglianza allentò anche la mascella inferiore. Arrivato a novantatré Blank tolse la mano.