«Possibile! Su questo non ho il benché minimo dubbio! Sapete, milady, nelle tombe degli incas sono stati scoperti crani con aperture identiche in questo punto?» Il dito picchiò di nuovo due volte Erast Petrovič sulla testa. «Lì si trova la sezione specializzata nella paura. Gli incas lo sapevano e con l’aiuto dei loro strumenti primitivi estraevano ai ragazzi della casta guerriera la codardia, rendendo intrepidi i loro soldati. E i topi? Vi ricordate?»
«Sì, il vostro ‘topo impavido’ che si gettava sui gatti mi ha fatto una certa impressione.»
«O, questo è solo l’inizio. Immaginatevi una società priva di criminali! Un feroce assassino, un maniaco, un ladro, dopo l’arresto non vengono puniti e nemmeno inviati ai lavori forzati; ci si limita a una piccola operazione, e lo sventurato, liberato per sempre da una crudeltà patologica, da una lussuria eccessiva o da un’avidità incontrollabile, si trasforma in membro utile della società! Oppure immaginate di sottoporre uno qualsiasi dei vostri ragazzi, comunque già molto capace, alla mia elettroforesi, che può rafforzare ancora di più il suo talento?»
«Però i miei ragazzi non ve li do», tagliò corto la baronessa. «Potrebbero impazzire per eccesso di talento. Meglio che facciate i vostri esperimenti con i criminali. E cosa sarebbe questo ‘uomo purificato’?»
«Si tratta di un’operazione relativamente semplice. Credo di essere già pronto a eseguirla. Si può colpire la sezione dell’accumulo della memoria, e allora il cervello dell’uomo diventa un foglio pulito, come se vi avessero passato la gomma per cancellare. Si conservano tutte le capacità intellettuali, ma scompaiono le conoscenze e le abilità acquisite. Si ottiene un uomo tutto pulito, come fosse appena nato. Vi ricordate l’esperimento con la rana? Dopo l’operazione non sapeva più saltare, però non aveva perso i riflessi motori. Aveva disimparato a prendere i moscerini, ma il riflesso della deglutizione era rimasto. In teoria le si potrebbe insegnare tutto daccapo. Prendiamo adesso il nostro paziente… E voi due, cosa ve ne state lì a occhi spalancati? Prendetelo, mettetelo sul tavolo. Mach schnell!»
Ecco il momento, adesso! Fandorin si preparò. Però l’infame Andrew lo teneva così saldamente alle spalle, che non era nemmeno il caso di cercare di raggiungere la rivoltella. Timofej fece schioccare qualcosa, e i cerchioni d’acciaio, che opprimevano il petto del prigioniero, si staccarono.
«Uno-due, preso!» comandò Timofej, acchiappando Erast Petrovič per le gambe, mentre Andrew, che continuava a stringere altrettanto saldamente le spalle del prigioniero, lo sollevò con facilità dalla poltrona.
Lo sperimentando fu trasferito sul tavolo e posato sulla schiena, intanto Andrew continuava a reggerlo per i gomiti, e il guardaportone per le caviglie. La fondina si ficcò senza pietà nella vita di Fandorin. Si udirono di nuovo i suoni della campanella: l’intervallo era terminato.
«Dopo l’elaborazione sincronica tramite carica elettrica delle due sezioni del cervello, il paziente si ripulisce fino in fondo della sua precedente esperienza di vita e, per così dire, si trasforma in neonato. Bisognerà insegnarli tutto daccapo: a camminare, a masticare, ad andare al gabinetto, e poi a leggere, a scrivere e così via. Suppongo questo interesserà ai vostri pedagoghi, tanto più che avete già una certa idea delle inclinazioni di questo individuo.»
«Sì. Si distingue per l’ottima reattività, è audace, dotato di un pensiero logico ben sviluppato e di un’intuizione unica. Spero che sarà possibile ristabilire tutto questo.»
In circostanze diverse Erast Petrovič si sarebbe compiaciuto di una caratterizzazione così lusinghiera, ma adesso si sentì raccapricciare dall’orrore; si immaginò steso in una culletta rosa, a emettere suoni privi di senso con il ciuccio in bocca, mentre su di lui si chinava lady Esther e gli diceva con tono di rimprovero: «Uh, che cattivelli che siamo, ci siamo di nuovo bagnati!» No, meglio la morte!
«Ha le convulsioni, sir», disse Andrew aprendo per la prima volta la bocca. «Non starà rinvenendo?»
«Impossibile», tagliò corto il professore. «Il narcotico basta almeno per due ore. Leggeri movimenti convulsivi sono normali. Il pericolo, milady, è uno solo. Non ho avuto abbastanza tempo per calcolare esattamente la forza necessaria alla carica. A darne più del necessario si uccide il paziente o se ne fa un idiota permanente. Se non se ne dà abbastanza, nella corteccia si conservano vaghe immagini residuali, che sotto l’influenza di uno stimolante esterno potrebbero anche conformarsi in una reminiscenza precisa.»
Dopo un silenzio, la baronessa disse con chiaro rincrescimento: «Non possiamo correre rischi. Mandate la corrente più forte».
Si udì uno strano ronzio, e poi uno sfrigolio che mandò brividi per la pelle di Fandorin.
«Andrew, rasate due cerchietti — uno qui e l’altro qui», disse Blank, toccando i capelli del paziente. «Ne ho bisogno per attaccare gli elettrodi.»
«No, meglio che di questo si occupi Timofej», dichiarò decisa lady Esther. «Io invece esco. Non voglio vedere, sennò di notte non dormo. Andrew, tu vieni con me. Devo scrivere dei dispacci urgenti, poi me li porti al telegrafo. Bisogna prendere misure precauzionali, perché fra un po’ noteranno l’assenza del nostro amico.»
«Sì sì, milady, mi sareste solo d’impiccio», rispose distrattamente il professore, occupato con le preparazioni. «Vi comunicherò subito il risultato.»
Le tenaglie d’acciaio che stringevano i gomiti di Erast Petrovič finalmente si allentarono.
Non appena dietro la porta il rumore dei passi che si allontanavano si fu attutito fino a spegnersi, Fandorin aprì gli occhi, con uno scatto liberò le gambe e, piegate di scatto le ginocchia, diede un calcio nel petto di Timofej, così forte, che lo fece volare in un angolo. Un attimo dopo Erast Petrovič dal tavolo era già saltato giù per terra e, socchiudendo gli occhi per la luce, strappò da sotto la falda la sua Herstal segreta.
«Non un passo! Vi uccido!» sibilò con piglio vendicativo il resuscitato, e in quell’attimo, in effetti, aveva voglia di sparare a entrambi, sia a Timofej che sbatteva ottusamente gli occhi, sia al professore pazzo, che per l’incredulità era rimasto immobile con in mano due pinze d’acciaio. Da queste pinze partivano dei cavi sottili collegati a una macchina complicata, che baluginava di fiammelle. Nel laboratorio c’erano diverse cosette curiose, ma mancava il tempo di esaminarle.
Il guardaportone nemmeno cercò di alzarsi da terra e si limitò a farsi ripetuti segni di croce, ma con Blank non andò così bene. A Erast Petrovič era sembrato che lo scienziato non si fosse affatto spaventato, ma fosse solo infuriato per l’ostacolo imprevisto che poteva interrompere l’esperimento. In testa gli sfrecciò questo pensiero: adesso mi si lancia addosso! E il desiderio di uccidere si rimpicciolì, si dissolse senza lasciare traccia.
«Poche sciocchezze! Restate dove siete!» esclamò Fandorin con voce appena tremante.
In quello stesso istante Blank ruggì: «Schweinhund! Du hast alles verdorben!» e si slanciò in avanti, picchiando col fianco il bordo del tavolo.
Erast Petrovič premette il grilletto. Nulla. La sicura! Fece scattare il bottone. Premette due volte di seguito. Dadach! Scoppiò un duplice scroscio, e il professore cadde bocconi, con la testa sotto i piedi di chi gli aveva sparato.
Temendo un attacco da dietro, Fandorin si girò bruscamente, pronto a sparare ancora una volta, ma Timofej si era rannicchiato con la schiena contro al muro e con voce piagnucolosa prese a dire: «Vostra eccellenza, non uccidetemi! Non era la mia volontà! Nel nome di Cristo nostro Signore! Vostra eccellenza!»