«Come sarebbe a dire ‘non tutti’?» la interruppe Fandorin.
«Solo alcuni sono iniziati alla causa segreta, solo i più fedeli e inflessibili», spiegò milady. «Questi si prendono sulle loro spalle tutto il lavoro sporco, affinché gli altri miei bambini restino immacolati. ‘Azazel’ è il mio reparto d’avanguardia, che deve gradualmente, a poco a poco, prendere in mano il timone della direzione mondiale. Oh, come fiorirà il nostro pianeta quando avrà a capo i miei Azazel! E questo potrebbe accadere molto presto, fra una ventina d’anni… Gli altri allievi dell’esthernato, quelli che non sono iniziati nel segreto di ‘Azazel’, entrano semplicemente nella vita seguendo la loro strada, portando all’umanità un vantaggio inestimabile. E io mi limito a seguire i loro successi, mi rallegro delle loro conquiste e so che, in caso di necessità, nessuno di loro negherà un aiuto alla loro madre. Ah, cosa ne sarebbe di loro senza di me? Cosa ne sarebbe del mondo? Ma fa niente, ‘Azazel’ è vivo e porterà la mia missione fino in fondo.»
Erast Petrovič si agitò: «Li ho visti io i vostri Azazel, i vostri ‘fedeli e inflessibili’! Morbid e Franz, Andrew e quello con gli occhi di pesce, che ha ammazzato Achtyrzev! Sono loro la vostra guardia, milady? Sono loro i più degni?»
«Non solo loro. Ma anche loro. Ricordatevi, amico mio, vi ho detto che non a ciascuno dei miei bambini è dato trovare la propria strada nel mondo contemporaneo, perché hanno un talento che appartiene a un remoto passato oppure che si rivelerà necessario in un lontano futuro? Avviene questo, che da allievi del genere si ottengono i più fedeli e devoti esecutori. Alcuni dei miei bambini sono il cervello, altri le braccia. Mentre l’uomo che ha fatto fuori Achtyrzev, non era uno dei miei figli. Era un nostro alleato momentaneo.»
Le dita della baronessa accarezzarono distrattamente la superficie lucida della scatola, dopodiché premettero come per caso un piccolo bottone tondo.
«È tutto, caro giovane. Ci restano ancora due minuti. Daremo addio alla vita insieme. Purtroppo non posso lasciarvi fra i vivi. Danneggereste i miei figli.»
«Che cos’è questo?» gridò Fandorin, e afferrò la scatola, che risultò assai pesante. «Una bomba?»
«Sì», gli sorrise partecipe lady Esther. «Un meccanismo a orologeria. L’invenzione di uno dei miei ragazzi di talento. Scatolette del genere ce ne sono a trenta secondi, a due ore, perfino a dodici ore. Non è possibile aprirle per arrestarne il meccanismo. Questa mina è calcolata a centoventi secondi. Io perirò insieme al mio archivio. La mia vita è finita, ma quanto sono riuscita a realizzare non è poi così poco. La mia missione continuerà, e si ricorderanno ancora di me con una buona parola.»
Erast Petrovič provò a sollevare il bottone con le unghie, ma non ottenne nulla. Allora si gettò verso la porta e prese a palparla con le dita, a batterla coi pugni. Il sangue gli pulsava nelle orecchie mentre contava il battito del tempo.
«Lizanka!» gemette disperato Fandorin ormai perduto. «Milady! Non voglio morire! Sono giovane! Sono innamorato!»
Lady Esther lo guardò con compassione. In lei stava chiaramente avvenendo una lotta.
«Promettetemi che la caccia ai miei bambini non diventerà lo scopo della vostra vita», gli disse a voce bassa, guardando Erast Petrovič negli occhi.
«Lo giuro!» esclamò lui, pronto in quel momento a promettere qualsiasi cosa.
Dopo una pausa tormentosa, infinitamente lunga, milady si rischiarò in un sorriso morbido, materno: «D’accordo. Vivete, ragazzo mio. Ma sbrigatevi, avete quaranta secondi».
Infilò la mano sotto il tavolo, e la porta di rame si aprì dall’interno cigolando.
Lanciando un’ultima occhiata all’immobile donna canuta e facendo tremolare la fiamma della candela, Fandorin con un balzo enorme si gettò nel buio corridoio. Per lo slancio picchiò contro la parete, a quattro zampe salì le scale, con uno scatto si raddrizzò e in due salti attraversò lo studio.
Dieci secondi dopo le porte di quercia dell’annesso per poco non schizzarono via dai cardini per la spinta potente mentre un giovane dal viso stravolto volava a rotta di collo per la gradinata. Attraversò la tranquilla strada ombrosa fino all’angolo e solo lì si fermò, respirando a fatica. Si guardò alle spalle, restò immobile.
I secondi passavano, ma non accadeva nulla. Il sole indorava benignamente le chiome dei pioppi, su una panchina sonnecchiava un gatto rosso, da qualche parte nel cortile chiocciavano delle galline.
Erast Petrovič si portò le mani al cuore che picchiava selvaggiamente. Lo aveva ingannato! Lo aveva menato per il naso come un ragazzino! Mentre lei era uscita dal passaggio segreto!
Urlò di rabbia impotente, e dall’annesso, come a rispondergli, gli fece eco un identico ruggito. Le pareti tremarono, il tetto oscillò in modo appena percettibile, e da qualche parte da sotto terra si udì il boato sotterraneo di un’esplosione.
ULTIMO CAPITOLO
Provate a chiedere a un residente qualsiasi dell’antica capitale russa quale sia il momento migliore per convolare a legittime nozze, e di sicuro vi sentirete rispondere che un uomo solido e serio, il quale desideri fin dall’inizio porre la sua vita di famiglia su solide basi, si sposa immancabilmente di settembre, verso la fine del mese, perché questo periodo si addice nel più ideale dei modi a levare gli ormeggi per un viaggio lungo e tranquillo sulle onde del mare oceano della vita. Il settembre moscovita è sazio e pigro, ornato di broccato dorato e colorito del porporino degli aceri, come la moglie in ghingheri di un mercante d’oltremoscova. Se ci si sposa l’ultima domenica di settembre, il cielo sarà immancabilmente pulito, ceruleo, mentre il sole brillerà con costanza e dolcezza; allo sposo non toccherà sudare nel duro colletto inamidato e l’attillato frac nero, né alla sposa morire di freddo in quel biancume di tulle magico, aereo, che nemmeno ha un nome che gli si addica.
Scegliere la chiesa per la celebrazione del rito richiede tutta una scienza a sé. La scelta nella città dalle cupole d’oro è ampia, grazie a Dio, ma proprio per questo di re sponsabilità ancora maggiore. Un vero moscovita sa che va bene sposarsi in via Sretenka, nella chiesa della Dormizione nel quartiere dei tipografi: gli sposi vivranno a lungo e moriranno lo stesso giorno. Per ottenere una figliolanza numerosa la più adatta di tutte è la chiesa di San Nicola alla Croce Grande, che a Kitajgorod forma un quartiere a sé stante. Chi tiene soprattutto a un rifugio tranquillo e alla vita domestica sceglierà la chiesa del Santo Pimen a Starye Vorotniki. Se lo sposo è un militare, ma preferisce porre fine ai suoi giorni non sul campo di battaglia, bensì vicino al focolare di famiglia, nella cerchia della prole e dei domestici, la cosa più sensata di tutte è che pronunci il voto nuziale nella chiesa di San Giorgio in Vspole. E, naturalmente, nessuna madre amorevole permetterà alla figlia di sposarsi alla Varvarka, nella chiesa di Santa Barbara grande martire, perché poi la poveretta passerebbe tutta la vita nei tormenti e nelle sofferenze.
Ma le persone note e d’alto rango non hanno molta libertà di scelta, perché la chiesa deve essere imponente e spaziosa, altrimenti non ci sarà posto per ospiti che rappresentano il fior fiore della società moscovita. E alle nozze, concluse nella cattedrale di San Giovanni Crisostomo, cerimoniosa e pomposa, si era infatti radunato il tout Moscou. I fannulloni che spingevano all’ingresso, dove si erano disposti in fila interminabile gli equipaggi, indicavano la carrozza del governatore generale in corpo e anima, il principe Vladimir Andreevič Dolgorukij, cosa questa che stava a indicare la celebrazione di una cerimonia ai massimi livelli.