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In chiesa lasciavano entrare solo su invito personale, eppure vi si trovavano lo stesso duecento e più invitati. Si scorgevano numerose uniformi scintillanti, sia militari che civili, molti vestiti femminili sontuosi e acconciature alte, nastri, stelle, brillanti. Avevano acceso tutti i lampadari e le candele, la celebrazione del rito era iniziata da tempo, e gli invitati erano stanchi. Tutte le donne, indipendentemente dall’età e dalla condizione familiare, si sentivano emozionate e commosse, mentre gli uomini si annoiavano notevolmente e chiacchieravano d’altro a voce bassa. Degli sposi avevano già finito di ciangottare. Il padre della sposa, il consigliere segreto effettivo Aleksandr Apollodorovič von Evert-Kolokolzev, lo conosceva tutta Mosca, la graziosa Elizaveta Aleksandrovna era stata vista ripetutamente ai balli: aveva debuttato già l’anno prima, per questo al centro della curiosità generale c’era lo sposo, Erast Petrovič Fandorin. Di lui si sapeva poco: uno della capitale, passava da Mosca per brevi visite, per faccende importanti, un carrierista, si aggira vicino all’altare del potere sovrano. Il rango, a dire il vero, non l’ha poi tanto elevato, ma è ancora di primo pelo e farà presto a montare in vetta. Mica uno scherzo, a un’età del genere avere già San Vladimiro all’occhiello. Il previdente Aleksandr Apollodorovič sa guardare lontano.

Le donne si intenerivano di più della verde età e della bellezza dei due giovani. Lo sposo era emozionato in modo molto toccante, ora arrossiva, ora impallidiva, aveva confuso le parole del voto; in una parola, era un tesoro. E la sposa, Lizanka Evert-Kolokolzev, sembrava davvero una creatura non terrestre, stringeva il cuore a guardarla. E quel vestito bianco che pareva una nuvola, e quel velo incorporeo, e la coroncina di rose di Sassonia, ogni particolare era proprio come bisognava che fosse. Quando gli sposi bevvero il vino rosso dalla coppa e si scambiarono il bacio, la sposa non si confuse affatto, anzi, sorrise allegramente e sussurrò allo sposo qualcosa che fece sorridere anche lui.

Ed ecco cosa aveva sussurrato Lizanka a Erast Petrovič: «La povera Liza ha cambiato idea, invece di affogarsi si è sposata».

Per tutto il giorno Erast Petrovič si era spaventosamente tormentato dell’attenzione generale e della sua completa dipendenza dagli altri. Si erano fatti vivi moltissimi compagni del ginnasio e «vecchi amici» di suo padre (i quali nel corso dell’ultimo periodo erano stati come inghiottiti dalla terra, e adesso se ne rispuntavano fuori). Prima portarono Fandorin al pranzo d’addio al celibato alla trattoria Praga sull’Arbat, dove non fecero che darsi gomitate, ammiccare e chissà perché esprimere le loro condoglianze. Poi lo riportarono in albergo, venne il parrucchiere Pierre che gli tirò i capelli fino a fargli male, arricciandoli in un ciuffo sontuoso. Non poteva vedere Lizanka fino alla cerimonia in chiesa, e anche questo era un tormento. Tre giorni dopo il suo arrivo da Pietroburgo, dove adesso lo sposo prestava servizio, quasi non aveva visto la fidanzata: Lizanka era sempre occupata con gli importanti preparativi nuziali.

Poi, paonazzo dopo il pranzo d’addio al celibato, Ksaverij Feofilaktovič Grušin, in frac e con il nastro bianco del compare di matrimonio, aveva fatto sedere lo sposo nella carrozza scoperta e lo aveva portato in chiesa. Erast Petrovič aspettava la sposa sui gradini, intanto dalla folla gli gridarono qualcosa, una signorina gli gettò una rosa graffiandogli la guancia. Finalmente portarono Lizanka, che quasi non si vedeva da sotto le onde di tessuto trasparente. Si misero fianco a fianco di fronte al badalone, il coro cantava, il sacerdote diceva: «Dio tu che sei misericordioso e amante dell’uomo» e qualcos’altro ancora, si scambiarono gli anelli, calpestarono il tappetino rituale, e poi Lizanka disse della povera Liza, e allora Erast Petrovič tutto a un tratto si calmò, si guardò intorno, vide le facce, vide l’alta cupola della chiesa, e si sentì bene.

Si sentì bene anche dopo, quando vennero tutti a congratularsi, in modo molto sincero e sentito. Soprattutto gli piacque il governatore generale Vladimir Andreevič Dolgorukij, così grassottello, amabile, con quella bella faccia tonda e i baffi spioventi. Disse di aver udito cose molto lusinghiere sul conto di Erast Petrovič e gli augurava con tutta l’anima un matrimonio felice.

Uscirono sulla piazza, tutt’intorno gridavano, ma non si vedeva bene perché il sole brillava molto luminoso.

Salì con Lizanka sulla carrozza scoperta, c’era fragranza di fiori.

Lizanka si sfilò il lungo guanto bianco e strinse forte il braccio di Erast Petrovič. Furtivamente lui avvicinò il viso al velo di lei e inspirò velocemente l’aroma dei capelli, del profumo e della calda pelle. In quell’attimo (stavano attraversando la porta San Nikita) l’occhio di Fandorin cadde per caso sul sagrato della chiesa dell’Ascensione, e fu come se una fredda mano gli serrasse il cuore.

Fandorin vide due ragazzini di otto-nove anni in lacere uniformi azzurre. Stavano a sedere con aria smarrita fra i mendicanti e cantilenavano con vocine sottili qualcosa di lamentoso. Allungando il collo, i piccoli accattoni accompagnarono curiosi con lo sguardo il sontuoso corteo nuziale.

«Che ti succede, caro?» chiese spaventata Lizanka nel vedere come era impallidito il marito.

Fandorin non rispose.

La perquisizione nella cantina segreta dell’annesso dell’esthernato non diede risultato alcuno. La bomba, di costruzione ignota, aveva prodotto un’esplosione potente, compatta, che quasi non aveva danneggiato l’edificio, mentre aveva completamente distrutto i sotterranei. Dell’archivio non era rimasta traccia. Di lady Esther nemmeno, a meno di considerare un frammento del suo vestito di seta.

Rimasto privo della direttrice e della fonte di finanziamento, il sistema internazionale degli esthernati si sfasciò. In alcuni paesi gli orfanotrofi passarono all’amministrazione dello Stato o di società caritatevoli, ma la parte principale dell’istituzione smise semplicemente di esistere. In ogni caso, entrambi gli esthernati russi furono chiusi per disposizione del ministero dell’Educazione popolare in quanto semenzai di ateismo e idee perniciose. Gli insegnanti partirono, i bambini per lo più si dispersero.

In base all’elenco sequestrato in casa di Cunningham fu possibile identificare diciotto ex allievi dell’esthernato, ma non era poi molto, visto che era impossibile stabilire chi di loro facesse parte dell’organizzazione ‘Azazel’, e chi no. Ciononostante cinque rassegnarono le dimissioni (fra questi il ministro portoghese), due si uccisero, mentre uno (la guardia imperiale brasiliana) fu perfino giustiziato. Una vasta inchiesta internazionale scoprì una quantità di persone tutte in vista e rispettabili, che avevano a loro tempo frequentato gli esthernati. Molti di loro non lo nascondevano affatto, fieri com’erano dell’educazione ricevutavi. È vero che alcuni dei «fanciulli di lady Esther» preferirono nascondersi, sottrarsi all’attenzione insistente della polizia e dei servizi segreti, ma la maggior parte restò al suo posto, tanto non li si poteva accusare di nulla. Tuttavia a partire da quel momento l’accesso alle responsabilità superiori dello Stato venne loro sbarrato, e al momento di nominare ai posti più elevati ripresero, come ai tempi feudali, a rivolgere una attenzione particolare all’estrazione e all’albero genealogico — Dio non voglia che si arrampichi in vetta un qualche «trovatello» (con questo termine battezzarono negli ambienti competenti i pupilli di lady Esther). Del resto il vasto pubblico non si accorse che era stata compiuta una purga, in quanto erano state prese misure precauzionali e segrete scrupolosamente concordate fra i governi. Per un certo periodo circolarono voci circa un complotto internazionale vuoi di massoni, vuoi di ebrei, vuoi degli uni e degli altri messi insieme, e fu fatto il nome del signor Disraeli, ma poi in un qualche modo fu messo tutto a tacere, tanto più che nei Balcani era maturata una crisi da non prendersi alla leggera, che aveva reso febbrile l’intera Europa.