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«Domani vi dirò cosa vedemmo quando giungemmo in Kemet. Fino ad allora, riposate al sicuro nelle viscere della montagna. Tutti voi. Ho nascosto i miei segreti agli occhi curiosi dei mortali per innumerevoli anni. Ricordate che neppure la regina può farci del male fino al calar della notte.»

Marius si alzò contemporaneamente a Maharet, andò alla finestra mentre gli altri lasciavano la stanza. Era come se la voce di Maharet continuasse a parlargli. E ciò che lo colpiva più profondamente era l’evocazione di Akasha e l’odio che Maharet provava per lei, perché anche Marius sentiva quell’odio, e sentiva più forte che mai che avrebbe dovuto porre fine all’incubo finché aveva avuto il potere di farlo.

Ma la donna dai capelli rossi non avrebbe desiderato che ciò accadesse. Nessuno di loro voleva finire per sempre, come non lo voleva lui e come non lo voleva nessun altro immortale che aveva conosciuto.

Eppure il racconto di Maharet sembrava confermare l’inutilità disperata di tutto. Che cosa s’era ridestato quando la regina s’era alzata dal trono? Chi era l’essere che aveva in suo potere Lestat? Non riusciva a immaginarlo.

Noi cambiamo ma non cambiamo, pensò. Diventiamo saggi ma, allo stesso tempo possiamo sbagliare. Siamo soltanto umani per tutto il tempo che riusciamo a resistere, e questo è il miracolo e la maledizione.

Rivide la faccia sorridente che aveva scorto mentre il ghiaccio incominciava a cedere. Era possibile che amasse ancora con la stessa intensità con cui odiava? Era possibile che nella sua grande umiliazione, la chiarezza lo avesse eluso completamente? In tutta sincerità, non lo sapeva.

All’improvviso si sentiva stanco e desiderava il sonno e il conforto, il piacere sensuale di giacere in un letto pulito, di stendersi, di affondare il volto in un cuscino e lasciare che le sue membra si componessero nella posizione più comoda e naturale.

Al di là della vetrata, una tenue luce azzurra riempiva il cielo a oriente; tuttavia le stelle conservavano il loro fulgore, per quanto fossero minuscole e distanti. I tronchi scuri delle sequoie erano diventati visibili, e un delizioso odore verde era entrato nella casa dalla foresta, come avviene sempre quando si sta avvicinando l’aurora.

Molto più in basso, dove il fianco del colle digradava e una radura di trifoglio scendeva verso il bosco, Marius vide Khayman che camminava tutto solo. Le sue mani sembravano splendere nell’oscurità bluastra; e quando si voltò per guardare in direzione di Marius, il suo viso apparve come una maschera bianchissima, priva d’occhi.

Marius aveva alzato istintivamente la mano in un gesto d’amicizia verso Khayman. E Khayman ricambiò il gesto e si addentrò in mezzo agli alberi.

Poi Marius si voltò e vide ciò che già sapeva. Soltanto Louis era rimasto con lui nella stanza. Era immobile e lo guardava come prima, come se vedesse un mito divenuto realtà.

Quindi formulò la domanda che l’ossessionava e che non riusciva ad accantonare nonostante la potenza dell’incantesimo di Maharet. «Sai se Lestat è ancora vivo o no, vero?» chiese. Il tono era umano, implorante, ma la voce era riservata.

Marius annuì. «E vivo. Ma non lo so nel modo che tu immagini. Non certo interrogando o ricevendo una risposta, o usando tutti i poteri che ci assillano. Lo so semplicemente perché lo so.»

Sorrise a Louis… C’era qualcosa nel modo di fare di quel giovane che rendeva felice Marius anche se non sapeva esattamente perché. Gli fece segno di avvicinarsi. S’incontrarono accanto al tavolo e uscirono insieme. Marius cinse con il braccio le spalle di Louis e scesero insieme la scala di ferro, nella terra umida. Marius camminava a passo pesante e lento, come avrebbe fatto un essere umano.

«E ne sei sicuro?» chiese rispettosamente Louis.

Marius si fermò. «Oh, sì, sicurissimo.» Si guardarono per un momento, e Marius sorrise di nuovo. Louis era molto dotato e nel contempo non lo era; si chiese se la luce umana sarebbe sparita dai suoi occhi, nell’eventualità che acquisisse un maggior potere e se, ad esempio, avesse avuto nelle vene un po’ del suo sangue.

D giovane era affamato e soffriva. E sembrava che gli piacessero la sofferenza e la fame.

«Lascia che ti dica qualcosa», disse garbatamente Marius. «Dal momento in cui vidi Lestat per la prima volta capii che nulla poteva ucciderlo. Credo sia così per alcuni di noi. Non possiamo morire.» Ma perché lo diceva? Lo credeva ancora, come l’aveva creduto prima dell’inizio di quelle traversie? Ripensò alla notte a San Francisco, quando aveva percorso i marciapiedi di Market Street con le mani nelle tasche, ignorato dai mortali.

«Perdonami», disse Louis, «ma tu mi ricordi ciò che dicevano di lui al Dracula’s Daughter, coloro che volevano unirsi a lui ieri notte.»

«Lo so», disse Marius. «Ma quelli sono sciocchi, e io ho ragione.» Rise sommessamente. Sì, lo credeva. Poi abbracciò di nuovo Louis, calorosamente. Un po’ di sangue e Louis avrebbe potuto essere più forte, ma avrebbe potuto perdere la tenerezza umana, la saggezza umana che nessuno poteva dare a un altro; il dono di conoscere le sofferenze altrui, che Louis aveva probabilmente fin dalla nascita.

Ma la notte era finita. Louis prese la mano di Marius, poi si voltò e si avviò lungo il corridoio dalle pareti di lamiera, verso Eric che l’attendeva per mostrargli la strada.

Marius risalì in casa.

Gli restava forse un’ora intera prima che il sole lo costringesse a dormire; e per quanto fosse stanco non era disposto a rinunciarvi. L’odore fresco e meraviglioso della foresta era irresistibile. E adesso poteva sentire gli uccelli, e il canto limpido di un ruscello profondo.

Entrò nella grande stanza della costruzione di adobe, dove il fuoco s’era consumato nel focolare centrale. Si trovò di fronte a una gigante trapunta che copriva quasi metà della parete.

A poco a poco si rese conto di ciò che aveva davanti: la montagna, la valle e le minuscole figure delle gemelle che stavano insieme nella radura verde sotto il sole rovente. Il ritmo lento delle parole di Maharet tornò a lui con il lieve baluginio di tutte le immagini espresse dalle sue parole. La radura inondata dal sole era così immediata… e sembrava così diversa dai sogni. I sogni non avevano mai avuto il potere di farlo sentire vicino a quelle donne! E ora le conosceva; conosceva quella casa.

Era un grande mistero, il miscuglio di sentimenti in cui la sofferenza toccava qualcosa d’innegabilmente positivo e buono. L’anima di Maharet l’attirava: ne amava la particolare complessità, e avrebbe desiderato poterglielo dire.

Poi si rese conto di aver dimenticato per un po’ d’essere amareggiato e sofferente. Forse la sua anima stava guarendo più in fretta di quanto avesse mai immaginato.

O forse era così solo perché aveva pensato ad altri… a Maharet, e prima ancora a Louis e a ciò che Louis aveva bisogno di credere. Diavolo, probabilmente Lestat era immortale. Anzi, lo colpiva crudamente il pensiero che Lestat avrebbe potuto sopravvivere a tutto questo anche se lui, Marius, non ci fosse riuscito.

Ma preferiva non pensare a quella supposizione. Dov’era Armand? Era già disceso sottoterra? Se almeno avesse potuto vedere Armand, adesso…

Si avviò di nuovo verso la porta della cantina ma qualcosa lo distrasse. Al di là d’una porta aperta vide due figure, molto simili alle due gemelle sulla trapunta. Ma erano Maharet e Jesse davanti alla finestra rivolta a est; osservavano immobili mentre la luce diventava più intensa nei boschi bui.

Un brivido violento lo scosse. Dovette aggrapparsi all’intelaiatura della porta per sorreggersi mentre una serie di immagini gli inondava la mente. Non era la giungla, ora: c’era un’autostrada in lontananza e si snodava verso nord attraverso una terra brulla e bruciata. E l’essere s’era fermato, sconvolto… da che cosa? Un’immagine di due donne dai capelli rossi? Udì i passi che riprendevano il cammino implacabile; vide i piedi incrostati di terriccio come se fossero i suoi, le mani egualmente incrostate di terra come se fossero le sue mani. E poi vide il cielo incendiarsi e si lasciò sfuggire un gemito.